CAPITOLO V
Ralph Touchett era un filosofo; ciò non di meno egli bussò alla porta di sua madre alle sette meno un quarto, con una certa impazienza. Anche i filosofi hanno le loro preferenze, ed egli ammetteva che dei suoi genitori, suo padre era quello che gli dava meglio l’impressione della dolcezza.
Era, come spesso l’aveva definito, il più materno. Sua madre, invece, era piuttosto paterna o, per stare al gergo della giornata, governatoriale. Nonostante ciò era molto legata al suo unico figlio e aveva sempre insistito che egli passasse almeno tre mesi all’anno con lei.
Ralph aveva molto caro il suo affetto e sapeva che nei pensieri e nella vita di lei, così accuratamente ordinata, il suo turno veniva subito dopo gli oggetti che le erano più cari; le varie puntualità e formalità che le stavano a cuore.
La trovò già completamente vestita per il pranzo e fu con mani inguantate che essa abbracciò il figlio e se lo fece sedere accanto, sul divano. Poi s’informò scrupolosamente della salute del marito e della sua, e ricevendo una risposta non troppo soddisfacente, osservò di essere sempre più convinta della sua saggezza, nel non essersi mai voluta esporre a lungo alle insidie del clima inglese, poiché in quel caso anch’essa avrebbe dovuto cedere le armi.
Ralph sorrise all’idea di sua madre che cedeva le armi, ma non si dette la pena di ricordarle come la sua infermità non fosse per nulla cagionata dal clima inglese, al quale egli usava sottrarsi ogni anno per parecchio tempo.
Non era che un ragazzino, quando suo padre, Daniel Tracy Touchett, nativo di Rutland, nello Stato del Vermont, venne in Inghilterra come socio di un istituto bancario, nel quale una decina d’anni dopo, aveva assunto una carica dominante. Daniel Touchett aveva davanti a sé la prospettiva di dover risiedere tutta la vita nel paese d’adozione, del quale fin da principio, si era fatta un’idea giusta, semplice e accomodante. Ma, come usava dire a se stesso, non aveva alcuna voglia di disamericanizzarsi, né d’insegnarlo all’unico figlio.
Era stato così semplice, per lui, vivere in Inghilterra, assimilato ma non convertito, che gli sembrava egualmente naturale che il suo legittimo erede potesse essere in grado di continuare, dopo la sua morte, a governare la grigia, vecchia banca inglese, in un candore di luce americana. Il vecchio Touchett si diede anzi da fare, per intensificare questa luce e mandò il ragazzo in patria a compiere i suoi studi.
Ralph frequentò per vari anni una scuola americana, si laureò in un’università americana, ma poiché al suo ritorno parve a suo padre eccessivamente americanizzato, fu mandato per due o tre anni a Oxford. Oxford ingoiò Harvard, e Ralph divenne alla fine abbastanza inglese. Il suo adattamento alle maniere e agli usi che lo circondavano, non era tuttavia che la maschera esteriore di uno spirito che godeva fortemente della sua indipendenza, a cui nulla riusciva di imporsi a lungo, e che, incline all’avventura e all’ironia, si concedeva su ogni cosa, un’illimitata libertà di giudizio.
Cominciò a essere una giovane promessa: a Oxford, con grande soddisfazione di suo padre, si distinse assai. Quelli che lo conoscevano bene dichiaravano che era davvero peccato che a un ragazzo così intelligente, dovesse essere preclusa una carriera. Forse avrebbe potuto farsene una, ritornando al suo paese; prospettiva alquanto incerta, ma se anche il signor Touchett avesse acconsentito a distaccarsi da lui - il che non era facile - sarebbe stato increscioso per il giovane, mettere una così sterminata distesa d’acqua tra sé e il vecchio padre, che era il suo miglior amico.
Ralph non era soltanto affezionatissimo a lui, ma lo ammirava, e godeva quando aveva l’opportunità di osservarlo. Daniel Touchett, a suo giudizio, era un uomo geniale, e benché Ralph non avesse alcuna attitudine per i misteri bancari, studiò e comprese abbastanza suo padre, per poter misurare l’importanza della parte che vi aveva rappresentato. Non era questo però che egli ammirava di più in lui, bensì quell’intatta superficie d’avorio, resa ancor più raffinata dall’aria inglese, che il vecchio aveva saputo opporre a ogni possibilità di infiltrazione. Daniel Touchett non era stato né ad Harvard né a Oxford, ed era colpa sua se aveva posto nelle mani del figlio la chiave della critica moderna.
Ralph, ricco d’idee che il padre non avrebbe mai sospettato, aveva però in gran conto l’originalità di lui.
In genere gli Americani sono celebrati, a torto o a ragione, per la facilità con cui sanno adattarsi alle usanze degli altri paesi, ma il signor Touchett aveva fatto di questa sua flessibilità, la fonte principale del suo successo. Aveva conservato però, in tutta la loro freschezza, molte caratteristiche della sua razza; il suo tono di pronuncia, come il figlio aveva spesso notato, era quello delle parti più rigogliose della Nuova Inghilterra. Alla fine della sua vita, era divenuto così dolce di carattere quanto era ricco di beni, e sapeva combinare la più consumata scaltrezza negli affari con una socievole disposizione alla bontà umanitaria; la sua posizione sociale, della quale non si era mai dato pensiero, aveva la ben definita perfezione di un frutto intatto. Forse, a causa della sua mancanza d’immaginazione o di coscienza storica, i suoi sensi erano rimasti completamente chiusi a molte delle impressioni che, di solito, la vita inglese produce sullo straniero colto. C’erano certe sfumature che egli non aveva mai avvertito, certe abitudini che non aveva mai saputo prendere, certe oscurità che non si era mai preoccupato di approfondire. Se poi le avesse approfondite, certo suo figlio non lo avrebbe più ammirato tanto incondizionatamente.
Lasciato Oxford, Ralph aveva speso un paio d’anni in viaggi, dopo i quali si era trovato seduto su un alto sgabello nella banca di suo padre.
La responsabilità e l’onore di una simile posizione non si misura, credo, dall’altezza del sedile, ma dipende da ben altre considerazioni: in realtà Ralph, che aveva lunghissime gambe, amava assai starsene in piedi o camminare su e giù mentre lavorava. A questo esercizio, tuttavia, egli fu costretto a dedicare un periodo molto limitato della sua vita, poiché in capo a diciotto mesi si accorse che la sua salute era seriamente compromessa.
Una forte infreddatura trascurata, aveva finito col passare nei suoi polmoni, gettandoli nella più terribile confusione. Dovette abbandonare la banca e dedicarsi alle malinconiche prescrizioni del medico.
Dapprima egli evitò, rifiutò: gli sembrava, in conclusione, che non di sé egli si prendesse cura, ma di un’altra persona non interessante e non interessata, con la quale aveva nulla in comune. Questa persona però guadagnava conoscendola meglio, e Ralph arrivò perfino a tollerarla con una specie di forzata benignità e anche con un certo rispetto.
La sventura congiunge i tipi più disparati, e il nostro giovanotto, sentendo che qualcosa era gravemente in gioco nella faccenda, dedicò al suo ingrato incarico, una dose di attenzione, della quale fu presa debita nota e che ottenne almeno il risultato di mantenere in vita il povero ragazzo.
Uno dei suoi polmoni cominciò a guarire, l’altro promise di seguirne l’esempio, e così gli venne assicurato che avrebbe potuto campare ancora per una mezza dozzina d’inverni, se soltanto avesse avuto la precauzione di soggiornare in un clima adatto per un malato di petto.
Grandemente innamorato di Londra, maledisse la monotonia dell’esilio, ma alla fine vi si rassegnò, in modo che, a poco a poco, trovando i suoi organi riconoscenti anche ai favori concessi di malavoglia, divenne più indulgente con loro. Svernò all’estero, si crogiolò al sole, non uscì di casa se soffiava vento, andava a letto quando pioveva e non si alzava neppure se aveva nevicato tutta notte.
Un nascosto tesoro d’indifferenza, simile a un grosso dolce che una vecchia bambinaia affezionata avesse potuto far scivolare nel suo primo panierino di scuola, venne in suo soccorso e lo aiutò a riconciliarsi col sacrificio; forse dopotutto egli era ormai troppo malato per poter agire diversamente.
Come diceva a se stesso, non c’era nulla che egli avrebbe voluto fare, sicché per lo meno non rinunciava a tenere il campo. Di quando in quando, però, la fragranza del frutto proibito sembrava aleggiare intorno a lui, per ricordargli che il piacere più grande è la corsa all’azione. Vivere come egli viveva, era come leggere un buon libro con una cattiva traduzione: un magro passatempo per un giovane che sapeva di poter essere un ottimo linguista.
Aveva inverni buoni e inverni cattivi, e quando i primi duravano più a lungo, l'illusione di una possibile guarigione cominciava ad apparirgli.
Ma tre anni prima degli eventi con i quali si apre questa storia, un forte attacco ai polmoni venne a disilluderlo. Era rimasto più a lungo in Inghilterra, così che il brutto tempo lo aveva sorpreso, prima che egli avesse potuto raggiungere Algeri. Vi arrivò più morto che vivo e stette più settimane fra la vita e la morte.
La sua convalescenza poté dirsi un miracolo, uno di quelli che capitano una volta sola nella vita.
Ralph pensò, comunque, che la sua ora non sarebbe tardata a scoccare e che sarebbe stato bene non perderla di vista, e si decise a occupare il poco spazio di tempo che ancora gli restava, tanto piacevolmente quanto la preoccupazione della morte glielo avesse concesso.
Sotto la minaccia continua di perderle, il semplice uso delle sue facoltà divenne per lui uno squisito piacere, e mai come allora, gli sembrò di aver gustato le gioie della comprensione. Era ormai lontano il tempo in cui gli sarebbe parso ben doloroso rinunciare all’idea di distinguersi nel mondo; un’idea magari importuna nella sua incertezza e tuttavia deliziosa quando si metteva a lottare nel suo petto con le affermazioni di una corrosiva autocritica. Gli amici, trovandolo più allegro, attribuivano quel buonumore a una sua teoria, sulla quale però supponevano, che egli avrebbe riguadagnato, un giorno o l’altro, la salute. Questa serenità non era che uno sfoggio di fiori selvaggi annidati nella sua rovina.
Probabilmente fu il sapore della cosa gustosa osservata, quello che soprattutto risvegliò il suo interesse per la venuta di una giovane donna, la quale era decisamente tutt’altro che insipida.
Se aveva voglia di osservare e di riflettere, avrebbe trovato in essa materia di studio per un lunghi giorni a seguire. Si può anche aggiungere che l’idea di amare, ben distinta da quella di essere amato, aveva ancora un posto nel suo ridotto schema di vita. Si era soltanto proibito il clamore dell’espressione. Comunque egli non avrebbe potuto ispirare una passione a sua cugina, né lei sarebbe stata capace, anche se avesse tentato di incoraggiarlo.
«E ora dimmi della signorina, - si volse a sua madre - che cosa intendi farne?»
«Intendo chiedere a tuo padre che la inviti per tre o quattro settimane a Gardencourt.» rispose subito la signora Touchett,
«Non c’è bisogno di tante cerimonie. Babbo la inviterà senz’altro.»
«Non so; è mia nipote, non sua.»
«Buon Dio, mamma, che senso della proprietà! Ma questa sarebbe, se mai, una ragione di più per invitarla. Ma poi, dimmi, dopo questo, cioè dopo tre mesi, giacché è assurdo invitare la povera ragazza soltanto per tre o quattro misere settimane, che cosa pensi di farne?»
«Penso di condurla a Parigi e di farle fare dei vestiti.»
«Si capisce. Ma oltre a questo?»
«La inviterò a trascorrere l’autunno con me a Firenze.»
«Ma questi sono particolari, - disse Ralph - vorrei sapere che vuoi fare della sua vita.»
«Farò il mio dovere. Ma mi sembra di capire che tu la compiangi.»
«Non credo. Lei non ha l’aria di una che debba essere compianta. Sento piuttosto d’invidiarla. Ma prima di dichiararmi in proposito, dammi un’idea di ciò che tu chiami il tuo dovere.»
«Farle conoscere quattro Stati europei; le lascerò la scelta di almeno due di essi e le darò modo di perfezionarsi nel francese, che del resto già conosce bene.»
Ralph aggrottò le ciglia. «Mi sembra un progetto un po’ arido, anche lasciandole la scelta di due paesi.»
«Se è arido, non dubitare, ci penserà Isabel a innaffiarlo. Ci riuscirà come la pioggia d’estate.»
«Vuoi dire che ha qualità speciali?»
«Non so. So che è una ragazza intelligente, con una volontà tutta sua e un carattere deciso. Ignora la noia.»
«Me l’ero immaginato. E andate d’accordo?»
«Vuoi dire se io sono un peso per lei? Non credo che lei mi giudichi tale. Molte altre mi giudicherebbero così, ma Isabel è troppo intelligente. Credo, se mai, di divertirla molto. Andiamo d’accordo perché io la capisco e so che tipo di ragazza è: molto franca, e io anche lo sono. Sappiamo quindi perfettamente, che cosa ci possiamo aspettare l’una dall’altra.»
«Ah, cara mamma, - esclamò Ralph - uno sa sempre cosa aspettarsi da te. Tu non mi hai mai preso alla sprovvista tranne una volta: questa, nel regalarmi una così graziosa cugina la cui esistenza io non avevo mai sospettata.»