CAPITOLO X
Il giorno dopo la sua visita a Lockiano, Isabel ricevette una lettera dalla sua amica Miss Stackpole, sulla quale c’era un francobollo da Liverpool e l’indirizzo nitidamente scritto da lei. La lettera le procurò una vivace emozione.
«Eccomi qua, mia cara amica, - scriveva Henrietta - sono finalmente riuscita a svignarmela. Mi sono decisa soltanto la notte prima di lasciare New York, giacché l’ Interviewer me ne aveva pregato. Cacciai poche cose in una valigia, come un giornalista veterano, e raggiunsi il bastimento col tram. Dove sei e dove potremo incontrarci? Mi immagino che sarai in visita a qualche castello e che avrai già acquistato l’accento corretto. E forse, chissà, hai già sposato un Lord: anzi io lo spero senz’altro, poiché ho bisogno di qualche presentazione a gente di qualità, e conto su di te. L’ Interviewer vuole qualche indiscrezione sulla nobiltà inglese. Le mie prime impressioni (della gente in generale) non sono molto rosee, ma desidero parlarne con te, e tu sai che, chiunque io sia, almeno non sono superficiale. Ho poi qualcosa di speciale da comunicarti.
Fissami un appuntamento il più presto che puoi. Vieni tu a Londra (vorrei tanto visitare la città con te) o fai che io venga da te, dovunque ti trovi. Lo farò con piacere, poiché tu sai che tutto m’interessa e desidero vedere quanto più è possibile dell’intima vita di Londra.»
Isabel non volle mostrare questa lettera allo zio, ma gli parlò dell’arrivo di Henrietta, ed egli allora la pregò di scrivere a Miss Stackpole che sarebbe stato assai felice di riceverla a Gardencourt.
«Benché sia una donna istruita, - egli disse - credo che non vorrà mettermi in mostra come americano, come mi accadde con l’altra. Ne deve avere già visti altri come me.»
«Ma nessuno così piacevole.» rispose Isabel. Però non era per nulla tranquilla, riguardo agli istinti espressivi della sua amica, i quali appartenevano a un lato del suo carattere che essa non amava molto. Le scrisse tuttavia, che era la benvenuta a Gardencourt, così che l’altra non perdette tempo ad annunciarle il suo pronto arrivo.
Aveva preso un treno per Londra e dal centro della città prese il treno per la stazione più vicina a Gardencourt, dove Isabel e Ralph l’attendevano.
«Debbo amarla o odiarla?» chiese Ralph, mentre si avviavano alla pensilina della stazione.
«In qualunque modo vi divertiate con lei, gliene importerà ben poco. Non si dà affatto pena di ciò che gli uomini pensano di lei.»
«Come uomo, allora, sono obbligato a non farmela piacere. Deve essere una specie di mostro. È molto brutta?»
«No, è propriamente bella.»
«Un’intervistatrice? Un reporter in gonnella? Sono molto curioso di conoscerla.»
«È facile deriderla, ma non è così facile essere bravi come lei.»
«Non crederei. Delitti di violenza e attacchi, aggressioni, richiedono in parte un certo fegato. Credete che vorrà intervistarmi?»
«Ma neanche per sogno. Non vi crederà abbastanza importante.»
«Vedrete, - disse Ralph - che manderà una descrizione di tutti noi, Bunchie compreso, al suo giornale.»
«La pregherò di non farlo.»
«La ritenete dunque capace di farlo?»
«Ma certo.»
«E tuttavia ne avete fatta la vostra amica del cuore?»
«Mi piace malgrado tutti i suoi difetti.»
«Bene, e io credo che invece non mi piacerà affatto, malgrado tutti i suoi meriti.»
«Probabilmente v’innamorerete di lei in capo a tre giorni.»
«Per vedere poi le mie lettere d’amore, comparire sull’ Interviewer . Giammai!» gridò il giovane.
Il treno stava arrivando e la signorina Stackpole, scendendone prontamente si rivelò, come Isabel aveva promesso, di una delicata e un po’ provinciale bellezza.
Era una graziosa personcina di media statura, ben modellata, di bocca piccola e carnagione delicata, con una massa di riccioli castani raccolti dietro al capo e un paio d’occhi spalancati che parevano eternamente sorpresi. Quello, che in lei colpiva maggiormente, era l'immutabilità di quegli occhi, che fissavano senza ombra d’impudenza, d’arroganza o di sfida, ma come per esercitare un diritto naturale su ogni oggetto che cadesse nel loro raggio. Si arrestarono anche sopra Ralph, che era già un po’ impressionato per il grazioso aspetto della nuova venuta e pensava quanto gli sarebbe stato difficile ora il trovarla antipatica.
La ragazza mormorava e splendeva in freschi drappeggi color tortora, e il giovane si rese conto, al suo primo sguardo, che essa era croccante, fresca e viva come la prima edizione di un libro ancora nuovo.
Da capo a piedi, non si sarebbe potuto trovare in lei un solo errore di stampa. Parlava con alta voce chiara, una voce non ricca, ma forte, tanto che dopo che essa ebbe preso posto insieme a loro, nella carrozza del signor Touchett, essa apparve a Ralph tutt’altra cosa rispetto a dei caratteri cubitali dei grandi titoli, che egli si era immaginato.
Rispose alle domande di Isabel, alle quali il giovane si azzardò a unire le sue, con forte lucidità; e più tardi, nella biblioteca di Gardencourt, dove fece conoscenza col signor Touchett (non avendo sua moglie reputato necessario intervenire), diede una più compiuta misura della fiducia che essa aveva in se stessa.
«Mi piacerebbe sapere se voi vi considerate americano o inglese. - chiese a Ralph a bruciapelo - Quando lo saprò, saprò anche come parlarvi.»
«Parlateci in qualunque modo e ve ne saremo riconoscenti.» rispose Ralph.
Ella fissò su di lui un paio d’occhi che gli parvero due grandi bottoni lucidi, che chiudessero l’elastica tensione di un qualche indumento, e nelle pupille a lui parve di vedere il riflesso degli oggetti circostanti. Un bottone non ha un’espressione umana ma c’era qualcosa nel loro sguardo che imbarazzava Ralph, che gli dava il senso di sentirsi meno inviolabile di quello che si credeva. Ma occorre aggiungere che questo senso diminuì alquanto dopo che egli ebbe passato un paio di giorni in sua compagnia; tuttavia non scomparve mai del tutto.
«Non credo che vogliate convincermi di essere un americano.» disse la signorina Stackpole.
«Oh, per farvi piacere vorrei essere un inglese o anche un turco.»
«Bravo, se sapete trasformarvi in quel modo, siate il benvenuto.» ribatté la giovane.
«Sono certo che voi sapete tutto e che le differenze di nazionalità non vi sono d’ostacolo.» continuò Ralph.
La signorina Stackpole lo fissò: «Volete dire in fatto di lingua?»
«Le lingue non contano nulla. Voglio dire lo spirito, il genio.»
«Non vi capisco bene. Ma spero che vi capirò prima di andarmene.»
«Ralph è il tipo che si suol chiamare cosmopolita.» suggerì Isabel.
«E che, cioè, è un po’ di tutto e non molto di ogni cosa? Devo dire che io penso al patriottismo un po’ come la carità: comincia da casa propria.»
«Ah, ma dove comincia la casa propria, signorina Stackpole?»
«Non so dove cominci, ma so dove finisce. Finì molto tempo prima che io arrivassi qua.»
«Non vi piace, dunque, qui?» domandò il signor Touchett col suo tono innocente.
«Non so, non ho ancora capito bene... Ma mi sento lo spirito intorpidito; e cominciai a sentirlo nel viaggio da Liverpool a Londra.»
«Forse eravate in uno scompartimento affollato.»
«Sì, ma di amici. Mi sono trovata in una compagnia di americani con i quali avevo fatto conoscenza a bordo: un simpatico gruppetto di gente di Littore Rock nell’Arkansas. Nonostante ciò, a un tratto mi sentii intorpidita; qualcosa mi opprimeva e non potrei dire cosa. È come se fin dall’inizio non andassi d’accordo con l’atmosfera. Penso però che saprò crearmi un’atmosfera. È l’unico modo per respirare. La vostra, per esempio, mi sembra molto attraente.»
«Ah, noi pure siamo un simpatico gruppetto di gente. - disse Ralph - Aspettate e vedrete.»
La signorina Stackpole si dimostrò ben disposta ad aspettare e si preparò a fare un considerevole soggiorno a Gardencourt. La mattina si occupava di lavori letterari; tuttavia Isabel passava molte ore con lei, che, compiuto il suo dovere giornaliero, non poteva stare sola.
Isabel trovò presto occasione per dissuaderla dal pubblicare elogi entusiasti del loro comune soggiorno, giacché la mattina successiva al suo arrivo, trovò la sua amica che stava scrivendo una lettera per l’ Interviewer , il cui titolo, tracciato nella sua grafia, squisitamente chiara e ordinata (la stessa che ricordava alla nostra eroina i quaderni di scuola), era il seguente: Americani e Tudor . Sguardi su Gardencourt . La giornalista, con la coscienza più tranquilla del mondo, voleva leggerle la sua corrispondenza: senonché, l’amica non solo si rifiutò di ascoltarla, ma la mise in stato d’accusa.
«Non credo che tu debba fare questo: pubblicare la descrizione di questo luogo.»
Henrietta la fissò come il solito. «E perché no, se è quello che il pubblico desidera? E dopotutto è un posto così bello!»
«Troppo bello per essere pubblicato sui giornali; e mio zio non te lo perdonerebbe.»
«Non credergli, - esclamò Henrietta - alla fine sono sempre contenti che si parli di loro.»
«Lo zio non ne sarà per nulla contento, e nemmeno mio cugino. Considereranno il tuo atto un affronto all’ospitalità.»
La signorina Stackpole non mostrò alcun segno di confusione; asciugò semplicemente la penna con molta cura, con un elegante piccolo aggeggio che le serviva per quell’uso, e ripose il manoscritto. «Certo, se tu non l’approvi, non lo farò. Ma bada, sacrifico un bel soggetto.»
«C’è un’infinità di altri soggetti. Ci sono soggetti dappertutto qui. Faremo delle scarrozzate e ti mostrerò quadretti incantevoli.»
«I quadretti non sono il mio genere; io ho sempre bisogno di un interesse umano. Tu sai quanto io sia profondamente umana, Isabel, e come sempre lo sia stata. - rispose Henrietta – Poco fa stavo appunto per mettere in scena tuo cugino: l’americano forestiero. C’è laggiù gran ricerca di questo genere di tipi e tuo cugino è un magnifico esemplare. L’avrei trattato severamente.»
«E l’avresti fatto morire di vergogna, - esclamò Isabel - non per la tua severità, ma per la pubblicità che gli avresti fatto.»
«Bene, non mi sarebbe dispiaciuto ucciderlo un pochino. E sarei stata poi felice di presentare tuo zio, un tipo più nobile: l’americano rimasto fedele alle vecchie tradizioni. È un gran vecchio, e non vedo perché potrebbe opporsi al mio desiderio di rendergli onore.»
Isabel la fissò meravigliata. Era strano come in quel carattere tanto stimabile, certi punti venissero meno.
«Ma mia povera Henrietta, - disse - tu non hai la più lontana idea di ciò che sia la discrezione.»
Henrietta arrossì vivamente e per un istante lo splendore dei suoi occhi si offuscò e, mentre Isabel la trovava più contraddittoria del solito, disse con dignità:
«Mi fai torto. Io non ho mai scritto una parola su di me.»
«Oh, ne sono sicura. Ma mi pare che si dovrebbe essere modesti anche sugli altri.»
«Bello! - esclamò Henrietta riafferrando la penna - Lasciamela notare questa, mi servirà.»
Era una buona pasta di ragazza, e mezz’ora dopo era tornata tanto allegra quanto può esserlo un giornalista in cerca di argomenti.
«Ho promesso al mio giornale di trattare il lato sociale. - proseguì - E come posso farlo se non trovo idee? Se non posso descrivere Gardencourt, trovami tu un altro posto da descrivere.»
Isabel promise che ci avrebbe pensato; e il giorno dopo, chiacchierando con l’amica, le capitò di accennare della sua visita alla vecchia casa di Lord Warburton.
«Ah! Mi ci devi condurre, è proprio il posto che mi ci vuole, - esclamò la Stackpole - devo poter gettare almeno uno sguardo sulla nobiltà.»
«Non ti posso condurre. Ma siccome Lord Warburton deve venire qui, avrai occasione di vederlo e di osservarlo. Soltanto che, se hai intenzione di riportare la conversazione che avrai con lui, lo avvertirò di stare in guardia!»
«No, ti prego. - fece la sua compagna - Ho bisogno che egli sia naturale.»
«Un inglese non è mai così naturale come quando tace.» dichiarò Isabel.
Ancorché avesse trascorso del tempo in sua compagnia, non parve a ogni modo che Ralph, in capo a tre giorni, avesse perduto il cuore dietro alla nuova venuta, come Isabel aveva previsto. Passeggiavano insieme per il parco, sedevano all’ombra dei grandi alberi e nel pomeriggio, quando era delizioso lasciarsi trasportare dalla corrente, la signorina Stackpole occupava un posto nella barca, nella quale fino allora, Ralph non aveva avuto che una sola compagna. La sua presenza gli era, però più gradevole di quanto avesse pensato, poiché la corrispondente dell’ Interviewer suscitava spesso in lui buon umore e Ralph aveva irrevocabilmente deciso che, un crescendo d’allegria, avrebbe consolato i suoi giorni decadenti.
Henrietta, da parte sua, non riuscì a dare pienamente ragione a quanto Isabel aveva detto di lei al cugino, in fatto d’indifferenza alle opinioni maschili, perché il povero Ralph sembrò essersi presentato a lei come un problema che sarebbe stato addirittura immorale non studiare.
«Che cosa fa per vivere? - domandò a Isabel la sera del suo arrivo - Va sempre in giro così, tutto il giorno con le mani in tasca?»
«Non fa niente. È un gentiluomo che ha grandi mezzi.»
«Ma questa è una vergogna. Io devo sgobbare come un carrettiere. - replicò la signorina - Mi piacerebbe dimostrarglielo.»
«Ha una salute malandata: è completamente inabile al lavoro.»
«Bravo! Ma non credergli sai. Io lavoro anche quando non sto bene.»
Più tardi, quando si unì a loro due nella gita sul fiume, lei chiese a Ralph, mentre entrava in barca, se egli la odiava e se volesse farla affogare.
«Ah no, - disse Ralph - riservo alle mie vittime una tortura più lenta: e voi sareste una delle vittime più interessanti.»