CAPITOLO UNO-3

1616 Words
Ceres riconobbe in uno di loro Stefano, ma non riuscì a distinguere l’altro bruto che indossava solo un elmo con visiera e un perizoma legato a una cintura in pelle. Forse veniva da lontano ed era arrivato lì apposta per battersi. La sua pelle oliata aveva il colore del terreno fertile e i capelli erano neri come la notte più buia. Attraverso le fessure della visiera Ceres poté vedere i suoi occhi decisi e capì subito che Stefano non sarebbe vissuto neanche un’ora ancora. “Non preoccuparti,” disse Ceres guardando Nesos. “Te la lascio tenere la tua spada.” “Non è ancora stato sconfitto,” rispose Nesos facendo un sorrisino. “Stefano non sarebbe il favorito da tutti se non fosse superiore.” Quando Stefano sollevò il suo tridente e lo scudo, la folla fece silenzio. “Stefano!” gridò uno dei giovani dabbene dalla bancarella sollevando un pugno chiuso. “Potere e coraggio!” Stefano annuì rivolto al giovane mentre dalla folla si levava un boato di approvazione. Poi si lanciò contro lo straniero con tutta forza. L’avversario si spostò dal posto rapido come un lampo, ruotò su se stesso e cercò di colpire Stefano con la spada, mancandolo di un centimetro appena. Ceres fece una smorfia. Con riflessi come quelli, Stefano non sarebbe durato a lungo. Colpendo lo scudo di Stefano più e più volte, lo straniero ringhiava e Stefano arretrava. Disperato, alla fine spinse il bordo dello scudo contro la faccia dell’avversario, lanciando in aria uno spruzzo di sangue mentre l’uomo cadeva. Ceres la considerò una mossa piuttosto bella. Forse Stefano aveva migliorato la tecnica da quando l’aveva visto allenarsi l’ultima volta. “Stefano! Stefano! Stefano!” gridavano gli spettatori. Stefano si trovava vicino ai piedi del guerriero ferito, ma proprio quando stava per trafiggerlo con il tridente, lo straniero sollevò le gambe e gli diede un calcio facendolo cadere indietro, di schiena. Entrambi saltarono in piedi veloci come gatti e si affrontarono di nuovo. Guardandosi negli occhi iniziarono a muoversi in cerchio, il pericolo palpabile nell’aria. Lo straniero ringhiò e sollevò la spada in alto correndo verso Stefano. Stefano si spostò rapidamente di lato e lo colpì alla coscia. In cambio lo straniero fece roteare la spada e lo ferì a un braccio. Entrambi i guerrieri sbuffavano di dolore, ma era come se le ferite alimentassero la loro furia invece di rallentarli. Lo straniero si tolse l’elmo e lo gettò a terra. Il suo mento ricoperto di barba nera era insanguinato, l’occhio destro gonfio, ma l’espressione fece pensare a Ceres che avesse smesso di giocare con Stefano e che ora avesse intenzione di ucciderlo. Quanto rapidamente sarebbe riuscito a farlo fuori? Stefano si lanciò contro lo straniero e Ceres sussultò mentre il suo tridente andava a sbattere contro la spade dell’avversario. Occhi negli occhi i guerrieri si sforzavano l’uno contro l’altro, sbuffando, ansimando, spingendo, le vene della fronte sporgenti e i muscoli in tensione sotto alla pelle sudata. Lo straniero si abbassò e si districò dal punto di impasse. Inaspettatamente ruotò come un tornado fendendo l’aria con la sua spada decapitando Stefano. Dopo qualche respiro lo straniero sollevò le braccia in aria, trionfante. Per un secondo la folla fece assoluto silenzio. Addirittura Ceres. Guardò il ragazzo proprietario di Stefano. Aveva la bocca spalancata per lo stupore e le sopracciglia aggrottate per la rabbia. Lanciò il suo calice d’argento nell’arena e corse fuori dal chiosco. La morte è la cosa che rende tutti uguali, pensò Ceres soffocando un sorriso. “Augusto!” gridò un uomo tra la folla. “Augusto! Augusto!” Uno dopo l’altro gli spettatori si unirono a lui, fino a che l’intera arena si trovò a cantare il nome del vincitore. Lo straniero si inchinò dinnanzi a re Claudio e poi altri tre guerrieri sopraggiunsero di corsa dai cancelli, sostituendolo. Uno dopo l’altro i combattimenti si svolsero man mano che il giorno avanzava e Ceres guardava con gli occhi spalancati. Non riusciva a decidere se odiava le Uccisioni o se le adorava. Da un lato le piaceva osservare la strategia, l’abilità e il coraggio dei contendenti, ma dall’altro odiava come i guerriero non fossero altro che pedine nelle mani dei ricchi. Quando arrivò l’ultimo combattimento del primo round, Brennius e un altro guerriero si batterono proprio vicino a dove sedevano Ceres, Rexus e i suoi fratelli. Si facevano sempre più vicini e le loro spade facevano sprizzare scintille. Era emozionante. Ceres guardò Sartes chinarsi sul parapetto, gli occhi inchiodati sul combattimento. “Tirati su!” gli gridò. Ma prima che potesse risponderle, tutt’a un tratto un omnigatto balzò da una botola nel terreno dall’altra parte dell’arena. L’enorme bestia si leccava le zanne e affondava gli artigli nella terra rossa dirigendosi verso i guerrieri. I combattenti non avevano ancora visto l’animale e nell’arena tutti trattenevano il fiato. “Brennius è morto,” mormorò Nesos. “Sartes!” gridò ancora Ceres. Ti ho detto di tirarti …” Non poté terminare la frase. Proprio in quel momento la pietra sotto alle mani di Sartes si mosse e prima che chiunque potesse reagire, lui cadde giù, oltre il parapetto, cadendo nella fossa con un tonfo. “Sartes!” gridò Ceres inorridita scattando in piedi. Abbassò lo sguardo e vide Sartes tre metri più sotto che si metteva a sedere e si appoggiava al muro. Aveva il labbro inferiore che tremava, ma non versò una sola lacrima. Non disse una parola. Tenendosi il braccio sollevò lo sguardo verso l’alto mostrando un’espressione di totale agonia. Vederlo là sotto era più di quanto Ceres potesse sopportare. Senza pensare, sguainò la spada di Nesos e balzò oltre il parapetto, saltando nella fossa e atterrando proprio davanti al fratello più piccolo. “Ceres!” gridò Rexus. Ceres sollevò lo sguardo e vide le guardie che trascinavano via Rexus e Nesos prima che potessero seguirla. Rimase nella fossa, sopraffatta dalla sensazione surreale di trovarsi là sotto insieme ai combattenti, nell’arena. Voleva portare Sartes fuori di lì, ma non c’era tempo. Quindi si portò davanti a lui, determinata a proteggerlo mentre l’omnigatto le ringhiava. Avanzava stando schiacciato a terra, i malvagi occhi gialli fissi su di lei, e Ceres percepì il pericolo. Sollevò la spada di Nesos con entrambe le mani e la tenne stretta. “Scappa ragazza!” gridò Brennius. Ma era troppo tardi. L’omnigatto stava per attaccarla e ora era a pochi metri da lei. Ceres si portò più vicina a Sartes e subito prima che l’animale attaccasse Brennius si spostò di lato e gli tagliò un orecchio. L’omnigatto si alzò sulle zampe posteriori e ruggì, strappando con gli artigli un pezzo di parete alle spalle di Ceres mentre il sangue viola gli macchiava la pelliccia. La folla esultò. Il secondo combattente si avvicinò, ma prima di poter ferire la bestia in qualsiasi modo, quella sollevò una zampa e gli tagliò la gola con gli artigli. Tenendosi le mani attorno al collo, il guerriero cadde a terra con il sangue che gli sgorgava tra le dita. Assetata di sangue, la folla esultò. Ringhiando l’omnigatto colpì Ceres così forte da farla volare in aria e mandandola a sbattere a terra. Nell’impatto la spada le scappò di mano e cadde diversi metri più in là. Ceres rimase ferma a terra, con i polmoni che si rifiutavano di aprirsi. Non riuscendo a respirare e con la testa che le girava, cercò di mettersi carponi, ma subito ricadde al suolo. Stesa a terra senza fiato, con la faccia schiacciata contro la sabbia ruvida, vide l’omnigatto che si dirigeva verso Sartes. Vedendo il fratello in una condizione tanto indifesa, si sentì ardere dentro. Si sforzò di fare un respiro e vide con estrema chiarezza cosa doveva fare per salvare il fratello. L’energia le scorreva dentro come un fiume in piena dandole un potere immediato. Si alzò in piedi, raccolse la spada e si scagliò contro la bestia così veloce da essere convinta di volare. L’animale era a dieci metri da lei adesso. Otto. Sei. Quattro. Ceres strinse i denti e si buttò sulla schiena della bestia, affondando le dita nella sua pelliccia ispida, intenzionata a distrarla da suo fratello. L’omnigatto si alzò sulle zampe posteriori e scosse la parte superiore del corpo sbattendo Ceres da una parte e dall’altra. Ma la sua presa d’acciaio e la sua determinazione erano più forti dei tentativi dell’animale di farla cadere. Mentre la creatura si riabbassava su quattro zampe, Ceres colse l’opportunità a balzo. Sollevò la spada in aria e la conficcò nel collo della bestia. L’animale ruggì e si alzò di nuovo sulle zampe posteriori mentre la folla gridava. Portando una zampa indietro nel tentativo di afferrare Ceres, la creatura le graffiò la schiena con gli artigli e Ceres gridò di dolore, le unghie piantate come coltelli nella carne. L’omnigatto la afferrò e la scagliò contro la parete, facendola atterrare a diversi metri da Sartes. “Ceres!” gridò Sartes. Con le orecchie che risuonavano, Ceres si sforzò di mettersi a sedere. La nuca le pulsava e un liquido caldo le scorreva lungo il collo. Non c’era tempo per appurare quanto grave fosse la ferita. L’omnigatto stava per riattaccare. Quando la bestia piombò su di lei, Ceres non aveva alternative. Senza neanche pensare alzò istintivamente la mano e la tenne tesa davanti a sé. Pensò che sarebbe stata l’ultima cosa che avrebbe visto in vita. Proprio mentre l’omnigatto saltava, Ceres ebbe la sensazione di avere una palla di fuoco nel petto e improvvisamente la sentì scaturire dalla mano. A mezz’aria la bestia improvvisamente si afflosciò. Piombò al suolo rimanendo immobile al di sopra delle sue gambe. Aspettandosi quasi con certezza che l’animale ritornasse in vita e la finisse, Ceres trattenne il fiato mentre la guardava lì stesa. Ma la creatura non si mosse. Confusa Ceres si guardò il palmo della mano. Non avendo visto ciò che ne era uscito, la folla aveva probabilmente pensato che la bestia fosse morta perché lei l’aveva colpita prima con la spada. Ma lei aveva capito. Una qualche misteriosa forza si era sprigionata dalla sua mano e aveva ucciso la bestia sul colpo. Che forza era? Non le era mai successo niente di simile e non sapeva esattamente come comportarsi. Chi era lei per avere quel potere? Spaventata, lasciò ricadere la mano a terra. Sollevò esitante gli occhi e vide che nell’arena era calato il silenzio. E lei non poteva che chiedersi: l’avevano visto anche loro?
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