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Schiava, Guerriera, Regina (Di Corone e di Gloria—Libro 1)

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“Morgan Rice si propone con quella che promette di essere un’altra brillante serie, immergendoci in un fantasy pieno di valore, coraggio, magia e fede nel proprio destino. Morgan è riuscita di nuovo a creare un forte insieme di personaggi e a portarci a sostenerli pagina dopo pagina… Raccomandato per la biblioteca permanente di tutti i lettori che amano i fantasy ben scritti.”

--Books and Movie Reviews, Roberto Mattos (riferendosi a L’Ascesa dei Draghi)

Dall’autrice #1 campione d’incassi Morgan Rice arriva una nuova ampia serie fantasy.

La diciassettenne Ceres, una bellissima e povera ragazza della città imperiale di Delo, vive la dura e spietata vita di una persona comune. Di giorno consegna le armi forgiate da suo padre al palazzo e di notte si allena segretamente con i combattenti, desiderando di diventare una guerriera in una terra dove alle donne è vietato lottare. Si trova disperatamente ad essere venduta come schiava.

Il diciottenne principe Tano disprezza tutto ciò che la sua famiglia sostiene a corte. Odia il duro trattamento che riservano al popolo, soprattutto la brutale competizione – le Uccisioni – che si svolgono nel cuore della città. Desidera liberarsi dalle costrizioni della sua condizione, ma, essendo un ottimo guerriero, non vede una via d’uscita.

Quando Ceres sbalordisce la corte con i suoi poteri nascosti, si trova erroneamente imprigionata e destinata a una vita ancora peggiore di quanto potesse immaginare. Tano, innamorato, deve scegliere se rischiare tutto per lei. Ma, scagliata in un mondo di falsità e segreti letali, Ceres impara velocemente che ci sono coloro che governano e coloro che fungono da loro pedine. E che a volte essere scelti è la cosa peggiore che possa capitare.

SCHIAVA, GUERRIERA, REGINA racconta una storia epica di amore tragico, vendetta, tradimento, ambizione e destino. Piena di personaggi indimenticabili e di scene mozzafiato, ci trasporta in un mondo che non dimenticheremo mai, facendoci innamorare ancora una volta del genere fantasy.

Il Libro #2 in DI CORONE E DI GLORIA è di prossima uscita!

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CAPITOLO UNO-1
CAPITOLO UNO Ceres correva tra i vicoli secondari di Delo con l’eccitazione che le scorreva nelle vene, sapendo che non poteva permettersi di fare tardi. Il sole stava appena sorgendo ma l’aria afosa e piena di polvere era già soffocante nella vecchia cittadina di pietra. Le gambe le bruciavano, i polmoni le dolevano, ma lei si costrinse a correre più forte e ancora più forte, saltando a un certo punto uno degli innumerevoli ratti che strisciavano fuori dai canali di scolo o dai rifiuti gettati nelle strade. Sentiva già il lontano rombo e il cuore le fremeva per l’anticipazione. Da qualche parte lì davanti, lo sapeva, stava per iniziare il Festival delle Uccisioni. Lasciandosi trascinare dalle sue mani lungo la parete di pietra e svoltando in uno stretto vicolo, Ceres si guardò alle spalle per accertarsi che i suoi fratelli stessero al passo. Fu sollevata di vedere Nesos subito alle calcagna e Sartes pochi metri più indietro. Nesos aveva diciannove anni ed era quindi solo due cicli del sole più grande di lei, mentre Sartes, il più piccolo, era di quattro cicli più giovane, ormai sul punto di diventare uomo. I due, con i capelli lunghi e biondicci e gli occhi castani, assomigliavano con precisione l’uno all’altro, ma non a lei. Eppure, sebbene Ceres fosse una ragazza, non erano mai riusciti a tenere il passo con lei. “Sbrigatevi!” gridò Ceres girandosi. Si udì un altro boato e sebbene lei non fosse mai stata al festival, se lo poteva immaginare nel dettaglio: l’intera città – tutti i tre milioni di cittadini di Delo – che affollavano l’arena in quel giorno del solstizio d’estate. Sarebbe stato fantastico, una cosa mai vista, ma se lei e i suoi fratelli non si fossero sbrigati, non sarebbe rimasto un solo posto libero. Prendendo velocità Ceres asciugò una goccia di sudore dalla fronte e strofinò la mano sulla tunica logora color avorio passatale da sua madre. Non aveva mai avuto abiti nuovi. Secondo sua madre, che adorava i suoi fratelli ma sembrava nutrire uno speciale odio e invidia per lei, non se li meritava. “Aspettate!” gridò Sartes con voce rotta dall’irritazione. Ceres sorrise. “Devo portarti in braccio?” gli gridò in risposta. Sapeva quanto odiava quando lei lo prendeva in giro, ma il suo rimprovero beffardo l’avrebbe motivato a correre più veloce. Ceres non si curava del suo stare al passo: pensava che fosse tenero il modo in cui, a tredici anni, facesse qualsiasi cosa per essere considerato uno come loro. E anche se non l’avrebbe mai ammesso apertamente, una buona parte di lei aveva bisogno che lui necessitasse di lei. Sartes sbuffò sonoramente. “Nostra madre ti ammazzerà quando verrà a sapere che le hai disobbedito un’altra volta,” le gridò. Aveva ragione. In effetti sarebbe andata così, oppure le avrebbe dato una bella fustigata. La prima volta che sua madre l’aveva picchiata, quando aveva cinque anni, era stato il momento in cui Ceres aveva perso la sua innocenza. Prima di allora il mondo era stato divertente, bello e gentile. Dopo quel fatto niente era più stato sicuro, e tutto ciò a cui poteva aggrapparsi era la sua speranza per un futuro dove potersene andare da lei. Ora era più grande, eppure anche quel sogno si stava corrodendo nel suo cuore. Fortunatamente Ceres sapeva che i suoi fratelli non l’avrebbero mai tradita. Le erano leali come lei lo era nei loro confronti. “Allora è buona cosa che nostra madre non venga mai a saperlo!” rispose. “Però verrà a saperlo nostro padre!” disse in tono secco Sartes. Lei ridacchiò. Loro padre già lo sapeva. Avevano fatto un patto: se fosse rimasta alzata fino a tardi per affilare le spade che andavano consegnate a palazzo, sarebbe potuta andare alle Uccisioni. E così aveva fatto. Ceres raggiunse il muro alla fine del viale e, senza fermarsi, infilò le dita in due fessure e iniziò ad arrampicarsi. Mani e piedi si muovevano con agilità e Ceres salì di quasi dieci metri fino ad arrivare alla cima. Si mise lì in piedi, respirando affannosamente, e il sole le diede il benvenuto con i suoi raggi luminosi. Lei si coprì gli occhi con una mano. Sussultò. Normalmente la Città Vecchia era punteggiata di pochi cittadini, un gruppetto di gatti o cani qua e là, ma oggi era assolutamente viva. Brulicava di gente. Non si riusciva neanche a vedere la pavimentazione sotto a quel mare di persone accalcate nella piazza della fontana. In lontananza l’oceano brillava nel suo colore blu vivido, mentre la torreggiante arena bianca si stagliava come una montagna in mezzo all’intreccio di vie e case da due o tre piani addossate l’una all’altra. Attorno al confine esterno della piazza i mercanti avevano allestito le loro bancarelle, desiderosi di vendere cibo, gioielli o vestiti. Una folata di vento le soffiò in faccia e l’odore di prelibatezze appena sfornate le entrò nelle narici. Cosa non avrebbe dato per un po’ di cibo che potesse soddisfare quell’assillante sensazione. Si strinse le braccia attorno alla pancia sentendo una fitta di fame. La colazione della mattina era stata data da qualche cucchiaiata di zuppa d’avena molliccia che in qualche modo era riuscita a farle provare ancora più fame di prima. Dato che oggi era il suo diciottesimo compleanno, aveva sperato almeno in un po’ di cibo in più nella ciotola, o almeno un abbraccio, o qualcosa. Ma nessuno aveva detto una sola parola. Dubitava che addirittura se ne ricordassero. Una luce le colse l’occhio e Ceres abbassò lo sguardo scorgendo una carrozza dorata che passava in mezzo alla folla come una bolla nel miele, lenta e scintillante. Si accigliò. Nella sua eccitazione non aveva considerato che anche la famiglia reale sarebbe stata presente all’evento. Li disprezzava, odiava la loro superbia, non sopportava che i loro animali fossero meglio nutriti di quelli della maggior parte della gente di Delo. I suoi fratelli speravano che un giorno avrebbero trionfato sul sistema delle classi sociali. Ma Ceres non condivideva il loro ottimismo: se doveva esserci una qualche sorta di uguaglianza nell’Impero, sarebbe successo solo per mezzo di una rivoluzione. “Lo vedi?” disse Nesos ansimando quando fu salito al suo fianco. Il cuore di Ceres accelerò al pensiero di lui. Rexus. Anche lei si stava chiedendo se fosse già lì e stava scrutando la folla senza risultato. Scosse la testa. “Lì,” indicò Nesos. Lei seguì il suo dito che puntava verso la fontana, strizzando gli occhi. Improvvisamente lo vide e non poté contenere un’esplosione di eccitazione. Si sentiva sempre così quando lo vedeva. Eccolo lì, seduto sul bordo della fontana, intento a provare l’arco. Anche da quella distanza poteva vedere le sue spalle e il petto muscoloso, gonfio sotto alla tunica. Aveva pochi anni più di lei, capelli biondi che spiccavano tra quelle teste nere o castane. La sua abbronzatura brillava al sole. “Aspetta!” gridò una voce. Ceres si guardò alle spalle e alla base del muro vide Sartes che cercava a fatica di arrampicarsi. “Sbrigati, o ti lasciamo qui!” lo pungolò Nesos. Ovviamente non avevano intenzione di lasciarsi alle spalle il fratello più piccolo, anche se doveva imparare a stare al passo. A Delo un momento di debolezza poteva significare la morte. Nesos si fece passare una mano tra i capelli, prese fiato e guardò anche lui la folla. “Quindi su chi punti i tuoi soldi?” le chiese. Ceres si girò e rise. “Quali soldi?” gli chiese. Lui sorrise. “Se ne avessi,” rispose. “Brennius,” rispose senza esitare. Lui sollevò un sopracciglio, sorpreso. “Davvero?” le chiese. “Perché?” “Non lo so.” Scrollò le spalle. “Solo una sensazione.” Ma lo sapeva benissimo. Lo sapeva molto meglio dei suoi fratelli e di tutti i ragazzi della città. Ceres aveva un segreto: non l’aveva detto a nessuno, ma di tanto in tanto si vestiva da ragazzo e si allenava al palazzo. Un decreto reale vietava alle ragazze – pena la morte – di imparare come si combatteva, ma i paesani di sesso maschile erano invece i benvenuti, in cambio di uguale quantità di lavoro nelle stalle del palazzo, un lavoro che lei faceva con gioia. Aveva guardato Brennius ed era rimasta impressionata dal modo in cui combatteva. Non era il più robusto dei combattenti, ma le sue mosse erano calcolate con precisione. “Nessuna possibilità,” rispose Nesos. “Sarà Stefano.” Lei scosse la testa. “Nel giro dei primi dieci minuti Stefano sarà morto,” disse con tono inespressivo. Stefano era la scelta ovvia, il combattente più grosso, e probabilmente più forte, ma non era un calcolatore come Brennius o come alcuni degli altri guerrieri che lei aveva guardato. Nesos rise sonoramente. “Se va davvero così ti darò la mia spada nuova.” Lei guardò la spada che aveva alla vita. Nesos non aveva idea di quanto Ceres fosse stata gelosa quando aveva ricevuto quel capolavoro d’arma come regalo di compleanno da parte di sua madre tre anni prima. La sua spada era un vecchio scarto che suo padre aveva buttato nel mucchio delle cose da riciclare. Oh, quali cosa sarebbe stata capace di fare con una spada come quella di Nesos. “Ti farò mantenere la parola data, lo sai,” disse Ceres sorridendo, anche se in realtà non gliel’avrebbe mai portata via. “Non mi aspetterei niente di meno,” disse lui ridacchiando. Lei incrociò le braccia sul petto mentre un pensiero buio le attraversava la mente. “Nostra madre non lo permetterebbe,” disse. “Ma nostro padre sì,” disse. “È molto fiero di te, lo sai.” Il commento gentile di Nesos la colse impreparata e non sapeva esattamente come reagire, quindi abbassò gli occhi. Amava suo padre e lui amava lei, lo sapeva. Ma per qualche motivo il volto di sua madre le compariva sempre davanti. Tutto ciò che avrebbe desiderato era che sua madre la accettasse e le volesse bene come ai suoi fratelli. Ma per quanto ci provasse, Ceres sentiva di non essere mai abbastanza ai suoi occhi. Sartes sbuffò arrivando in cima al muro dietro di loro. Era ancora più basso di una testa rispetto a Ceres ed era magrolino come un grillo, ma lei era convinta che da un giorno all’altro sarebbe fiorito come un germoglio di bambù. Era successo così a Nesos. Ora era pieno di muscoli ed era alto più di un metro e novanta. “E tu?” chiese Ceres a Sartes. “Chi pensi vincerà?” “Io sono con te. Brennius.” Lei sorrise e gli scompigliò in capelli. Lui ripeteva sempre quello che diceva lei. Si udì un altro rombo, la folla si infittì e Ceres provò un senso di urgenza. “Andiamo,” disse. “Non c’è tempo da perdere.” Senza aspettare Ceres scese dal muro e si mise a correre appena toccata terra. Tenendo d’occhio la fontana, si fece strada attraverso la piazza, desiderosa di raggiungere Rexus. Lui si girò e sgranò gli occhi per la gioia quando la vide. Lei gli si buttò addosso e sentì le sue braccia stringersi attorno alla vita mentre strofinava la guancia ruvida contro la sua. “Ciri,” disse con voce bassa e roca. Un brivido le scorse lungo la schiena quando si girò e si trovò davanti gli occhi blu cobalto di Rexus. Alto un metro e ottantacinque era ormai quasi una testa più di lei, con capelli biondi e spettinati che incorniciavano il viso a forma di cuore. Sapeva di sapone e aria aperta. Cavolo, era bello rivederlo. Anche se sapeva cavarsela da sé quasi in qualsiasi situazione, la sua presenza le donava una sensazione di calma. Ceres si alzò in punta di piedi e intrecciò le braccia attorno al suo collo. Non l’aveva mai visto come più che un amico fino a quando l’aveva sentito parlare della rivoluzione e dell’esercito sotterraneo di cui faceva parte. “Combatteremo per liberarci dal giogo dell’oppressione,” le aveva detto anni prima. Aveva parlato con una tale passione della ribellione che per un momento Ceres aveva davvero creduto che fosse possibile eliminare la famiglia reale. “Com’è andata la caccia?” gli chiese con un sorriso, sapendo che era stato via per giorni. “Mi è mancato il tuo sorriso.” Le accarezzò i lunghi capelli dorati. “E i tuoi occhi color smeraldo.” Anche a lei era mancato, ma non osò dirlo. Aveva troppa paura di perdere la loro amicizia se qualcosa fosse successo tra loro. “Rexus,” disse Nesos raggiungendoli e stringendogli un braccio, subito seguito da Sartes. “Nesos,” lo salutò lui con voce profonda e autoritaria. “Abbiamo poco tempo se vogliamo entrare,” aggiunse facendo cenno agli altri. Si affrettarono tutti mescolandosi con la folla che si stava dirigendo verso l’arena. Ovunque c’erano soldati dell’Impero che spingevano la gente avanti, a volte con mazze e fruste. Più vicini andavano alla strada che conduceva all’arena e più la folla si faceva fitta. All’improvviso Ceres udì del baccano provenire da una delle bancarelle e istintivamente si girò verso il rumore. Vide che si era aperto un generoso spazio attorno a un ragazzino che era ora affiancato da due soldati dell’Impero e da un mercante. Un paio di spettatori se ne andarono mentre altri si misero in cerchio a guardare.

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