Ceres corse avanti e vide uno dei soldati che strappava una mela dalle mani del ragazzino e lo scuoteva violentemente tenendolo per un braccio.
“Ladro!” ringhiò il soldato.
“Pietà, per favore!” gridò il bambino con le lacrime che scorrevano lungo le guance sporche e scavate. “Avevo… così tanta fame!”
Ceres si sentì il cuore esplodere per la compassione, dato che lei stessa aveva fame e sapeva che ai soldati non mancava la crudeltà.
“Lasciate andare il ragazzo,” disse il mercante con calma facendo un gesto con la mano. Il suo anello d’oro brillò al sole. “Posso permettermi di dargli una mela. Ne ho centinaia.” Ridacchiò un poco, come a voler alleggerire la situazione.
Ma la folla che si era raccolta là attorno fece silenzio mentre i soldati si giravano per affrontare il mercante con le armature che brillavano alla luce e sferragliavano. Il cuore di Ceres sprofondò per il mercante: sapeva che nessuno doveva mai osare affrontare l’Impero.
Un soldato si fece avanti minacciosamente verso l’uomo.
“Difendi un criminale?”
Il mercante spostò lo sguardo dal soldato al ragazzino, ora apparentemente insicuro. Il soldato si girò e colpì il bambino al viso provocando uno scricchiolio che fece rabbrividire Ceres.
Il ragazzino cadde al suolo con un tonfo mentre la folla sussultava.
Indicando il mercante il soldato disse: “Per provare la tua lealtà all’Impero, terrai fermo il bambino mentre lo fustighiamo.”
Gli occhi del mercante si fecero duri, la fronte sudata. Con sorpresa di Ceres, l’uomo tenne loro testa.
“No,” rispose.
Il secondo soldato fece due passi minacciosi verso di lui e portò la mano sull’elsa della spada.
“Fallo o perderai la testa e bruceremo la tua bancarella,” disse il soldato.
Il volto rotondo del mercante si afflosciò e Ceres capì che era sconfitto.
Lentamente l’uomo si avvicinò al ragazzino e gli prese le braccia inginocchiandosi davanti a lui.
“Ti prego, perdonami,” disse con le lacrime che gli facevano luccicare gli occhi.
Il bambino piagnucolò e poi iniziò a gridare cercando di liberarsi dalla presa dell’uomo.
Ceres vide che il ragazzino tremava. Voleva continuare ad andare verso l’arena, evitare di vedere quella scena, ma i suoi piedi rimasero fermi sul posto, in mezzo alla piazza, con gli occhi incollati a quella brutalità.
Il primo soldato strappò la tunica del ragazzino mentre il secondo faceva schioccare una frusta sopra la testa. La maggior parte degli astanti incitava i soldati ad andare avanti, mentre un pochi mormoravano e si allontanavano a testa bassa.
Nessuno si mise a difendere il ladro.
Con un’espressione avida e quasi folle, il soldato fece schioccare ancora la frusta contro la schiena del ragazzo, facendolo gridare di dolore. Il sangue sgorgò dalla ferite fresche. Ripetutamente il soldato lo frustò fino a che la testa del bambino rimase reclinata indietro e smise di gridare.
Ceres provò la forte urgenza di scattare in avanti e salvarlo. Ma sapeva che fare una cosa del genere avrebbe significato la morte per lei, e la morte di tutti i suoi cari. Rimase a spalle basse, sentendosi inerme e sconfitta. Dentro di sé decise che un giorno si sarebbe vendicata.
Tirò Sartes verso di lei e gli coprì gli occhi, disperatamente desiderosa di proteggerlo, di concedergli ancora alcuni anni di innocenza, anche se non c’era innocenza da vivere in quella terra. In quanto uomo doveva vedere quegli episodi di crudeltà, non solo per abituarvisi, ma anche per essere un giorno un forte combattente nella ribellione.
I soldati strapparono il ragazzino dalle mani del mercante e buttarono il corpo quasi privo di vita su un carro di legno. Il mercante si coprì il volto con le mani e singhiozzò.
Nel giro di pochi secondi il carro era partito e lo spazio precedentemente aperto era di nuovo pieno di gente che andava da una parte e dall’altra della piazza come se niente fosse successo.
Ceres provò un crescente senso di nausea crescerle dentro. Era ingiusto. In quel momento avrebbe potuto indicare cinque o sei ladruncoli – uomini o donne che avevano perfezionato la loro arte così bene che neanche i soldati dell’Impero potevano beccarli. La vita di quel povero ragazzino era ora rovinata a causa della sua mancanza di abilità. Se venivano presi, i ladri – giovani o adulti – venivano menomati o peggio, a seconda dell’umore del giudice quel giorno. Se fosse stato fortunato gli avrebbero risparmiato la vita e sarebbe stato condannato a lavorare per tutta la vita nelle miniere d’oro. Ceres avrebbe preferito morire piuttosto che dover sopportare di restare imprigionata a quel modo.
Continuarono lungo la strada con l’umore rovinato, spalla a spalla con le altre persone mentre il calore saliva e si faceva già quasi insopportabile.
Una carrozza dorata si portò vicino a loro, costringendo tutti a farsi da parte, spingendo la gente contro le case che si trovavano ai lati. Spinta bruscamente, Ceres sollevò lo sguardo e vide tre ragazze con colorati abiti di seta, forcine d’oro e preziosi gioielli che adornavano le loro elaborate acconciature. Una di loro, ridendo, tirò una monetina sulla strada. Una manciata di paesani si fermarono e si inginocchiarono a terra a caccia di quel pezzo di metallo che avrebbe dato da mangiare a una famiglia intera per un mese.
Ceres non si fermava mai a raccogliere l’elemosina. Sarebbe morta di fame piuttosto che accettare un dono da gente come quella.
Vide un giovane che riusciva a prendere la moneta e un uomo più anziano che lo buttava a terra e gli stringeva una grossa mano attorno al collo. Con l’altra mano l’uomo più vecchio riuscì a prendere la moneta dalla mano del giovane.
Le ragazzine risero indicandoli prima che la carrozza continuasse a farsi strada tra la folla.
Ceres provò un profondo disgusto.
“Nel prossimo futuro le disuguaglianze svaniranno per sempre,” disse Rexus. “Me ne occuperò io.”
Sentendolo parlare Ceres si sentì meglio. Un giorno avrebbe combattuto al suo fianco e insieme ai suoi fratelli nella ribellione.
Man mano che si avvicinavano all’arena le strade si facevano più larghe e Ceres ebbe la sensazione di poter prendere fiato. L’aria vibrava. Sentiva di poter saltare per aria per l’eccitazione.
Passò attraverso uno delle decine di ingressi ad arco e sollevò lo sguardo.
Migliaia e migliaia di abitanti si trovavano all’interno della magnifica arena. La struttura ovale era crollata dal lato settentrionale e la maggior parte delle tende parasole rosse erano strappate e fornivano scarsa protezione dal sole soffocante. Bestie selvagge ringhiavano dietro a cancelli di ferro e porte e Ceres vide i combattenti che si trovavano già pronti dietro ai cancelli.
Sussultò osservando tutto con meraviglia.
Prima di capirlo, sollevò lo sguardo e si rese conto di essere rimasta indietro rispetto a Rexus e ai suoi fratelli. Corse in avanti per raggiungerli, ma non appena lo fece quattro uomini robusti già l’avevano circondata. Sentì l’odore di alcool e pesce marcio, oltre all’odore dei loro corpi man mano che si facevano più vicini, voltandosi a guardarla con i loro orrendi sorrisi che svelavano denti gialli e marci.
“Tu vieni con noi, bellezza,” disse uno di loro mentre strategicamente tutti e quattro si chiudevano attorno a lei.
Il cuore di Ceres batteva forte. Guardò in avanti alla ricerca degli altri, ma erano già persi nella folla che si faceva sempre più folta.
Affrontò allora gli uomini, cercando di mostrare il suo volto più coraggioso.
“Lasciatemi stare, altrimenti…”
Quelli scoppiarono a ridere.
“Altrimenti cosa?” la derise uno. “Una poppante come te contro noi quattro?”
“Ti potremmo portare via da qui scalciante e urlante e nessuno direbbe nulla,” aggiunse un altro.
Ed era vero. Con la coda dell’occhio Ceres guardò la gente che passava fingendo di non notare come quegli uomini la stessero minacciando.
Improvvisamente il volto del capo si fece serio e con una rapida mossa le afferrò le braccia e la tirò verso di sé. Ceres sapeva che avrebbero potuto trascinarla via senza che nessuno la rivedesse mai più, e questo pensiero la terrorizzava più di ogni altra cosa.
Cercando di ignorare il cuore che batteva, Ceres ruotò su se stessa strappando il braccio dalla stretta del bruto. Gli altri uomini se la spassavano divertiti, ma quando lei premette la base della mano contro il naso dell’uomo spingendogli indietro la testa, fecero silenzio.
L’uomo si mise le mani luride sul naso e sbuffò.
Ceres non si fermò. Sapendo che quella era la sua possibilità, gli diede un calcio nello stomaco, ricordando i suoi allenamenti, e lui si piegò in avanti.
Subito però gli altri tre le furono addosso, le grosse mani che la afferravano e la tiravano via.
Immediatamente si fermarono. Ceres sollevò lo sguardo e fu sollevata di veder apparire Rexus che dava un pugno in faccia a uno dei bruti e lo mandava al tappeto.
Poi apparve Nesos che ne afferrò un altro dandogli una ginocchiata nello stomaco e poi un calcio, spedendolo in terra e lasciandolo nella terra rossa.
Il quarto uomo si avventò contro Ceres, ma proprio mentre stava per attaccare, lei si abbassò, ruotò e gli diede un calcio nella schiena facendolo volare e andare a sbattere con la testa contro una colonna.
Ceres rimase ferma a guardare la scena, respirando affannosamente.
Rexus le mise una mano sulla spalla. “Stai bene?”
Il cuore di Ceres le stava ancora battendo all’impazzata, ma una sensazione di orgoglio presto sostituì quella di paura. Aveva fatto le cose per bene.
Annuì e Rexus le mise un braccio attorno alle spalle, sorridendo mentre procedevano.
“Cosa c’è?” chiese Ceres.
“Quando ho visto quello che stava succedendo, avrei voluto trafiggerli uno per uno con la mia spada. Ma poi ho visto come ti difendevi.” Scosse la testa e ridacchiò. “Non se l’aspettavano.”
Lei si sentì avvampare in viso. Avrebbe voluto dire che non aveva paura, ma la verità era che ne aveva avuta.
“Ero nervosa,” ammise.
“Ciri nervosa? Mai.” Le diede un bacio sopra alla testa e continuarono ad addentrarsi nell’arena.
Trovarono alcuni posti al livello del suolo e si sedettero, Ceres emozionata che non fosse troppo tardi e gettandosi alle spalle tutti gli eventi del giorno, lasciandosi travolgere dall’entusiasmo della folla esultante.
“Li vedi?”
Ceres seguì il dito di Rexus e vide una decina circa di adolescenti che sedevano a un chiosco sorseggiando vino da dei calici d’argento. Non aveva mai visto degli abiti così belli, così tanto cibo sullo stesso tavolo, così tanti gioielli scintillanti tutti in una volta. Nessuno di loro aveva le guance scavate o la pancia incavata.
“Cosa stanno facendo?” chiese quando vide uno di loro che raccoglieva delle monete in una ciotola d’oro.
“Ciascuno di loro possiede un combattente,” disse Rexus, “e scommettono su chi vincerà.”
Ceres ridacchiò. Quello era solo un gioco per loro. Ovviamente quei ragazzini viziati non erano interessati ai guerrieri o alle tecniche di combattimento. Volevano solo vedere se il loro combattente avrebbe vinto. Ma per Ceres quell’evento era qualcosa che riguardava strettamente l’onore, il coraggio e l’abilità.
Gli stendardi regali vennero levati, le trombe suonarono e quando i cancelli di ferro vennero aperti da ogni estremità dell’arena, un combattente alla volta tutti uscirono marciando dai buchi neri con le armature di ferro e pelle che brillavano al sole sprigionando meravigliosi bagliori.
La folla esultò mentre i lottatori marciavano nell’arena e Ceres si alzò in piedi insieme a loro applaudendo. I guerrieri si misero in cerchio con i volti rivolti verso l’esterno, le asce, spade, lance, scudi, tridenti, fruste e altre armi sollevate verso il cielo.
“Ave, re Claudio,” gridarono.
Le trombe suonarono ancora e la carrozza dorata di re Claudio e regina Atena entrò velocissima nell’arena da uno degli ingressi. Vicino ad essa c’era una carrozza con il principe Avilius e la principessa Floriana e, dopo di loro, un intero seguito di carrozze che trasportavano membri della famiglia reale. Ogni carrozza era trainata da due cavalli bianchi come la neve, adornati con preziosi gioielli e oro.
Quando Ceres scorse il principe Tano in mezzo a loro rimase colpita dal cipiglio del giovane diciannovenne. Di tanto in tanto, quando consegnava spade per suo padre, l’aveva visto parlare con i combattenti a palazzo, e aveva sempre quell’aspra espressione di superiorità. Nel suo fisico non mancava niente di ciò che servisse a un guerriero e lo si poteva quasi scambiare per uno di loro: le braccia piene di muscoli, la vita stretta e soda, le gambe dure come tronchi d’albero. Eppure la faceva infuriare il modo in cui non mostrava il minimo rispetto né passione per la sua posizione.
Mentre i reali sfilavano per andare a prendere posto sul palco, le trombe suonarono di nuovo, segnalando che le Uccisioni stavano per avere inizio.
La folla gridò mentre tutti meno due combattenti svanivano tornando dietro ai cancelli di ferro.