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1012 Words
«Accendi i fari, se vuoi vedere» disse Adrian, che era accosciato sull’altro sedile. Quasi mi misi a ridere. Anche nella frenesia del momento era riuscito a evitare di sedersi sul sedile intriso di pipì. Accesi i fari e scesi dal furgone. Clyde era a terra ed era piuttosto malmesso. I suoi jeans erano strappati in più punti, aveva il viso sanguinante ed abraso e il suo braccio destro era piegato in modo innaturale. Socchiuse un occhio e mi guardò, ma fu subito evidente che non gli interessavo. Il suo sguardo saettò tutto attorno. «Cerchi me?» chiese Adrian, dolcemente, accosciandosi accanto alla sua testa. «Eccomi, lupacchiotto». Clyde deglutì. «Non... puoi... uccidermi...» disse. Era evidente che parlare gli costava un grosso sforzo. In effetti la sua mascella non sembrava a posto. «Ma certo che posso ucciderti» ribatté Adrian, in tono allegro. «Perché mai non potrei?». «Le... leggi...» articolò Clyde. Il sorriso di Adrian si fece più pronunciato. «Di quali leggi farnetichi, lupacchiotto? Hai appena cercato di inchiappettarti la mia... mh... assistente» concluse, con una risata, alzando lo sguardo su di me. «Assistente?» ripeté, con uno scintillio ironico nello sguardo. «Ah, il ventunesimo secolo, un eufemismo per ogni cosa». Si rialzò e si accarezzò il mento, tornando a guardare Clyde, a terra. «Certo che posso ucciderti, stupido stronzo. Se non l’avessi trascinata sul tuo furgone avrei lasciato perdere. Non ho nessun interesse a stuzzicare il cane che dorme. Se ti fossi lasciato portare alla mia macchina, a quest’ora saresti un lupacchiotto ferito solo nell’orgoglio. Ma, be’...» sorrise di nuovo «...non posso dire che mi dispiaccia come sono andate le cose. Sono decenni che non assaggio uno di voi canidi». Clyde cercò di rialzarsi, ma franò di nuovo miseramente a terra. «Non... ti lasceranno... fare...» iniziò. «Chi non mi lascerà fare che cosa, sacco di pulci?» rise Adrian. «Vedi qualche pezzo grosso, qua attorno? Ah, sì: io. Continuo a dimenticarlo». Si accucciò di nuovo accanto a lui e gli aprì il giubbotto con un gesto secco. Strappò i vestiti che aveva sotto, lasciandolo a torso nudo. «Moltissimi anni fa c’era un modo per uccidere voi pelosetti... la saggezza dei tempi andati. Vi estraevamo il cuore dal petto, ma senza strappare... oh, no. Lo tiravamo solo un pochetto fuori, quel tanto che bastava a mordervi lì. Ovviamente è un po’ doloroso, ma è così scenografico». Clyde iniziò a respirare più velocemente, spaventato. «No... non... lo... faresti...» Io osservavo la scena con un misto di raccapriccio e di fascino, come si osservano i resti di un incidente stradale. «No, figurati, non lo farei mai... per prima cosa» sorrise Adrian, avvicinando il viso a quello dell’altro. Gli leccò il sopracciglio da cui sanguinava e alzò lo sguardo su di me. «Hai qualche suggerimento, animaletto? Da dove cominciamo? Lo inculiamo, in onore della legge del contrappasso? Gli spezziamo gli arti ancora interi? Lo smembriamo? Lo lapidiamo? Lo eviriamo? Gli strappiamo gli occhi? Gli bruciamo i piedi?». «S-Sarah...» implorò Clyde, cercandomi con lo sguardo. «Secondo me è un’idea del cazzo» commentò Adrian, sentenzioso. «Ti senti misericordiosa, Sarah?». Feci un gesto disgustato. «Uccidilo e basta». Adrian rise e tornò a guardare Clyde. «Mi rimangio tutto. Poteva funzionare. Peccato che questo sia il mio show, non quello della mia... assistente». Si chinò di nuovo su di lui e lo schiacciò a terra. Clyde guaì. Lo morse su una spalla e bevve per qualche secondo. «Non hai ancora abbastanza paura, lupacchiotto. Non provi ancora abbastanza dolore». Gli prese il braccio fratturato e glielo torse. Clyde urlò. «È una fortuna che tu abbia scelto un posto così isolato, per il tuo piccolo stupro. Pensa come sarebbe seccante se arrivasse qualcuno. Ma no, aspetta... forse sento il rumore di una macchina?». Gli afferrò l’altro braccio e lo spezzò con un colpo secco, facendolo urlare di nuovo. «Scherzetto» sorrise. «Siamo soli, noi tre. È tutto molto intimo... credo che mi stia venendo duro». Gli infilò due dita dentro la bocca e tirò. La sua mandibola si spalancò con un crock secco, restando aperta in modo innaturale e zampillando sangue dagli angoli delle labbra. Adrian lo leccò via, mentre l’altro gridava ancora. «Non me lo sono mai fatto succhiare da uno di voi lupacchiotti» gli disse Adrian, con aria felice. Si alzò e iniziò a slacciarsi i pantaloni. Clyde gemette e cercò di strisciare via, voltando la testa da un lato. Adrian si accucciò di nuovo. «Quante storie per un pompino» rise. Gli infilò una mano dentro alla bocca. «Ho una notizia buona e una cattiva. Quale vuoi sentire per prima? Eh? Non ho capito. Be’, ti darò prima quella buona: scherzavo, me l’hai fatto diventare come un topo morto... non potrei scoparti in bocca nemmeno volendo». La sua mano si mosse leggermente e Clyde emise un gemito. «Quella cattiva: in ogni caso che cosa potresti mai ciucciare, senza lingua?». Diede uno strattone e io sentii un conato risalirmi dallo stomaco. Gli aveva strappato la lingua dalla radice e ora Clyde urlava e urlava, con voce acuta, sprizzando sangue. Le sue grida si spensero in un gorgoglio, quando il sangue gli riempì la cavità orale. Adrian gli inclinò la testa da un lato e bevve a lunghe sorsate, infradiciandosi il mento. «Ottimo» commentò, rialzando la testa. «Ma non durerà più molto». Gli osservò il petto e posò una mano sopra il suo cuore, a coppa. «Te l’ho promesso, vero?» sorrise. Quello che seguì fu semplicemente raccapricciante. Mi appoggiai al cofano tutto sfondato del furgone, sentendomi vicina a svenire per l’orrore. Iniziò a spingere. La punta delle sue dita penetrò nella carne del petto dell’altro. Poi penetrò ancora. Fece uno scatto circolare con il polso e si sentirono dei piccoli schiocchi mentre le costole di Clyde si rompevano. Adrian scavò con entrambe le mani, gettandosi alle spalle grumi di carne sanguinante e frammenti d’osso. Infilò la mano nel cratere sanguinolento che aveva creato nel petto dell’altro e, con estrema cautela, gli tirò parzialmente fuori il muscolo cardiaco, che ancora pompava debolmente. «È un peccato che tu non possa vedere» disse, rivolto alla maschera insanguinata che era il viso dell’altro. Clyde, ci tengo a sottolinearlo, era ancora almeno parzialmente cosciente. I suoi occhi si muovevano e il suo naso emetteva un sibilo incostante. «Guarderò per tutti e due» concluse Adrian, chinandosi sul cuore dell’altro. Lo morse e iniziò a bere. Il corpo di Clyde fece un paio di scatti, poi rimase fermo. Adrian scostò la bocca e si pulì le mani sui jeans di quello che era ormai un cadavere. Si leccò le labbra. Si voltò verso di me e poi alzò gli occhi verso il cielo. «Serata meravigliosa, vero?» disse.
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