5.-2

2017 Words
«Faglielo prima sentire» disse Adrian. Capii a che cosa si riferiva un attimo più tardi, quando la punta di un altro cazzo mi si posò sul buchetto del sedere, che era decisamente sensibile, a quel punto. Rimasi ferma dov’ero e, poco dopo, Cadmon mi entrò dentro con tutto il glande, allargandomi di colpo. Il dolore fu tale che diedi un morso ad Adrian. Subito dopo pensai che mi avrebbe ammazzata. Lui, invece, me lo spinse dentro fino in gola. «Mordi più forte» disse. Lo feci, mentre Cadmon mi penetrava completamente e iniziava a muoversi. Adrian gemette, a me sembrò di esplodere. Il cazzo di Cadmon mi martoriava lentamente. Ansimai, leccando le goccioline di sangue che erano uscite dove avevo morso Adrian. Le ferite erano guarite all’istante, capii, quando ripresi a succhiarglielo. Adrian si scostò e mi scivolò sotto. Mi baciò sulle labbra e mi entrò dentro anche lui, riempiendomi la fica. Ansimai forte. Sentivo i cazzi di entrambi. Sentivo che strusciavano l’uno contro l’altro, separati da una sottile parete di carne. E mi sentivo piena, così piena da esplodere. Cadmon continuava ad allargarmi il buchetto posteriore, mentre Adrian si dedicava energicamente a quello anteriore. Non avevo un millimetro libero e sentii l’orgasmo che si avvicinava. Ancora una volta, agirono in contemporanea. Cadmon si sdraiò sulla mia schiena e mi morse sul lato destro del collo. Adrian, da sotto, mi morse su quello sinistro. Sentii quello strano brivido partire dal punto in cui mi mordevano e attraversarmi il corpo, intensificando tutte le sensazioni di piacere. Mi contrassi attorno a loro mentre loro bevevano e mi venivano dentro. Mi sembrò che ogni singola parte del mio corpo gridasse il suo godimento. Adrian iniziò a leccarmi sul collo, fermandosi. Cadmon scivolò via da dentro il mio culetto, ma continuò a bere. «Basta» gli disse Adrian. Cadmon sollevò la testa. «Hai ragione» mormorò, con voce un po’ roca. Mi leccò delicatamente sul collo. «Ci sono cascato anch’io, una delle prime volte» disse Adrian. Posai la testa sul suo petto, ancora stesa su di lui, e lui mi accarezzò la nuca. «L’ho bevuta per due terzi». «È davvero deliziosa. Perché è così deliziosa?». Adrian continuò ad accarezzarmi. «Non sempre. Solo quando gode. Non ne ho la minima idea. comunque. Forse è un fattore genetico, ripensandoci. Ho conosciuto un’altra scozzese con un sapore simile, più di seicento anni fa». Mi passò un dito su una chiappa, facendomi sobbalzare. «Ecco perché mi è tornata in mente. Cadmon, sii gentile, fai qualcosa per questo sederino rosso». L’altro rise e, un istante più tardi, sentii la sua lingua che mi leccava, lasciandomi sulla pelle quel particolare formicolio dei tessuti che si riparavano. Rimasi lì per un po’, stanca e intontita, con quei due che si prendevano cura di me. Non era niente male. Poi Adrian mi infilò sotto alle coperte e disse: «Riposati, dormi. Ti sveglio io». +++ «Sai dove vive?» mi chiese, diverse ore più tardi. Eravamo ancora a Inverness, era ancora notte. Le notti, d’inverno, nel nord della Scozia sono molto lunghe. Erano più o meno le dieci di sera ed eravamo di nuovo seduti nella station-wagon anonima di Adrian. Scossi la testa. «No, però potrebbe essere all’Highland’s Cove». «Locale notturno?». «A Inverness? Fai più un grosso pub» risi io. In realtà ero molto preoccupata. L’idea di rivedere Clyde non mi piaceva per niente. Anzi, siamo onesti: l’idea di rivedere Clyde per metà mi terrorizzava e per metà mi faceva venir voglia di vomitare. Io non volevo vendicarmi, perché Adrian doveva costringermi a farlo? «No, no, chi ti vuole costringere?» rispose ai miei pensieri, lui, impostando una nuova destinazione sul navigatore. «Questo non è il tuo show. È il mio show. D’altronde, il padrone sono io. Vedi, noi succhiasangue abbiamo una serie di noiose regole che...». Si interruppe, mise in moto e diede un colpetto di tosse. «Abbiamo una serie di sacrosante regole, dicevo. Continuo a dimenticare che ora sono un rispettabile consigliere. Per farla breve, posso fare al tuo ex-amichetto Clyde tutto quello che voglio in piena legalità. È mio diritto torturarlo, seviziarlo e terrorizzarlo. È un’occasione da non perdere». In effetti, sembrava piuttosto soddisfatto. «E, scusa, queste regole che cosa dicono?» chiesi io. «Molte, moltissime cose. In questo caso dicono che se qualcuno fa male a uno dei miei schiavi io ho il diritto di punirlo, perché la vita del mio schiavo è più importante della sua». «Quando mi ha... non ero tua...» balbettai io, confusa. Adrian rise. «Non cercare il pelo nell’uovo, animaletto. Sarà divertente, vedrai. Mmh... quello dev’essere l’Highland’s Cove. Hai ragione, non è un granché». Entrò nel parcheggio del locale e spense il motore. L’Highland’s Cove era un grosso pub a due piani, con una pista da ballo al piano terra e una balconata a quello superiore, in stile vecchio West. La gente della mia età più che altro ci andava per sbronzarsi e rimorchiare, non certo per il cibo o per la musica. Scendemmo dalla macchina. Adrian si guardò attorno e sulla sua fronte si disegnò una piccola ruga. Seguii il suo sguardo. Stava guardando un gruppo di trentenni palesemente ubriachi che stavano salendo sulla loro macchina. «Strano» disse. «Strano che cosa?» chiesi io, stringendomi le spalle con le mani. La mia giacca da motociclista poteva essere coreografica, ma non era certo calda e in quel momento ci saranno stati due o tre gradi al massimo. Adrian alzò il viso e annusò l’aria. Così, come se fosse normale. «Che cosa?» insistetti io. Sembrò riscuotersi e si voltò verso di me. «È meglio che io non entri. Potrebbe essere vista come una provocazione. Entra tu. Se il tuo ex-amico è dentro, portalo fuori». Sgranai gli occhi. «Eh?». Lui aprì la portiera. «È facilissimo. Lo avvicini e gli dici che vuoi parlargli a tu per tu. Uscite, fa freddo, lo porti alla macchina. Al resto ci penso io. Forza, vai, non voglio perdere tutta la notte aspettando in un parcheggio». Risalì in macchina e chiuse la portiera. Nell’oscurità della sera, sembrò scomparire completamente. Sbuffai e andai verso l’ingresso del pub. In un certo senso era meglio così. Sarei entrata, mi sarei guardata attorno e sarei uscita, dicendo ad Adrian che di Clyde non c’era traccia. Poteva forse accorgersi che non avevo guardato molto bene, ma non sembrava più così ansioso di andare a caccia, quindi probabilmente avrebbe lasciato perdere. Entrai nell’Highlands. Se fuori l’aria era fredda e umida, dentro era caldissima e troppo secca. Andai verso il bancone, stupendomi di quanto poco fosse cambiato quel posto in un anno. Metà della gente che ballava aveva un viso familiare. Mi appoggiai al bancone, sapendo che prima che qualcuno prendesse il mio ordine sarebbero passati degli anni. Il mio ordine? Io non avrei ordinato. Sarei rimasta dentro quel posto il minimo indispensabile perché Adrian... «Chi si vede. Sarah» disse una voce, mentre una mano mi atterrava su una spalla. Conoscevo quella voce. Oh, la conoscevo molto bene. Mi sembrò di diventare di pietra, mentre il terrore mi bloccava il fiato in gola. Mi voltai lentamente. Clyde mi stava guardando con espressione sorniona. Capelli scompigliati, barba lunga, occhi duri. Deglutii. «Avevo sentito dire che ti eri trasferita a Londra» disse, come se tra noi fosse tutto a postissimo. Annuii rigidamente. «E che fai, di bello, nella grande città?». «La... la assistente» balbettai. Non gli avrei di certo rivelato che avevo lavorato in un locale di lap dance e che ora ero la schiava di un vampiro. Oddio, la seconda cosa avrei anche potuto dirla: chi mai ci avrebbe creduto? Non a lui, in ogni caso. «L’assistente» ripeté Clyde, in tono finto-impressionato. «E come mai un’importante assistente come te è tornata nel vecchio buchetto in cima al mondo?». Presi fiato. Ora che lo vedevo e che vedevo il modo in cui mi parlava, mi guardava e mi teneva familiarmente la mano sulla spalla, l’idea che Adrian ne facesse polpette iniziava a sembrarmi... sì, divertente. «D-devo parlarti» sputai fuori. Lui ridacchiò, avvicinando la testa alla mia. «Vuoi parlarmi o vuoi che andiamo cinque minuti in bagno?». Ricacciai giù un conato di vomito. «Devo parlarti e basta. In privato, sì, ma non in bagno. Usciamo». Scrollando via la sua mano, mi avviai verso il parcheggio. Mi avrebbe seguita? Un istante più tardi seppi che l’aveva fatto. Uscì dietro di me, stringendosi nel giubbotto sdrucito. «Certo che potevi scegliere anche un posto più caldo, eh, coniglietta?». «Non chiamarmi coniglietta» sbottai io. Lui rise di nuovo e si avvicinò con aria noncurante. Mi passò una mano su una spalla e iniziò a camminare. «Dai, Sarah Adams... non fare una scenata. Ti chiamerò solo con il nome scritto sul tuo certificato di nascita, va bene? Di che cosa vuoi parlarmi? Perché non ce ne andiamo in un posto caldo e non ci divertiamo un po’, invece di stare qua a congelarci le chiappe?». Cercai di divincolarmi, ma lui mi tenne stretta con il braccio. «A-andiamo alla mia macchina» balbettai. Lui mi lanciò un’occhiata soddisfatta. «Questo è parlare. Andiamo sul mio furgone, però». Ormai piuttosto nel panico, feci la cosa peggiore: mi paralizzai. Il cervello mi abbandonò completamente e non riuscii a pensare a un motivo qualunque per cui andare nella mia macchina. Il cuore mi batteva forsennatamente, ero sudata e ghiacciata nello stesso momento e non avevo la forza di fare niente. Mi lasciai portare verso il suo furgone come le mucche si fanno portare verso il mattatoio. Sanno che là dentro succede qualcosa di brutto, ma vanno avanti lo stesso. Clyde mi infilò sul sedile del passeggero praticamente come se fossi una bambina e mi allacciò persino la cintura di sicurezza. Salì a sua volta e mise in moto. «C-Clyde... no...» sussurrai io. Non avevo la forza di fare niente. Mi sentivo le gambe fiacche e mi girava la testa. Era una sensazione orribile, di completa impotenza, ed era peggiorata dalla consapevolezza che se fossi riuscita a superare il terrore avrei potuto fare qualcosa. Era come la prima volta. Iniziai a rivedere quello che era successo come in un film e questo fece crescere ulteriormente il mio terrore. Iniziai a piangere silenziosamente e mi feci la pipì addosso. Ero a tal punto nel panico che sentii sollevata del fatto che Clyde non se ne fosse accorto. Rimasi, lì, paralizzata, a mollo nella mia urina, mentre lui si allontanava dal locale lungo una stradina laterale. Dopo qualche chilometro, si fermò in una piazzola e spense il motore. Si voltò verso di me, rivolgendomi un sorriso raccapricciante. «C-Clyde...» implorai. Mi slacciò la cintura di sicurezza e mi sbottonò i pantaloni. «Non prenderla nel verso sbagliato ma hai un odore schi- Fu interrotto da un forte colpo sul tetto del furgone. «Che cazzo è stato?» disse, riaccendendo le luci. Davanti al furgone, dritto nella luce dei fari, c’era Adrian, fermo con le mani in tasca. Mi scongelai di colpo. Mi allungai verso la mia portiera e provai ad aprirla. Era bloccata. Iniziai a cercare a tentoni il pulsante di sblocco. Sentii un tremendo frastuono di lamiere e mi voltai. La portiera sul lato di Clyde era stata strappata dal furgone. Adrian si chinò nel buco e vidi il riflesso del suo sorriso mentre diceva, in tono mondano: «Disturbo?». Quello che avvenne subito dopo fu allucinante. Clyde ringhiò. Esatto: ringhiò come un cane rabbioso e si scagliò contro Adrian, buttandolo a terra. E, credetemi, buttare a terra Adrian non è esattamente una cosa alla portata di tutti. Adrian si rialzò immediatamente e colpì Clyde con un colpo velocissimo, buttandolo diversi metri più in là. Per qualche istante li persi di vista, per poi rivederli nel cerchio di luce dei fari, che lottavano avvinghiati. Clyde era... diverso. Il suo viso si era allungato e le sue mani sembravano terminare con degli artigli. Adrian gli afferrò la testa e gliela sbatté contro il cofano del furgone. Fu il cofano ad avere la peggio. Clyde ringhiava e cercava di ghermire Adrian, ma lui non lo lasciò avvicinare. Continuava a colpirlo con affondi veloci e precisi, facendolo guaire ogni volta. Lo prese per un braccio e sentii un rumore secco, seguito da un grido. Saltai sul sedile del guidatore e provai a mettere in moto. Funzionò. Il motore si accese e io inserii la retromarcia. Volevo tirare sotto quel figlio di puttana ed ero decisa a farlo. Retrocessi per una decisa di metri e inserii la prima. Accelerai il più possibile, cercando di tenere il furgone in traiettoria. Adrian lanciò Clyde contro il muso del veicolo e saltò da un lato. Sentii un colpo fortissimo e frenai. Rimisi la retromarcia. Poi la prima. Accelerai di nuovo. Sentii qualcosa sotto le ruote. Fu una sensazione meravigliosa, semplicemente. Tornai di nuovo indietro. Ero pronta a investire Clyde una terza volta, quando una mano girò la chiave nel quadro e il furgone si spense con un borbottio, fermandosi dopo qualche metro.
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