6.
Quello che avvenne dopo fu non meno allucinante. Adrian prese il corpo di Clyde e lo buttò dentro il suo furgone come se fosse un sacco.
«Vieni con me» disse.
Lo seguii lungo la strada, fino alla sua auto.
«Nel baule c’è una bottiglia d’acqua. Passamela».
Feci come diceva. Adrian prese la bottiglia e la usò per lavarsi la faccia e le mani. Poi si sporse a prendere una sacca dal sedile posteriore. «Tieni. Cambiati i pantaloni e la biancheria. Lavati. Io vado a fare un piccolo falò».
Aprii la sacca. C’erano dentro dei vestiti di ricambio.
Mi sfilai velocemente gli anfibi, i pantaloni e gli slip. Buttai gli ultimi due dentro un sacchetto per la spazzatura. Mi chiedevo quale mente potesse approntare un kit del genere, da portarsi dietro.
Mi lavai con l’acqua rimasta nella bottiglia e mi infilai i vestiti nuovi, che erano un paio di jeans aderenti. Mi rimisi le scarpe.
In lontananza, iniziai a vedere un bagliore arancione.
Probabilmente Adrian aveva dato fuoco al furgone di Clyde, con il corpo di Clyde dentro.
Lo vidi tornare dopo qualche minuto. Mi aprì cerimoniosamente la portiera del passeggero. Per un attimo, pensai di non salire. Sapevo che non mi avrebbe obbligata a farlo o, quanto meno, lo speravo.
Mi guardò e si strinse nelle spalle, assolutamente sereno.
Entrai.
Mi accoccolai contro la portiera in posizione fetale. Adrian mise in moto e fece un’inversione a U. Iniziò a fischiettare tra i denti una musica che non conoscevo, ma poi cambiò idea e accese lo stereo.
Si sintonizzò su una stazione di hip-hop.
Sbuffai.
«Evoluzione» disse lui. «L’unico modo per non estinguersi».
+++
Una mezz’ora più tardi si fermò nel parcheggio di un motel. Ormai erano le due di notte e dovemmo svegliare il portiere, per farci dare una camera.
Naturalmente era una stanza pulciosissima, ma ci passai sopra all’istante. Avevo la mente occupata da ben altri pensieri.
Adrian mollò la sacca sul letto. «Nella mia immensa generosità, ti lascio la doccia» disse.
Annuii come un robot e mi spogliai. Ora so che ero in stato di shock, ma in quel momento non me ne rendevo conto. Mi infilai nella minuscola doccia della camera, che aveva anche un pittoresco capello rosso attaccato alla tendina, e aprii il getto dell’acqua.
Lasciai che l’acqua portasse via l’odore schifoso che avevo ancora addosso. Sudore rancido di paura, sangue, piscio, orrore.
Mi accucciai sotto il getto della doccia e mi abbracciai le ginocchia.
Iniziai a piangere, prima silenziosamente, poi a grossi singhiozzi, come una bambina. Mi chiesi perché stesse succedendo proprio a me. Avevo ventotto anni, non avevo mai fatto del male a una mosca, avevo avuto solo sfighe. I miei genitori prima, morti stupidamente in un incidente stradale. Poi i miei nonni, morti altrettanto stupidamente di vecchiaia. Poi Clyde. Poi due vampiri pazzi e sanguinari. Poi Adrian, che era... era...
«Semplicemente fantastico, secondo me».
Sentii le sue mani che mi prendevano per le ascelle e mi tiravano in piedi. Era nudo ed entrò nella doccia. «Stai consumando tutta l’acqua calda. In questo posto hanno un boiler. Un boiler, nel ventunesimo secolo, ti rendi conto?».
Prese una bustina di bagnoschiuma, la aprì e fece un’espressione disgustata. «Potevano darci un flacone di candeggina. Sarebbe stato più onesto» borbottò, iniziando a insaponarmi.
Mi strofinò i capelli, le ascelle e il pube con gesti pratici e veloci, come se stesse lavando un bambino piccolo. Aprì un’altra bustina con un sospiro e la usò per sé.
«Animaletto mio, tu hai bisogno di dormire» disse, aiutandomi a uscire. Mi avvolse un asciugamano attorno alla testa e iniziò ad asciugarmi il corpo usandone un altro.
«Adrian...» mormorai.
Lui sorrise. «Cara assistente...». Quella definizione gli era piaciuta proprio un sacco.
Feci un gesto con una mano. «No, lo so. Ma che cosa sono queste leggi? E che cavolo era... hai presente... Clyde?».
«Quante domande» disse lui, con un altro piccolo sorriso.
«E se impazzisco e basta?».
Era così che mi sentivo. Sul punto di impazzire. Sul punto di scuotere semplicemente le spalle e dire: “Be’, lasciamo perdere tutto”.
«Mi piacciono gli umani pazzi» rispose lui. Mi prese in braccio e mi portò nell’altra stanza. «Sono sempre interessanti. Mi piacciono gli umani che vanno in frantumi. Ma tu non lo farai, non preoccuparti».
Mi infilò sotto alle coperte. Mi ripiegai in posizione fetale e iniziai di nuovo a piangere.
Adrian sospirò leggermente e si mise a letto con me. Mi abbracciò da dietro con una gentilezza di cui non l’avrei creduto capace.
«Le leggi...» mormorò, vicino al mio orecchio. «Le leggi sono state create per la nostra sopravvivenza. Non uccidere esseri umani che non siano deboli e isolati. Non uccidere lupi, a meno che non attacchino per primi. Non farsi notare. Non lasciarsi catturare dagli Osservatori... è un grosso libro, quello delle leggi. Non tutti sono d’accordo, ma nessuno le trasgredisce a cuor leggero».
Mi accarezzò un fianco. Iniziavo a rilassarmi leggermente. Avevo smesso di piangere.
«I lupi... Clyde era uno di loro. Il trucco è picchiarli forte fin da subito, in modo che non riescano a cambiare. Una volta trasformati non è bello combattere con loro. Ma sono sempre meno. I nuovi nati non si riproducono. Solo i lupi di sangue sono fertili, e nemmeno molto. Gli umani gli hanno dato la caccia come a una piaga. Noi li abbiamo sterminati perché competevamo per le stesse risorse. E loro hanno ammazzato noi, puoi scommetterci. Ci hanno aizzato contro la popolazione dei luoghi in cui vivevamo... abbiamo in comune una storia di massacri».
Mi voltai verso di lui, infilando una gamba tra le sue. «È per questo che... sai?».
«No, no. Quella degli appetiti bestiali è una cazzata. Per lo più sono fedeli come cani. D’altronde, vivono poco, possono permetterselo».
«Che cosa vuol dire che vivono poco?» chiesi.
Lui diede una scrollata di spalle. «Poco. Quanto un umano. Siamo noi quelli longevi. Quando vivi così a lungo... quale importanza può avere la fedeltà, per te? Quello che oggi è mio amico, tra due o trecento anni potrebbe cercare di uccidermi. O potrei cercare di ucciderlo io».
Mi accarezzò delicatamente il collo. «Sangue. Il motore del mondo» sussurrò.
«Hai ancora fame?» gli chiesi. Il suo tocco iniziava a farmi effetto.
«No... no, in questo momento non ho fame» rispose lui. «I lupi sono... nutrienti. I lupi spaventati a morte sono l’equivalente di un pranzo da otto portate. Devo ancora digerirlo. Sono... assonnato».
Mi arrampicai sopra di lui. «E se avessi fame io?».
Lui mi leccò la faccia. «Non ho fame, non è che mi sia caduto l’uccello» disse, molto finemente.
«Ma non ti importerà niente di quello che mi circola nelle vene, giusto?».
Mi appoggiò le mani sulle natiche e lo sentii che mi entrava dentro. «Chiamala deformazione professionale, ma preferirei se godessi».
Iniziai a muovermi lentamente sopra di lui. Mi piaceva sentire il suo sesso scaldarsi dentro di me. Mi baciò il collo, senza mordermi. Si limitò a leccarmi e a mordicchiarmi, come un essere umano.
Allargai le cosce per prenderlo meglio. Mi solleticò tra le natiche, con espressione divertita. «È pieno di benefit, questo lavoro da assistente».
«Qualche benefit» puntualizzai io. «Però ho un capo psicopatico».
«Ah, quello è uno dei benefit, suppongo» disse lui, afferrandomi meglio e iniziando a muoversi a sua volta. Fu... incisivo. Ansimai, contraendomi attorno a lui e strofinandomi contro il suo corpo.
«Quali altri benefit, animaletto?».
Lo baciai sulla bocca, ridendo. «Sei così duro, quando sei duro...». Gli feci scorrere la lingua sui denti, accarezzandolo sui canini scoperti. Era il suo modo di dire che era contento, supponevo.
Rise anche lui e fece scattare a vuoto la bocca davanti al mio naso. «Ora te lo stacco» scherzò.
Affondai più profondamente su di lui e iniziai a gemere di piacere. Continuando a muovermi su e giù, mi strofinai contro le ossa del suo bacino. Lui mi strinse entrambi i seni con le mani. Mi strizzò i capezzoli, emettendo una specie di sospiro.
Non l’avevo mai sentito farlo.
«Figurati. Sono qua per intrattenerti» sorrise.
Si alzò in ginocchio e mi sollevò con sé. Tenendomi sotto al sedere, mi infilzò più a fondo. Era stranissimo. Era come volare. Be’, era come scopare in aria, diciamo.
Mi aggrappai al suo collo.
Lui mi penetrò in profondità, muovendosi sempre più velocemente. Sempre più velocemente. Era come avere dentro un martello pneumatico. Iniziai ad ansimare forte, completamente strapazzata.
Venni inondandolo dei miei umori e stringendolo forsennatamente. Adrian rallentò, tornando a muoversi a una velocità normale.
Chiuse gli occhi ed emise un lungo gemito musicale, eiaculandomi all’interno a lunghe ondate.
Si sedette con me sopra e poi si sdraiò.
«Dormi fino a tardi» mi disse, poco dopo, scivolando fuori dal letto. «Poi mettiti in macchina e torna a casa. Paga con la mia carta di credito. È quasi l’alba».
Un istante più tardi, era completamente vestito e stava uscendo dalla porta.
+++
Mi svegliai tardi davvero. Mi misi in macchina dopo l’una e guidai fino a Londra in una sola tirata, fermandomi solo per mangiare un panino.
Non volevo pensare all’orrendo gorgoglio della bocca di Clyde che si riempiva di sangue. Non ci volevo pensare perché avevo paura che mi fosse piaciuto.
Alle quattro il sole tramontò.
Adrian uscì dal bagagliaio, ma fece continuare a guidare me.
Arrivammo a casa verso le dieci di sera. Ero stanchissima e avevo fame. «Vattene a dormire» disse Adrian quando scendemmo dalla macchina.
Ma non era destino.
Henry ci aspettava in cima alle scale del garage con un’espressione cupa in viso.
«Signore» disse, deferente come suo solito. «Ci sono degli ospiti che la attendono in salotto. Ho spiegato che non era in casa, ma sono stati molto... insistenti». Era chiaro che quegli ospiti molto insistenti non incontravano la sua approvazione.
Adrian socchiuse appena gli occhi.
«Sì» disse. «Puoi andare, Henry».
Si voltò verso di me. «Sono tre membri del consiglio. Forse vorranno sentire la tua versione». Lo seguii verso le sue stanze private, chiedendomi come facesse a sapere chi fossero.
Se sentì i miei pensieri, decise di non rispondermi.
Invece, prima di entrare in salotto si voltò di nuovo e disse: «Spogliati».
«Che cosa...?» feci io. Non ero nemmeno arrabbiata, proprio non capivo.
«Spogliati» ripeté Adrian. «Resta in silenzio e fai quello che ti dico».
Mi sembrò terribilmente serio, forse persino preoccupato. Mi spogliai il più velocemente possibile, anche se continuavo a non capire e l’idea di presentarmi nuda davanti a delle persone che non conoscevo mi metteva profondamente a disagio.
Lo feci perché me lo chiedeva lui, semplicemente.
Lo seguii nel grande salotto del suo appartamento.
Tre individui erano seduti sulle poltrone, immobili e silenziosi. Il primo era un uomo dai tratti mediorientali, dall’età apparente di circa vent’anni. Il secondo individuo era una donna nera che sembrava giovanissima. Il terzo era un maschio bianco più vicino ai cinquanta che ai quaranta, o questa era l’impressione che dava.
Al nostro ingresso la donna si alzò, venendo verso di noi.
O meglio, andò verso Adrian, dato che a me non rivolse mezza occhiata.
«Eno» disse lui, chinando rispettosamente la testa. Si voltò verso il giovane mediorientale. «Hirad». Infine verso il terzo uomo. «Diomedes. Siete i benvenuti a casa mia».
«Grazie. Sai perché siamo qua, suppongo» rispose la donna, con voce musicale.
Adrian sorrise lievemente. «Le notizie corrono veloci. Sediamoci».
Eno tornò sulla sua poltrona e Adrian si sedette su un'altra. Mi fece un piccolo gesto con il capo che significava di raggiungerlo e scostò le mani per indicarmi di sedermi sulle sue cosce.
Lo feci anche se non capivo perché volesse tenermi in bella vista. Quelle persone non mi avevano degnata di uno sguardo e continuarono a non farlo anche quando mi accomodai nella sua stessa poltrona e gli passai un braccio dietro al collo.
«Quindi è vero?» chiese la donna, sporgendosi lievemente in avanti. Come tutti gli altri vampiri che avevo conosciuto, era elegantissima, con un tubino nero e delle scarpe di coccodrillo lucide e rosse. «Sei andato fino a Inverness per uccidere un lupo?».
«Non uccidere. Giustiziare» corresse Adrian, tranquillo. Aveva un gomito appoggiato sulla mia spalla e mentre parlava iniziò ad accarezzarmi quasi distrattamente un capezzolo. «Avevo il diritto di ammazzarlo».
La donna sospirò e scambiò uno sguardo con il ragazzo mediorientale, Hirad. «Non è nemmeno la tua zona» gli fece notare.
Adrian inarcò leggermente le sopracciglia. «Sono andato a porgere i miei omaggi a Cadmon. Gli ho riferito le mie intenzioni. Nessuno può accusarmi di aver tenuto un comportamento improprio».
«Non gli hai detto che si trattava di un lupo» intervenne Hirad, in tono irritato.
Adrian si strinse nelle spalle. «Non sapevo che fosse un lupo, finché non l’ho visto».
«E non potevi lasciar perdere, in nome della distensione? No, dovevi per forza banchettare con lui e ucciderlo con un sistema caduto in disuso da secoli? Per divertirti?».
«Be’, è stato divertente» sorrise Adrian. Sorrise anche il terzo uomo, Diomedes, ma fu l’unico.
Adrian fece un gesto rassegnato con la mano con cui non mi accarezzava. «Avrei lasciato perdere, se non avesse rapito la mia schiava. L’ha costretta a salire sul suo furgone e si è allontanato. È stato un attacco nei miei confronti. L’ho raggiunto e l’ho ucciso. Odio ripetermi, ma ne avevo ogni diritto».