5.
Inverness, d’inverno, è il posto più umido del mondo. Lo è anche d’estate, primavera e autunno, ma d’inverno l’umidità ti entra nelle ossa, letteralmente.
Non è fredda, non così tanto, per essere così a nord, ma piove... e se non piove è come se piovesse.
Arrivai in città intorno alle due, dopo essermi fermata a mangiare. Avevo lasciato la macchina nel parcheggio della stazione di servizio con una certa apprensione, ma non era successo niente.
Ringalluzzita da questo, una volta in città mi cacciai senza remore nel centro commerciale Eastgate, uno dei più grandi e forniti di Inverness. Girai per il negozio French Connection e mi comprai un bagno schiuma da Body Shop, poi andai a prendere un caffè da Costa. Per poco più di un’ora mi sentii quasi normale.
Stavo finendo il mio flat white da Costa quando Adrian si sedette disinvoltamente sullo sgabello accanto al mio, guardandosi attorno con espressione indecifrabile.
Ovviamente, era splendido. Un paio di donne si voltarono a fissarlo.
«Ho fame» fu la prima cosa che disse. Si allungò verso di me e mi diede un lungo bacio appassionato sulle labbra, passandomi una mano dietro alla nuca. “Appassionato” se non si considera il fatto che mi morse la lingua e bevve avidamente, è chiaro.
Quando si allontanò le due donne di prima mi lanciarono uno sguardo carico d’odio.
Fantastico, grazie, pensai, sarcastica.
Lui sorrise e si leccò le labbra. «Hai finito?» chiese, indicando il caffè.
Annuii.
«Allora andiamo a salutare il mio vecchio amico Cadmon, ci aspetta. Non sarebbe educato andare a caccia nella sua zona senza chiedergli il permesso».
Detto questo, mi prese sotto braccio e mi portò fuori dal bar. La democrazia era il suo forte come al solito.
«Scusa, chi sarebbe questo tuo vecchio amico?» chiesi, mentre lui guidava accanto al lungofiume verso il Caledonian Canal. «E quanto vecchio?».
«Abbastanza vecchio. Avrà... oh, non so. Quattrocento? Forse qualcosa in più, ma si porta bene» sorrise, ironico. «E fammi il sacrosanto favore di restare in silenzio, mentre siamo da lui. E di non iniziare a fare la difficile. Non tutti apprezzano gli animaletti insubordinati e chiacchieroni».
«Io non sono...» iniziai.
«Appunto» mi interruppe lui.
Guidò fino a un’imponente residenza di pietra subito alle spalle del lungofiume. Il cancello si aprì senza che lui avesse suonato il campanello.
Lasciammo la macchina in uno spiazzo vicino all’ingresso e ci dirigemmo verso la porta.
Lì, accanto all’uscio aperto, ci attendeva un signore di mezza età in giacca blu. «Signore Adrian» disse, chinandosi leggermente, «il signore Cadmon la attende in biblioteca. È un piacere rivederla, signore».
Adrian gli lanciò un’occhiata penetrante. «Giusto, giusto» sorrise. «Il ragazzino. Be’, sei cresciuto».
L’altro si inchinò di nuovo e ci precedette all’interno, io trattenni una risata. Più che cresciuto, quel tizio era invecchiato.
Prese le nostre giacche e ci scortò lungo una serie di corridoi opulenti e antiquati, illuminati in modo fioco.
Capivo che ai vampiri desse fastidio la luce troppo forte, ma nelle loro case c’era da diventare miopi.
Il... maggiordomo? Bussò a una porta e una voce maschile ci invitò a entrare.
La biblioteca in cui fummo introdotti era un posto incredibile. Era una stanza grande, grandissima, coperta di libri sui tre lati e con due larghe finestre sul quarto. Su una delle pareti più corte c’era un caminetto acceso, con due poltrone davanti. Alle spalle, un lungo tavolo da lettura, finemente lavorato e coperto di libri aperti.
In quanto al padrone di casa, si stava alzando in quel momento da una delle due poltrone e non era meno impressionante della biblioteca.
Il suo aspetto era quello di un ragazzo sui vent’anni, con i luminosi capelli biondi che gli spiovevano accanto al viso in onde preraffaelite. Non era alto quando Adrian, ma le sue proporzioni erano perfette e il suo viso era di una regolarità incredibile, rischiarato da due occhi azzurro ghiaccio, allungati e circondati da lunghe ciglia.
«Adrian» sorrise, avvicinandosi.
«Cadmon» rispose il mio –coff– padrone. «Grazie per avermi ricevuto».
L’altro gli sfiorò un braccio. «Prego. Vederti è un piacere. È passato qualche anno. Posso chiederti se sei in città per qualche motivo... sgradevole?».
Adrian rise. «Gradevolissimo, invece. O almeno lo spero. Un umano che è stato antipatico con la mia schiava. Oh, sarò discreto» aggiunse, accantonando l’argomento con un gesto della mano.
Cadmon spostò lo sguardo su di me. «Che carina» disse, sollevandomi il mento come avrebbe sollevato il muso a un cane per guardarlo meglio. Mi diede una grattata amichevole dietro alla nuca.
Io inarcai le sopracciglia, trattenendomi dal dirgli che...
«È ancora in via di addomesticamento» disse Adrian, interrompendo il mio pensiero. Si strinse nelle spalle. «Non sono nemmeno sicuro di volerla addomesticare del tutto. Come va, vecchio amico?».
«Bene» rispose l’altro, dimenticandosi di me. «Tutto bene. Questa è una città tranquilla. Ognuno si fa gli affari suoi. Si convive. Non abbiamo incidenti da diversi anni. Non è Londra, in una parola. Ho letto gli avvisi del consiglio. Sembravano così... preoccupati».
«Sì, siamo preoccupati» tagliò corto Adrian.
L’altro fece un lieve inchino. «Hai ragione. Dimenticavo che ora ne sei parte. Bene, in che modo posso dimostrarti la mia ospitalità? Vuoi riposare? Vuoi nutrirti?».
Adrian rise. «Ho fame. Ho sempre fame, tu no?».
Cadmon sorrise. «Chiamo la colazione. Vieni con me. La tua schiava?».
«Vedremo» disse lui, stringendosi nelle spalle. «A volte è un po’ difficile, ma se è dell’umore giusto è deliziosa. Vieni con noi, Sarah. Guarda e poi decidi tu, okay?».
Annuii, sollevata.
Cadmon ci fece strada attraverso diverse stanze. Salì una rampa di scale e aprì una porta.
Era una camera da letto, come mi aspettavo, ma il letto era... inquietante e l’arredamento... particolare. Dalla testiera di ferro battuto, infatti, pendevano una serie di polsiere di cuoio dotate di lucchetti. Su entrambe le pareti c’erano due panoplie con ogni genere di frusta mai inventata, probabilmente. C’erano gatti a nove code, frustini da cavallo, lunghe fruste australiane o americane, spatole, flagelli... per alcuni di quegli strumenti non avevo neanche un nome. C’erano poi ball gag, maschere, dildo di ogni forma e dimensione...
Un piccolo regno del terrore e, molto probabilmente, del piacere.
In piedi accanto al letto, infine, c’erano due ragazze piuttosto giovani, forse sui vent’anni, entrambe in corsetto e autoreggenti.
«Aileen, Isla» le presentò Cadmon. «Scegli tu. In fondo sei mio ospite».
Adrian indicò la seconda a colpo sicuro. Lei salì sul letto, si voltò e posò le mani sulla testiera. Adrian si avvicinò e le bloccò i polsi dentro due delle polsiere. Isla, inginocchiata, sporse il sedere verso l’esterno. Era completamente rasata e una catenella univa due anelli sulle grandi labbra.
Adrian la toccò tra le gambe e le infilò un dito dentro la fica, come per testare il suo livello di eccitazione. Il suo viso rimase assolutamente inespressivo, ma andò verso la panoplia e prese un gatto a nove code piuttosto piccolo, ma dalle code di cuoio spesso.
Slacciò il bustino alla ragazza e le tolse anche la catenella.
Cadmon si sfilò scarpe e calze e salì a sua volta sul letto, portando l’altra ragazza con sé. Le strinse un capezzolo fino a farla urlare, poi le salì sopra con la velocità tipica della sua specie e la morse tra le gambe. Aileen gridò di nuovo, e a lungo, mentre Cadmon beveva.
Spostai la mia attenzione su Adrian, che aveva iniziato a colpire l’altra ragazza sulle natiche, lasciandole dei lunghi segni rossi.
A ogni sferzata la vedevo irrigidirsi ed emettere un gemito di dolore.
Cadmon si stancò di bere dall’altra e la spinse più in là. Notai che, quantomeno, non sanguinava più. Prese un grosso dildo nero dalla forma fallica dalla panoplia e si avvicinò ad Isla, le cui natiche, nel frattempo, erano diventate rosse a forza di frustate.
Adrian si fermò un istante, per permettere a Cadmon di fare quello che aveva intenzione di fare.
Cadmon usò il grosso dildo per infilarlo nell’ano di Isla. Era un oggetto gigantesco e lei, sentendolo entrare, gridò di dolore. Adrian riprese a frustarla, dirigendo le code della frusta precisamente tra le sue gambe.
Il primo colpo la fece sobbalzare così forte e le fece lanciare un grido così acuto che sentii male per lei.
Adrian la colpì di nuovo e di nuovo lei urlò e sobbalzò. Il suo povero buchetto del culo, divaricato e congestionato, si strinse disperatamente attorno al fallo artificiale che aveva dentro.
Adrian si chinò su di lei e la morse su una natica, infilandole due dita dentro. Lo vidi sorridere lievemente, mentre iniziava a bere. Spostò la bocca per morderla all’interno della coscia, giacché la natica, chiaramente, non era un ottimo posto da cui succhiare.
Dall’arteria femorale della ragazza, invece, sgorgò un getto copioso di sangue. Adrian bevve avidamente, prima di affrettarsi a chiudere la ferita con il proprio sangue. Isla, ormai, pendeva dalle polsiere.
Adrian la staccò e la stese delicatamente su un lato, estraendo il gigantesco dildo.
«La faccio godere?» chiese a Cadmon.
L’altro si strinse nelle spalle. «Lasciamola riposare. Aileen?».
La prima ragazza si affrettò a salire sul letto e a procedere carponi fino a loro. Cadmon la voltò a pancia in su e le estrasse un seno dal bustino. Adrian tirò fuori l’altro.
Si piegarono su di lei, iniziando a bere.
Dopo qualche secondo Adrian, chiaramente insoddisfatto, allungò una mano verso la fichetta dell’altra e iniziò a masturbarla. Le titillò il clitoride e la penetrò con le dita, poi forse decise di andare per le spicce e le strizzò il clitoride tra due dita fino a farla urlare.
Riprese ad accarezzarla, quasi tranquillizzante. Non aveva mai staccato la bocca dal suo seno, come Cadmon non l’aveva staccata dall’altro.
Alla fine si scostarono entrambi, leccandosi le labbra, e si lasciarono cadere sul letto l’uno accanto all’altro.
«Potete andare» disse Cadmon. Le due si allontanarono dalla stanza.
Adrian si alzò su un gomito e mi fece segno di avvicinarmi.
Rimasi decisamente dov’ero.
Cadmon mi guardò e poi guardò Adrian.
Lui sorrise, divertito. «Ti ho detto che è un po’ difficile. Vieni, Sarah, fidati di me».
«Mi fido di te» dissi io, senza muovermi.
L’altro si mise a ridere. «Eccezionale. Parla!».
«Oh, parla anche troppo» confermò Adrian. Si alzò e mi buttò sul letto tra loro. Era stato così veloce che non me n’ero neanche accorta, tanto per cambiare.
Mi leccò sulle labbra e mi slacciò i pantaloni, senza, però, sfilarmeli. Spostò lo sguardo su Cadmon, che era dietro di me.
«Bisogna essere pazienti, con questo animaletto» gli disse. «Bisogna prenderla per il verso giusto, come un cavallo non ancora ammansito. Ti piacerà».
Mi sfilò il top, lasciandomi in reggiseno.
Si chinò per leccarmi un capezzolo attraverso la rete.
Sentii un altro paio di mani sfilarmi i pantaloni. Finché mi sfilava i pantaloni andava tutto abbastanza bene, pensai.
«Oh, grazie!» rise Cadmon.
Giusto, leggevano nel pensiero. Adrian mi mordicchiò un capezzolo, mentre l’altro mi accarezzava le natiche. Adrian mi sfilò gli slip. Cadmon mi sfiorò il clitoride con la punta di un dito. Adrian mi infilò indice e medio dentro la fica.
«Nel suo essere piuttosto difficile» disse all’altro, divertito, «si bagna subito».
Cadmon mi stuzzicò il buchetto posteriore e mi leccò una spalla. Adrian allargò le dita dentro la mia fica e mi succhiò un capezzolo.
Socchiusi gli occhi, con il respiro accelerato.
«Mettiti a quattro zampe, animaletto mio» mi sussurrò Adrian, vicino all’orecchio.
Mi voltai, posando i gomiti sul materasso.
Adrian si alzò e andò alla panoplia. Un istante più tardi sentii il primo colpo di frusta su una natica. Voltai la testa e lui mi mostrò che cosa stava usando. Era una frusta corta, dalle frange morbide. Il primo colpo, in effetti, era stato poco più che una carezza.
Mi colpì di nuovo, questa volta tra le natiche. Il mio buchetto mandò un lampo di dolore non del tutto sgradevole. Adrian mi colpì tra le gambe, sulle grandi labbra e sul clitoride.
Fui attraversata da una specie di scossa molto piacevole e ansimai.
«Le piace qua» constatò Adrian, divertito. Mi colpì di nuovo, più forte. Gemetti, mentre la fica mi si contraeva, dolorante ed eccitata. «Continua tu» disse a Cadmon.
Sentii il cambio di mano.
La frustata di Cadmon fu più lenta e strusciata. Gemetti di nuovo, sperando che mi colpisse sul buchetto del sedere, la volta seguente.
«Basta chiedere» disse lui, frustandomi esattamente lì. Mi sembrò di esplodere. Ormai la mia pelle era sensibilissima e senza dubbio arrossata, quindi le frange mi sembrarono fili incandescenti. Gemetti più forte.
Percepii qualcosa davanti a me e sollevai il viso. Mi trovai davanti il pene eretto di Adrian. Alzai lo sguardo. Era inginocchiato davanti a me, nudo.
Mi infilò la punta del suo uccello in bocca e io la succhiai forte, mentre Cadmon mi colpiva di nuovo tra le grandi labbra e il clitoride. Ansimai, mentre prendevo in bocca l’intera lunghezza del cazzo dell’altro o, insomma, la parte che ci stava.