I. Verso i fuochi eterniSono nato nel Connecticut una trentina di anni fa. Mi chiamo David Innes. Mio padre era un ricco proprietario di miniere. Morì che avevo diciannove anni. Tutte le sue proprietà sarebbero passate a me quando avessi raggiunto la maggiore età – a condizione che avessi dedicato i due anni che mancavano studiando con rigore gli importanti affari che avrei ereditato.
Feci del mio meglio per soddisfare le ultime volontà del mio genitore – non per l’eredità, ma perché amavo e onoravo mio padre. Per sei mesi lavorai nelle miniere e negli uffici contabili, perché volevo conoscere ogni minimo dettaglio degli affari.
Poi Perry mi rese partecipe della sua invenzione. Era un vecchio che aveva dedicato gli anni migliori della sua lunga vita a perfezionare uno scavatore sotterraneo meccanico. Per hobby studiava paleontologia. Guardai i suoi progetti, ascoltai le sue argomentazioni, ispezionai il suo modello funzionante – e poi, convinto, gli anticipai i fondi necessari per costruire uno scavatore vero, a grandezza naturale.
Non entrerò nei dettagli della sua costruzione – ora si trova là fuori nel deserto, a circa due miglia da qui. Domani potrete vederlo, se volete. Grossomodo, è un cilindro d’acciaio lungo un centinaio di piedi, e articolato in modo da potersi insinuare e ruotare attraverso la roccia, se necessario. A un’estremità c’è un potente trapano azionato da un motore che secondo Perry genera più potenza al pollice cubico di quanta ne generi qualsiasi altro motore al piede cubico. Ricordo che sosteneva che quell’invenzione da sola ci avrebbe reso favolosamente ricchi – l’avremmo resa pubblica dopo il successo della nostra prima prova segreta – ma Perry non tornò mai da quel viaggio di prova, e io solo dopo dieci anni.
Ricordo come se fosse ieri la notte fatidica in cui dovevamo testare il funzionamento di quella strabiliante invenzione. Era quasi mezzanotte quando ci riparammo nell’alta torre in cui Perry aveva costruito la sua “talpa di ferro”, come era solito chiamarla. Il grande muso poggiava sulla nuda terra che faceva da pavimento.
Entrammo dalle porte del rivestimento esterno, le chiudemmo, e poi passando nella cabina, che conteneva il meccanismo di controllo nel tubo interno, accendemmo le luci.
Perry controllò il suo generatore; i grandi serbatoi che contenevano i prodotti chimici ravvivanti con i quali doveva produrre aria fresca per sostituire quella che consumavamo respirando; gli strumenti per registrare le temperature, la velocità, la distanza e per esaminare i materiali attraverso i quali saremmo passati.
Provò lo sterzo, e controllò i possenti ingranaggi che trasmettevano la strabiliante velocità alla trivella gigante sul muso della strana creatura.
I nostri sedili, nei quali ci sistemammo, erano disposti su barre trasversali in modo da farci stare in posizione verticale sia che il veicolo si facesse strada verso il basso nelle viscere della terra, sia che corresse orizzontalmente lungo qualche filone di carbone, sia che risalisse di nuovo verticalmente verso la superficie.
Alla fine tutto era pronto. Perry chinò la testa pregando. Per un momento rimanemmo in silenzio, poi la mano del vecchio afferrò la leva di avviamento. Ci fu uno spaventoso ruggito sotto di noi – il gigantesco telaio tremò e vibrò – e un gran frastuono mentre la terra entrava attraverso lo spazio vuoto tra il rivestimento interno e quello esterno per essere depositata nella nostra scia. Eravamo partiti!
Il rumore era assordante. La sensazione era spaventosa. Per un minuto intero nessuno dei due poté fare altro che aggrapparsi con la proverbiale disperazione dell’uomo che affoga ai corrimano dei nostri sedili basculanti. Poi Perry guardò il termometro.
— Accidenti! — gridò, — non è possibile; presto! Cosa dice il misuratore di distanza?
Quello e il tachimetro erano entrambi sul mio lato della cabina, e quando mi voltai per leggere il primo vidi Perry che borbottava.
— Dieci gradi in più, non è possibile! — e poi lo vidi tirare freneticamente il volante.
Quando finalmente trovai il piccolo ago nella luce fioca, compresi l’evidente eccitazione di Perry, e sentii il cuore sprofondare. Ma quando parlai, nascosi la paura che mi perseguitava. — Ci vorranno settecento piedi, Perry — dissi, — prima che tu possa girarla in orizzontale.
— Allora è meglio che mi dia una mano, ragazzo — rispose, — perché da solo non posso riportarla in verticale. Voglia Dio che le nostre forze siano all’altezza del compito, perché altrimenti siamo perduti.
Mi avvicinai al fianco del vecchio senza nessun dubbio, se non quello che la grande ruota avrebbe ceduto di colpo alla potenza dei miei giovani e vigorosi muscoli. Tale convinzione non era solo vanità, perché il mio fisico era sempre stato motivo di invidia e disperazione per i miei compagni. E proprio per questo motivo era diventato ancora più robusto di quanto la natura avesse previsto, poiché il naturale orgoglio per la mia forza mi aveva portato a curare e sviluppare il corpo e i muscoli con ogni mezzo a mia disposizione. Con la boxe, il football e il baseball, mi ero allenato fin dall’infanzia.
E così fu con la massima fiducia che mi aggrappai all’enorme cerchio di ferro; ma sebbene ci mettessi ogni oncia della mia forza, il mio sforzo fu inutile quanto lo era stato quello di Perry – la cosa non si sarebbe mossa – la scura, insensata, orribile cosa che ci stava portando dritti verso la morte!
Alla fine rinunciai all’inutile lotta e senza una parola tornai al mio posto. Non c’era bisogno di parole – almeno nessuna che potessi immaginare, a meno che Perry non volesse pregare. Ed ero abbastanza sicuro che l’avrebbe fatto, perché non perdeva occasione per chinarsi in preghiera. Pregava quando si alzava al mattino, pregava prima di mangiare, pregava quando aveva finito di mangiare, e prima di andare a letto la sera pregava di nuovo. E in mezzo a queste occasioni trovava spesso delle scuse per pregare anche quando il motivo sembrava inverosimile ai miei occhi mondani – ora che stava per morire ero sicuro di dover assistere a una perfetta orgia di preghiera – se si può alludere con tale similitudine a un atto così solenne.
Ma con mio grande stupore scoprii che con la morte che lo fissava in faccia Abner Perry si era trasformato in un nuovo essere. Dalle sue labbra sgorgava – non una preghiera – ma un flusso chiaro e limpido di profanità concentrata, ed era tutto diretto a quel pezzo tranquillamente ostinato di meccanismo immobile.
— Mi verrebbe da pensare, Perry — lo rimproverai, – che un uomo della tua fede preferirebbe pregare piuttosto che imprecare nell’imminenza della morte.
— La morte! — gridò. — È la morte che ti spaventa? Non è niente in confronto alla perdita che subirà il mondo. Perché, David, in questo cilindro di ferro abbiamo dimostrato possibilità che la scienza non ha mai sognato. Abbiamo imbrigliato un nuovo principio, e con esso abbiamo animato un pezzo di acciaio con la potenza di diecimila uomini. Che due vite siano spazzate via non è niente in confronto alla calamità che seppellirà nelle viscere della terra le mie scoperte che hanno portato a costruire ciò che ora ci sta portando sempre più verso i fuochi eterni.
Non ho problemi ad ammettere che per quanto mi riguardava ero molto più preoccupato per il nostro futuro immediato che per qualsiasi terribile perdita il mondo potesse essere in procinto di subire. Il mondo almeno ignorava il suo lutto, mentre per me era un’attualità reale e terribile.
— Cosa possiamo fare? — chiesi, nascondendo il mio turbamento sotto la maschera di una voce bassa e profonda.
— Possiamo fermarci qui, e morire di asfissia quando i nostri serbatoi d’aria saranno vuoti — rispose Perry, — oppure possiamo continuare con la flebile speranza di poter poi deviare sufficientemente lo scavatore dalla verticale per disegnare un ampio cerchio che alla fine ci riporti in superficie. Se riusciamo a farlo prima di raggiungere la temperatura interna più alta, potremmo anche sopravvivere. Direi che c’è circa una possibilità su diversi milioni che ce la facciamo, altrimenti moriremo più rapidamente ma non più sicuramente che se restassimo fermi in attesa dell’agonia di una morte lenta e orribile.
Diedi un’occhiata al termometro. Registrava 110 gradi Fahrenheit. Mentre parlavamo, la possente talpa di ferro si era fatta strada per più di un miglio nella roccia della crosta terrestre.
— Continuiamo, allora — risposi. — Di questo passo dovrebbe finire presto. Non hai mai detto che la velocità di questo coso sarebbe stata così alta, Perry. Non lo sapevi?
— No — rispose. — Non ho potuto calcolare esattamente la velocità, perché non avevo nessuno strumento per misurare la potenza del mio generatore. Ho calcolato, tuttavia, che dovremmo andare a circa cinquecento iarde all’ora.
— E stiamo facendo invece sette miglia all’ora — conclusi per lui, mentre sedevo con gli occhi sul distanziometro. — Quanto è spessa la crosta terrestre, Perry? — domandai.
— Ci sono quasi tante congetture quanti sono i geologi — fu la sua risposta. — C'è chi la stima a trenta miglia, perché il calore interno, aumentando al ritmo di circa un grado per ogni sessanta-settanta piedi di profondità, sarebbe sufficiente a fondere le sostanze più refrattarie a quella distanza sotto la superficie. Un altro suppone che i fenomeni di precessione e nutazione richiedono che la terra, se non è interamente solida, debba almeno avere un guscio di non meno di ottocento o mille miglia di spessore. Perciò ecco qui. Puoi fare la tua scelta.
— E se dovesse rivelarsi solida? — chiesi.
— Alla fine sarà lo stesso per noi, David — rispose Perry. — Nella migliore delle ipotesi il nostro combustibile basterà per tre o quattro giorni, mentre la nostra atmosfera non può durare più di tre. Entrambi, quindi, non sono sufficienti a farci attraversare in sicurezza ottomila miglia di roccia fino agli antipodi.
— Se la crosta è abbastanza spessa, ci fermeremo tra le seicento e le settecento miglia sotto la superficie terrestre; ma durante le ultime centocinquanta miglia del nostro viaggio saremo dei cadaveri. Ho ragione? — domandai.
— Piuttosto corretto, David. Hai paura?
— Non lo so. È successo tutto così all’improvviso che non credo che nessuno di noi due si renda conto delle reali paure. Sento che dovrei essere in preda al panico; ma non lo sono. Immagino che lo shock sia stato così grande da stordire in parte la nostra sensibilità.
Di nuovo mi rivolsi al termometro. Il mercurio saliva con meno rapidità. Ora era a neanche 140 gradi, sebbene fossimo penetrati a una profondità di quasi quattro miglia. Lo dissi a Perry e lui sorrise.
— Abbiamo sfatato almeno una teoria — fu il suo unico commento, e poi tornò alla sua autoimposta occupazione di imprecare continuamente contro il volante. Una volta ho sentito un pirata bestemmiare, ma i suoi migliori sforzi sarebbero sembrati quelli di un dilettante accanto alle magistrali e scientifiche imprecazioni di Perry.
Ancora una volta tentai di mettere le mani sul volante, ma sarebbe stato più facile tentare di far oscillare la terra stessa. Su mio suggerimento Perry fermò il generatore, e quando ci fermammo, misi di nuovo tutte le mie forze in uno sforzo supremo per muovere il volante anche solo di un pelo – ma i risultati furono deludenti come quando avevamo viaggiato alla massima velocità.
Scossi tristemente la testa e indicai la leva di avviamento. Perry la tirò verso di sé, e di nuovo precipitammo verso l’eternità alla velocità di sette miglia all’ora. Mi sedetti con gli occhi incollati al termometro e al misuratore di distanza. Il mercurio adesso stava salendo molto lentamente, sebbene anche a 145 gradi negli stretti confini della nostra prigione di metallo il calore fosse quasi insopportabile.
Circa a mezzogiorno, o dodici ore dopo l’inizio del nostro sfortunato viaggio, avevamo scavato fino a una profondità di ottantaquattro miglia, e a quel punto il mercurio registrava 153 gradi F.
Perry stava diventando più ottimista, anche se non saprei dire quale scarso cibo sostenesse il suo ottimismo. Dalle bestemmie era passato al canto – mi pareva che lo sforzo avesse infine influenzato la sua mente. Per diverse ore non avevamo parlato, eccetto quando di tanto in tanto mi aveva chiesto di leggere i dati degli strumenti, e io riferivo. I miei pensieri erano pieni di vani rimpianti. Ricordai numerosi atti della mia vita che sarei stato felice di avere avuto qualche anno in più per dimenticare. C’era stata la faccenda ai Latin Commons di Andover, quando Calhoun e io avevamo messo la polvere da sparo nella stufa – e avevamo quasi ucciso uno dei maestri. E poi… ma era inutile, stavo per morire ed espiare tutte queste cose e molte altre. Il calore era già sufficiente a darmi un assaggio dell’aldilà. Ancora qualche grado e sentivo che avrei perso conoscenza.
— Quali sono i dati ora, David? — la voce di Perry irruppe nelle mie cupe riflessioni.
— Novanta miglia e 153 gradi — risposi.
— Accidenti, abbiamo mandato in rovina la teoria della crosta di trenta miglia! — gridò allegramente.
— E ci sarà di grande aiuto – brontolai di rimando.
— Ma ragazzo mio — continuò, — la lettura della temperatura non ti dice niente? Non è salita in sei miglia. Pensaci, figliolo!
— Sì, ci sto pensando — risposi; — ma che differenza farà quando la nostra riserva d’aria sarà esaurita se la temperatura è di 153 gradi o 153.000? Saremo ugualmente morti, e nessuno si accorgerà della differenza.
Ma devo ammettere che per qualche inspiegabile ragione la temperatura stazionaria ravvivò la mia speranza. Quello che speravo non avrei potuto spiegarlo, né ci provai. Il fatto stesso, come Perry si dava pena di commentare, della smentita di diverse ipotesi scientifiche molto precise e dotte rendeva evidente che non potevamo sapere cosa ci aspettasse nelle viscere della terra, e quindi potevamo continuare a sperare per il meglio, almeno fino a che non fossimo morti – quando la speranza non sarebbe stata più essenziale per la nostra felicità. Era un ragionamento molto giusto e logico, e così lo abbracciai.
A cento miglia la temperatura era scesa a 152 gradi e mezzo! Quando lo annunciai, Perry si avvicinò abbracciandomi.
Da allora fino a mezzogiorno del secondo giorno, continuò a scendere fino a diventare tanto fastidiosamente freddo quanto prima era stato insopportabilmente caldo. Alla profondità di duecentoquaranta miglia le nostre narici furono assalite da fumi di ammoniaca quasi opprimenti, e la temperatura era scesa a dieci sotto zero! Patimmo quasi due ore di questo freddo intenso e pungente, e a circa duecentoquarantacinque miglia dalla superficie della terra entrammo in uno strato di ghiaccio solido, quando il mercurio salì rapidamente a 32 gradi. Durante le tre ore successive passammo attraverso dieci miglia di ghiaccio, emergendo infine in un’altra serie di strati impregnati di ammoniaca, dove il mercurio scese di nuovo a dieci gradi sotto zero.
Lentamente aumentò di nuovo, finché non ci convincemmo che finalmente ci stavamo avvicinando all’interno di magma della terra. A quattrocento miglia la temperatura aveva raggiunto i 153 gradi. Guardavo febbrilmente il termometro. Saliva lentamente. Perry aveva smesso di cantare e stava finalmente pregando.
Le nostre speranze avevano ricevuto un colpo talmente fatale che il graduale aumento del calore sembrava alla nostra immaginazione distorta molto più grande di quanto non fosse. Per un’altra ora vidi quella spietata colonna di mercurio salire senza sosta finché a quattrocentodieci miglia si trovò a 153 gradi. A questo punto cominciammo a fissare quei valori con un’ansia quasi senza respiro.
Centocinquantatré gradi era stata la temperatura massima sopra lo strato di ghiaccio. Si sarebbe fermata di nuovo a questo punto o avrebbe continuato spietatamente a salire? Sapevamo che non c’era speranza, eppure con la persistenza della vita stessa continuavamo a sperare nonostante ogni certezza pratica.
Già i serbatoi d’aria erano al minimo – c’era a malapena quantità sufficiente del prezioso gas per altre dodici ore. Ma saremmo stati ancora vivi per saperlo o per preoccuparcene? Sembrava incredibile.
A quattrocentoventi miglia guardai di nuovo i valori.
— Perry! — gridai. — Perry, amico! Sta andando giù! Sta scendendo! È di nuovo a 152 gradi.
— Accidenti! — gridò. — Cosa può significare? Il centro della Terra può essere freddo?
— Non lo so, Perry — risposi; — ma grazie a Dio, se devo morire non sarà a causa del fuoco, è tutto ciò di cui avevo paura. Posso affrontare il pensiero di qualsiasi morte tranne quella.
Il mercurio andava giù, giù, fino a quando non si trovò più in basso di quando eravamo a sette miglia dalla superficie della terra, e poi, all’improvviso, ci rendemmo conto che la morte era davvero vicina. Perry fu il primo a scoprirlo. Lo vidi armeggiare con le valvole che regolavano la fornitura d’aria. E nello stesso momento avevo difficoltà a respirare. Avevo le vertigini e le mie membra erano pesanti.
Vidi Perry accasciarsi sul suo sedile. Si diede una scrollata e si rimise a sedere eretto. Poi si voltò verso di me.
— Addio, David — disse. — Credo che questa sia la fine — e poi sorrise e chiuse gli occhi.
— Addio, Perry, e buona fortuna a te — risposi sorridendogli. Ma combattevo quell’orribile letargia. Ero giovane – non volevo morire.
Per un’ora lottai contro la morte che mi circondava da tutte le parti avvolgendomi crudelmente. All’inizio scoprii che salendo in alto nel telaio potevo trovare ancora preziosi elementi vitali, e per un po’ questi mi sostennero. Dev’essere stata un’ora dopo che Perry era svenuto che finalmente mi resi conto che non potevo più continuare questa lotta impari contro l’inevitabile.
Con il mio ultimo tremante barlume di coscienza mi voltai istintivamente verso il distanziometro. Si trovava esattamente a cinquecento miglia dalla superficie terrestre – e poi, all’improvviso, l’enorme affare che ci portava si fermò. Il rumore della roccia scagliata nel rivestimento cavo cessò. La corsa sfrenata della trivella gigantesca indicava che stava correndo libera nell’aria – e allora un’altra verità mi balenò alla mente. La punta dello scavatore era sopra di noi. Lentamente mi venne in mente che dal passaggio attraverso gli strati di ghiaccio era stata sopra di noi. Avevamo svoltato nel ghiaccio e avevamo accelerato verso l’alto, verso la crosta terrestre. Grazie a Dio! Eravamo salvi!
Misi il naso sul tubo di aspirazione attraverso il quale dovevano essere prelevati i campioni durante il passaggio dello scavatore attraverso la terra, e le mie più ardite speranze si realizzarono: un’ondata di aria fresca si riversò nella cabina di ferro. La reazione mi provocò uno svenimento, e persi conoscenza.