Prologo
PrologoPrima di cominciare vi prego di tenere a mente che non mi aspetto che crediate a questa storia. Né potreste meravigliarvi se foste stati testimoni di una mia recente esperienza quando, armato di beata e magnifica ignoranza, ne ho narrato allegramente il succo a un Socio della Royal Geological Society in occasione del mio ultimo viaggio a Londra.
Avreste sicuramente pensato che mi avessero scoperto a compiere un crimine non meno efferato del furto dei gioielli della corona dalla Torre di Londra, o di aver messo del veleno nel caffè di Sua Maestà il Re.
L’erudito gentiluomo con cui mi confidavo si è come congelato prima che avessi finito di parlare! – è grazie a questo che si è salvato dall'esplodere – e i miei sogni di una menzione d’onore, medaglie d’oro e uno spazietto nella Hall of Fame sono svaniti nell’aria sottile e fredda della sua atmosfera artica.
Ma io credo a questa storia, e ci credereste anche voi, come ci crederebbe anche il dotto membro della Royal Geological Society, se voi e lui l’aveste sentita dalle labbra dell’uomo che me l’ha raccontata. Se aveste visto, come ho visto io, il fuoco della verità in quegli occhi grigi; se aveste sentito l’accento di sincerità in quella voce tranquilla; se aveste compreso la passione in tutto ciò – anche voi ci avreste creduto. Non avreste avuto bisogno della prova definitiva che avevo io: la strana creatura simile al ranforinco che aveva portato con sé dal mondo interno.
Mi imbattei in lui all’improvviso, e di certo inaspettatamente, al confine del grande deserto del Sahara. Era in piedi davanti a una tenda di pelle di capra in mezzo a un gruppo di palme da dattero di una piccola oasi. Lì nei pressi c’era un douar arabo di otto o dieci tende.
Ero venuto dal nord per la caccia al leone. Il mio gruppo era composto da una dozzina di figli del deserto – io ero l’unico uomo “bianco”. Mentre ci avvicinavamo al piccolo cespuglio di vegetazione, vidi l’uomo uscire dalla sua tenda e scrutarci intensamente riparandosi gli occhi con le mani. Alla mia vista avanzò rapidamente per venirci incontro.
— Un uomo bianco! — gridò. — Sia lodato il buon Dio! Vi ho osservato per ore, sperando contro ogni speranza che questa volta ci fosse un uomo bianco. Ditemi la data. Che anno è?
E quando glielo dissi, barcollò come se fosse stato colpito in pieno volto, tanto che fu costretto ad afferrare la mia staffa di pelle per sostenersi.
— Non può essere! — gridò dopo un momento. — Non può essere! Ditemi che vi sbagliate o che state scherzando.
— Vi sto dicendo la verità, amico mio —, risposi. — Perché dovrei ingannare uno sconosciuto, o anche solo provarci, in una questione così semplice come la data?
Per qualche tempo rimase in silenzio, con la testa chinata.
— Dieci anni! — mormorò infine. — Dieci anni, e pensavo che potesse al massimo essere poco più di uno!
Quella notte mi raccontò la sua storia – la storia che vi riporto qui, quasi con le sue stesse parole, come riesco a ricordarle.