Chapter 4

2158 Words
La sola madre di Lucia non avea per essa quell’affetto singolare e dominante che tutti gli altri della famiglia davano a divedere. Ella riguardava la pusillanimità (che così la dicea) della figlia, come una prova del men nobile sangue del padre che nelle vene della medesima prevalea, usando nomarla per derisione la pastorella di Lammermoor. Parea nondimeno cosa impossibile il non sentire inclinazione verso una creatura così docile e manierosa; ma lady Asthon preferiva il primogenito, erede in gran parte dell’indole di lei ambiziosa ed altera, ad una figlia, la cui ineffabile piacevolezza, per picciolezza d’animo dall’ingiusta madre venia definita. Questa parzialità a favore del primogenito aveva ancora un’altra origine nel nome dell’avo materno, che gli era stato imposto contro l’uso delle grandi famiglie della Scozia. «Il mio Sholto, soleva dire costei, serberà senza macchia l’onore della famiglia materna e procurerà lustro a quella del padre; la povera Lucia non è fatta nè per la Corte, nè pel gran mondo; sarà ventura per lei, se le tocca in marito un gentiluomo campagnuolo, abbastanza ricco per non lasciarla mancare di cosa veruna, e che non le dia motivi di piangere, se non fosse per timor panico che lo sposo si rompesse il collo andando a caccia della volpe. Non con questi principj si è innalzata la nostra casa; non con questi può conservarsi nell’antico splendore e salire anche a maggiore altezza: la dignità del lord Cancelliere è cosa affatto nuova per mio marito; tanto più fa di mestieri il provare che questo peso a noi non par tale, che siamo degni d’un grado così sublime, e che sappiamo farne valere tutte le prerogative. Gli uomini s’inchinano per abito, per una specie di deferenza ereditaria innanzi ad un magistrato splendente per lunga serie di antenati; ma cammineranno colla testa alta passandoci da fianco, se non gli avvezziamo a prostrarsi. Una giovine nata per vivere in una fattoria di campagna, o in un chiostro, non è quanto vuolsi a riscotere un rispetto tributato con ripugnanza: e poi che il Cielo di tre figlie che avevamo, ci ha lasciata solamente Lucia, dovea infonderle un animo degno del posto che ella avrebbe potuto occupare in mezzo della società. Saran paghi i miei voti, se potrò vederla moglie di un uomo che non abbia nè più energia, nè più ambizione di lei.» Così ragionava una madre, ad avviso della quale le prerogative del cuore, e la speranza della felicità domestica de’ suoi figli, erano un nulla a petto del grado e della grandezza cui poteano aspirare; ma simile in ciò a molt’altri genitori che aveano sortito dalla natura questo impetuoso ed impaziente carattere, ella s’ingannava nell’attribuire alla propria figlia il carattere di una estrema indifferenza. Lucia nudriva il germe di quelle passioni, che crescendo qualche volta in una notte, come la zucca del Profeta, ne rendono attoniti per la lor forza e vigoria subitanea. Quella specie di apatia che sembrava dominar nel cuore di questa giovane; derivava dal non essersi offerto ad essa alcun oggetto capace di inspirarle commozioni. In una guisa dolce e uniforme avea sino allora trascorsa la vita; e lei felice se questo placido corso non si fosse rassomigliato a quello di un fiume le cui acque, tranquille sulle prime, si precipitano spumeggianti dall’altezza di una cateratta insino al fondo di una voragine! «Dunque, mia cara Lucia, le disse il padre entrando nella stanza, quando ella ebbe terminato di cantare, il poeta filosofo che ha composti questi versi, v’insegna a disprezzare il mondo prima di averlo potuto conoscere? È troppo presto; ma forse voi non siete in ciò diversa dalla maggior parte delle giovinette che ostentano indifferenza pei piaceri del mondo, sintanto che qualche gentil cavaliere le invogli di parteciparne in sua compagnia.» La donzella, fattasi rossa, assicurò il padre di avere scelta a ventura quella canzone, nè potersene dedurre veruna conseguenza sul modo suo di pensare. Indi il padre avendole chiesto se volea secolui passeggiare, ella abbandonando lo stromento, si preparò a seguitarlo. Un grande parco ombreggiato da belle piante mostravasi su quella parte di montagna situata dietro al castello, che, giacente, come dicemmo, in una gola, parea quivi fabbricato, perchè ne fosse meglio munito l’ingresso. Quivi il padre e la figlia tenendosi per braccio, si diportavano lungo un bel viale d’olmi, i cui rami superni incrocicchiandosi scambievolmente, offerivano un rezzo sotto cui ripararsi dai raggi del sole, e d’onde era piacevole il vedere di tempo in tempo saltellar leggieri i caprioli e le damme. Le pesanti faccende giornaliere di ser Guglielmo Asthon non avendo scemato a’ suoi occhi il vezzo delle bellezze della natura, ei stava additando alla figlia alcuni bei punti di vista che scorgeansi per mezzo alle brecce della boscaglia, allorquando li raggiunse il boscaiuolo, che coll’archibuso in sulla spalla, e tenendo un cane al guinzaglio, avviavasi ad un sentiero per cui si arrivava alla parte più folta della foresta. «Ebbene, Normanno, si volse ad esso il padrone, voi v’incamminate ora per procurare qualche buona salvaggina alla nostra mensa?» «Questo appunto era il mio disegno. Vostro Onore desidera di esser presente alla caccia?» «No, no» rispose ser Guglielmo dopo aver volta un’occhiata alla figlia, cui la sola idea di veder morto un capriuolo facea impallidire, e che nondimeno, se il padre le avesse mostrato desiderio di seguire Normanno, non avrebbe forse manifestato ripugnanza veruna. Il boscaiuolo fece un moto molto simile allo stringersi nelle spalle. «Là è davvero una cosa che scoraggia, il servir padroni che non amano di assistere alla caccia. Spero che il signor Sholto non tarderà a ritornare, e allora troverò con chi barattare parola; perchè, quanto al sig. Enrico, è ben vero che vorrebbe far la vita ne’ boschi dalla mattina alla sera; ma gli stan sempre attorno con quel benedetto latino, sicchè può dirsi un giovine perduto; non diventerà mai quel che si dice un uomo. Oh! la cosa non andava così ai tempi del defunto lord Ravenswood; tutta la casa era sossopra quando si dovea ammazzare una damma; il Lord seguiva i cacciatori; atterrato l’animale, gli si presentava il coltello da caccia, e non dava mai meno d’un dollaro per ricompensa. Oh! in questo genere ha il suo gran merito anche Edgardo Ravenswood, quel che chiamano il sere di Ravenswood; sfido chi mi trovi il miglior cacciatore di lui nel paese, e povero quel cervo ch’ei si prefigge atterrare! Ma pur troppo da questa parte di montagna non si sa più che cosa sia caccia.» Nè l’argomento, nè lo stile di tale arringa erano fatti per dar gusto al lord Cancelliere; il quale dovette comprendere che il boscaiuolo quasi apertamente lo disprezzava, e gli facea un delitto di non dilettarsi della caccia; diletto che, in quei tempi e in quella contrada, consideravasi come naturale, e presso che indispensabile ad ogni vero gentiluomo. Ma il boscaiuolo in capo, essendo persona tenuta in certo conto, e godendo in tutti i castelli il privilegio di una tal qual franchezza di parlare, ser Guglielmo non fece altra cosa che sorridere rispondendo che in quel giorno dovea pensare ad affari, diversi assai dalla caccia. Nondimeno, traendo fuori la borsa, regalò a titolo d’incoraggiamento un dollaro al suo boscaiuolo. Lo scaltro, nel prenderlo, diè a divedere quell’aria con cui il cameriere d’un grande albergo riceve da un uom di provincia una mancia doppia di quella che avea sperato; vale a dire, con un sorriso in cui scorgeansi, la soddisfazione pel dono ricevuto, e il dileggio alla stupidezza del donatore. «Vostro Onore non sa il viver del mondo, gli disse; quando si è mai veduto pagare il servigio prima di averlo ricevuto? Come vi regolereste adesso se mi sfuggisse il cervo, dopo aver buscata la mancia?» «Suppongo, rispose sorridendo il Cancelliere, che non m’intendereste, e perderei il fiato, se volessi parlarvi della conditio indebiti.» «No, in coscienza che non intenderei; sarà, non ne dubito, qualche frase legale; ma /# Al mondo non v’è re, per quanto vaglia, Che sappia cavar sangue a una muraglia. #/ Vostro Onore conosce il proverbio. Però io sarò giusto con voi, e se il fucile fa fuoco, e se la polvere è buona, vi porterò un pezzo di salvaggina che avrà il lardo alto due pollici sulle coste.» Intanto che il boscaiuolo si allontanava, il padrone lo richiamò, chiedendogli se veramente il sere di Ravenswood fosse così bravo e buon cacciatore come veniva decantato. «Se è bravo! rispose Normanno, non ve l’ho detto? Poi, ascoltatemi. Io era nel bosco di Tyningham, un dì che il vecchio lord Ravenswood andava alla caccia; avea fatto uscire un cervo di tre anni che egli credeva già sfinito, quando l’animale arrabbiato si rivoltò correndogli addosso, e l’avrebbe, penso, sventrato, se Edgardo, che compiva appena i sedici anni, non si fosse spinto avanti, e con un colpo del suo coltello da caccia tagliato il garetto alla bestia.» «Ma tira bene a segno, come odo che adopera bene il coltello?» «A una distanza di ottanta passi colpirebbe un dollaro posto fra il mio pollice e il mio indice, e per un marco d’oro mi prendo l’assunto di tenercelo contro. Che cosa si può pretendere di più, da un occhio e da una mano, dalla polvere e dalle palle?» «Sì, sì è molto; ma noi vi facciamo perdere il tempo; addio, buon Normanno.» Il boscaiuolo allora si addentrò nella foresta, sicchè ser Guglielmo e la figlia più nol vedevano, ma l’udivano a quando a quando cantare, con voce, forte da prima, e i cui suoni s’indebolivano a proporzione dell’allontanarsi, le seguenti ottave, cui forse altre ne vennero dopo, non giunte a nostra notizia. «Appena batte la claustral dïana, Povero fraticel sorgi dal letto, Ma vi resti il prïor; per lui campana, Per lui non v’è di regole precetto. Così, o spiri scilocco, o tramontana, Quand’odo il gallo, imbraccio il mio giubbetto, E corro alla campagna a più non posso; Ma il mio padrone dorme ancor di grosso. Così soggetto alla medesma legge Vedi per gioghi carchi di spavento, Non men tapino del pastore il gregge, Cercar fra i rovi scarso cibo a stento; Ma un bel frascato del giardin protegge Dal raggio estivo e dal furor del vento La capriola che mertò favore Da lei che vinse il cor del mio signore.» «Che questo mariuolo (disse il lord Cancelliere, poichè la voce di Normanno non si faceva più udire) abbia servito la famiglia di Ravenswood? Alla premura con cui ne parla, si direbbe di sì. Tu, Lucia, dovresti saperlo, perchè non v’è contadino nelle vicinanze di cui tu non abbia voluto conoscer la storia, come se fossi obbligata da qualche legge di onore a cercarla.» «Non sono sì abile, quanto il pensate voi padre mio, nelle cronache del paese; credo però che Normanno in sua giovinezza abbia servito il vecchio Lord, e che dalla sua casa, siasi trasferito ad Edrington, donde il prendeste al vostro servigio. Se volete sapere maggiori particolarità, intorno ai Ravenswood, non potete volgervi meglio che alla vecchia Alisa.» «E che importa a me la storia di costoro? Ho forse io affari con questa gente?» «Vi dico ciò, padre mio, perchè poco anzi facevate interrogazioni a Normanno, intorno al giovine Ravenswood.» «Perchè non aveva altro da chiedergli, figlia mia. E chi è questa Alisa di cui mi parli? tu conosci tutte le vecchie del contado.» «Sicuramente, padre, che le conosco. Altrimenti, come potrei soccorrerle nei loro bisogni? Quanto poi ad Alisa ella è veramente la regina delle vecchie; non vi è leggenda, o storia del paese che questa donna non sappia a memoria. È cieca la povera creatura, ma quando vi parla, si direbbe che legge in fondo del vostro cuore. Standomi con essa, mi è accaduto spesse volte di voltarmi in là e nascondermi il viso, come se mi vedesse cambiar di colore, benchè orba come vi ho detto, e lo è da vent’anni. Voi dovreste farle meco una visita; non fosse altro che per poter dire che avete veduta una vecchia povera, cieca, paralitica, e che nondimeno ha il tuono, i modi, il linguaggio superiori al suo stato, e che debbono far maraviglia agli altri, come la producono in me, ogni qualvolta la vedo. Andiamo a trovare Alisa, padre mio; non siam lontani dalla sua capanna, che un quarto di miglio.» «Ma tu non rispondi alla mia interrogazione, Lucia; chi è questa donna, ti chiedo, e che razza d’affari ha coi Ravenswood?» «È quanto io non so. Credo abbia ricevuto il vitto in quella famiglia, e che, se rimane qui, sia perchè ha due nipoti al vostro servigio. Ma vi sta a suo dispetto, perchè la povera creatura sospira sempre i giorni che ha passati vicino ai suoi vecchi padroni.» «Gliene sono ben tanto obbligato! Mentre i suoi nipoti mangiano il mio pane, ella sospira una famiglia, che non potrebbe più essere di alcun vantaggio nè a lei, nè a chicchessia d’altri.» «Padre mio, voi fate ad Alisa un torto che ella non merita. Non la credeste già mercenaria; morirebbe di fame piuttosto che accettare un soldo per carità. È un poco ciarliera, come il sono, generalmente parlando, i vecchi quando si mettono a contare le storie della lor gioventù, e parla dei Ravenswood, perchè è vissuta lungo tempo nei lor poderi. Ma ella vi è grata, ne son certa, della vostra bontà, e s’interterrebbe più volentieri con voi che con qualunque altra persona. Venitela a vedere, padre mio, ve ne prego, veniteci.» E traendosi dietro il padre colla libertà propria ad una figlia che sa di essere molto amata, lo fece incamminar sul sentiero che alla capanna della vecchia Alisa guidava.
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