Intanto che Lucia a cotai sogni si abbandonava, facea frequenti visite alla vecchia Alisa, colla speranza di poter con essa condurre il discorso sopra un soggetto al quale incautamente avea lasciato il predominio assoluto de’ suoi pensieri; ma si trovò ingannata in questa espettazione. Non che la vecchia non le parlasse volentieri, e con una specie di entusiasmo, della famiglia dei Ravenswood; ma parea evitasse con ogni studio qualunque particolarità che si riferisse all’erede attuale di questa illustre prosapia, o se pure alcuna rara volta lo rammentava nol facea per dire cose che potessero a Lucia riuscire aggradevoli; poichè il dipingea, come uomo d’indole cupa e disdegnosa, non fatto per perdonare un ricevuto affronto, e memore di esso fino al momento della vendetta. Però questi schiarimenti erano quanto bastava a Lucia per combinarli cogli avvisi dati dalla stessa Alisa al lord Cancelliere, perchè si guardasse dalla vendetta di Ravenswood.
Nondimeno questo Ravenswood, divenuto scopo a così odiosi sospetti, non gli avea egli stesso vittoriosamente combattuti colla nobile condotta che tenne, allorchè lord Asthon e la sua figlia si trovarono in pericolo di vita? Se avesse nudriti atroci divisamenti di vendetta, come i discorsi di Alisa davano a sospettarne, non gli facea mestieri commettere un delitto per disbramare compiutamente una sì orribile sete; gli bastava mantenersi inoperoso; avrebbe veduto l’uomo detestato perir d’una morte crudele, siccome certa, s’egli stesso generosamente non lo avesse soccorso. Dalle quali cose conchiuse la donzella, che soltanto alcune preoccupazioni di mente, e que’ sospetti cui si abbandonano sì di leggieri i vecchi e gli sfortunati, aveano potuto condurre Alisa a giudicare con tanto disfavore il giovane Edgardo, e a dipingerlo con colori inconciliabili affatto colla nobiltà e colla generosità che questi avea dimostrate: convincimento in cui poneva tutte le sue speranze Lucia, che si fabbricava un tessuto d’illusioni splendente e fragile, come quelle sottili fila che vediamo tremolar per l’aere ai raggi del sol nascente in una bella mattina di primavera.
Intanto il padre di Lucia abbandonavasi a meditazioni non men frequenti di quelle che teneano l’animo della figlia, ma assai più fondate sulla singolarità del caso dianzi avvenuto. Giunto a casa, la prima cura suggeritagli da amore di padre, fu quella di chiamare un medico, per accertarsi, se nulla eravi da temere per la salute della figlia, dopo lo spavento e le angustie alle quali necessariamente fu in preda. Ottenute su di ciò soddisfacenti risposte, si chiuse nella sua biblioteca, ove dopo esaminate le annotazioni che avea fatte nel ricevere la relazione del messo incaricato d’interrompere le esequie di lord Ravenswood, si diede ad un lavoro affatto opposto a quello che da prima avea cominciato. Essendo in lui tutta la destrezza propria di un uomo del Foro, eragli cosa facilissima il presentare un fatto medesimo con que’ colori che più gli andavano a grado: pertanto nel preparare il rapporto che dovea leggere al Consiglio privato, sul tumulto cui questi funerali diedero origine, ebbe altrettanta cura di attenuarne le tinte, quanta ne avea avuta per lo innanzi di caricarle. Insistea inoltre sulla necessità di tenersi alle vie della conciliazione colla gioventù, alla quale voleano perdonarsi un natural bollor di sangue, e la mancanza di quella esperienza, le cui lezioni vengono solo dal tempo. Nè si fece scrupolo di rinversar molta parte di colpa sul messo de’ tribunali, che nell’adempiere il suo ministero avea mostrato assai più di zelo che di prudenza.
In questa guisa inteso era lo scritto ufiziale del lord Cancelliere; ma di una natura anche più favorevole al giovine Ravenswood, erano le lettere particolari spedite da ser Guglielmo a que’ suoi amici, ne quali potea fidarsi, e che avrebbero avuto maggiore preponderanza nella decisione di questa bisogna. Non si stancava di dire ai medesimi che gli espedienti i più miti sarebbero anche stati i più politici e regolari in tal circostanza; grande essere il rispetto che si avea nella Scozia per tutto quanto alle cerimonie funebri appartenea; sarebbesi eccitato un mal umore nel pubblico, se si fosse usato aspramente col sere di Ravenswood, perchè impedì che le esequie di suo padre venissero frastornate. Finalmente assumendo carattere d’uom nobilissimo e generosissimo, chiedea che per riguardo a lui medesimo, venisse posta in silenzio una tale faccenda; frammettendo a questo luogo una dilicata allusione allo stato in cui trovavasi rispetto al giovine Ravenswood, dopo la necessità che lo costrinse sì lungo tempo, benchè per difesa de’ proprj diritti legittimi ad essere in lite col padre di lui. Egli sarebbesi veduto disperato, aggiugnea, se qualche malevolo avesse profittato di una tal congiuntura per calunniarlo, come uomo che si fosse giovato di una lieve imprudenza del giovine Ravenswood, per dar l’ultimo crollo ad una famiglia nemica della propria; sarebbe inconsolabile oltre a ciò in veggendo rincalzate le sciagure di una nobile casa, e molto più, s’ei ne fosse, anche indirettamente, la cagione. Ben tutt’altro! Avrebbe anzi desiderato farsi un merito dell’indulgenza che venisse adoperata verso l’imputato, in virtù del suo rapporto favorevole e della sua intercessione. Conchiuse col protestare che avrebbe professata una obbligazione personale, e affatto speciale ai suoi nobili amici, quando che avessero condisceso a coprire col velo dell’obblio questa così perdonabile inconsideratezza dell’erede dei Ravenswood.
Qui è da notarsi una particolarità; ed è che scrivendo a lady Asthon, contro il suo costume ordinario ed uniforme, di tutte le precedenti cose non le motivò una parola. Ben le scrisse vagamente dello spavento che il correre d’un toro selvaggio avea cagionato alla figlia. Ma non accennò, nè manco per immaginazione, l’inaspettato soccorso venuto ad entrambi dal giovine Ravenswood, come non le parlò del tumulto accaduto nel celebrarsi i funerali del vecchio Milord.
Non fu poca la sorpresa degli amici e colleghi di ser Guglielmo, quando ne ricevettero le lettere, concepite in uno stile cui non si sarebbero mai aspettati. Ciascuno si mostrava all’altro la propria lettera, e vedendo finalmente che tutte collimavano al medesimo fine, l’un d’essi si metteva a ridere, l’altro aggrottava il sopracciglio, un terzo spalancava gli occhi e la bocca, e un quarto chiedeva se fosse cosa ben certa che il lord Cancelliere non avesse scritta qualche altra lettera segreta in un senso affatto opposto, ed aggiunse: «Scommetterei quanto ho al mondo che nessuna di queste contiene il vero nodo dell’imbroglio.»
Ma niuno avea ricevute lettere di un tenore diverso, benchè la natura delle cose, e il carattere del personaggio facessero credere ad alcuno la possibilità della loro esistenza.
«Eh! (Disse un uomo di Stato che avea fatto i capelli grigi, e che a furia di inchinarsi e di cambiar partito a seconda delle circostanze, avea sempre mantenuto il suo posto al governal della nave, ad onta che fosse andata per trenta anni ora a greco, ora a scilocco) non mi maraviglio. Il nostro ser Guglielmo ha verificato il vecchio proverbio scozzese: la pelle d’agnello si vende in mercato, come quella di pecora.»
«Converrà fare quel che desidera, diceva un altro; ma io era lontanissimo dall’aspettare una tal domanda per parte sua.»
«Il Cancelliere se ne pentirà da qui a un anno ed un giorno, diceva un terzo, perchè il sere di Ravenswood è quel tal giovinetto che gli darà lana da filare.»
«Saprei però volentieri qual altro partito vorreste prendere, o Milordi, su di questo povero giovinetto? Chiese il marchese di Athol. Il lord Cancelliere possede tutti i beni di sua famiglia. Se pronunziaste anche un’ammenda contro di lui, non ha uno scellino per pagarla.»
«Ha la pelle, se non ha la borsa, disse lord Turntippet. - Luitur c*m persona, qui lucre non potest c*m crumena. - Questo è buon latino, Milordi, eccellente latino di giurisprudenza. Che cosa ne dite voi?»
«Io non vedo, Milordi, riprese a dire il Marchese, qual interesse possa avere nessun di voi altri nello spingere questo affare più in là. Lasciamo che il lord Cancelliere operi come crede meglio,»
«Così sia, così sia! soggiunse quel consigliere più vecchio. Rimane deciso che questo affare è rimesso al Cancelliere; tutto al più gli daremo per aggiunto un di noi, tanto per salvare la formalità; per esempio, lord Hirplehooly, che non si può mover da letto. Su via! signor protocollista, notate questa deliberazione ne’ vostri registri. Ora, Milordi, dobbiamo porre un partito sull’ammenda di lord Bucklaw, di quel giovine spensierato che si mangia tutto il suo patrimonio. Suppongo che verrà posta nelle mani del lord Tesoriere.»
«Come? Come? sclamò lord Turntippet, io contava che questo boccone caderebbe nella mia bocca, e l’aveva aperta già per riceverlo.»
«Voi correte un po’ sollecito ne’ vostri disegni, Milord, disse il Marchese; e mi fate ora ricordare d’una parabola che vi ho udito citare in un’altra circostanza, la parabola del can del mugnaio, che mette fuori la lingua prima che sia slegato il sacchetto ove sta il suo desinare. L’ammenda non è ancor decretata.»
«Ma si fa presto; non ci vuole che un tratto di penna, disse lord Turntippet; nè credo che fra questi nobili Lordi, ve ne sia un solo, il quale s’immagini che dopo avere io mostrata tutta la possibile compiacenza dopo avere prestati quanti giuramenti mi sono stati chiesti, dopo avere abbandonate tutte le fazioni che hanno soggiaciuto; in una parola, dopo avere per tant’anni servito lo Stato, or per un verso, or per l’altro, io non debba, a quando a quando, conseguir qualche coserella per rinfrescarmi le fauci e mandar giù più speditamente la mia saliva.»
«Ma ci volete così scimuniti, replicò il Marchese, per non esserci accorti, o Milord, che nulla vi può restar sul gorgozzuolo, e che sarebbe una speranza da matti, quella di voler estinguere la vostra sete?»
Ma gli è tempo di calar la cortina sopra le scene che il Consiglio di Scozia in que’ malaugurosi giorni offeriva.