6.

1234 Words
6.Dicono che nei momenti peggiori si senta il bisogno di vedere gli amici, ma a volte la cosa migliore è circondarsi di gente sconosciuta o quasi con cui distrarsi e non pensare. Per questo quando Susanna aprì la borsa e trovò il tovagliolino con il numero di Carlotta, la chiamò senza indugi. “Non so se ti ricordi di me” disse. “Ci siamo conosciute l’altra sera, al Blue Velvet.” “Ehilà... ma certo” rispose Carlotta, allegra. “Sei stata rapida a preparare la valigia.” Susanna se la vide in una stanza luminosa e dai colori sgargianti come la camicetta indiana che indossava al club e l’immagine la mise di buonumore. “Eh magari. Ma se ti va mi piacerebbe fare due chiacchiere, anche qui a Torino.” “Perché no? Per Londra e Parigi poi ci attrezziamo.” “Ahah, certo. Ti va bene verso le cinque?” “Sì, a quell’ora in genere sono libera. Che giorno?” “Ehm... a dire il vero pensavo oggi, se puoi.” “Cioè tra un’ora...” Carlotta fece una pausa, poi disse: “Be’ sì, non c’è problema.” “Perdona se sono invadente, è che oggi mi è successo un casino con il lavoro, e se resto ancora a casa impazzisco.” “Oh no, mi dispiace” disse lei. “Allora ti ci vuole un buon tè profumato e una fetta di torta gigante.” “Ah, magari.” “Conosco un posto dove fanno un cheesecake ai lamponi squisito”, disse, e le diede appuntamento in un locale defilato dai portici del centro, nella zona sonnolenta e un po’ retrò dove scorre placida la Dora. La torteria non era vicina, ma una passeggiata l’avrebbe aiutata a chiarirsi le idee, e a metabolizzare l’ultima conversazione shock con la banca. Era appena uscita di casa, quando le venne in mente di chiamare il professor Altavilla e chiedere spiegazioni: dal nervoso ancora non ci aveva pensato. Il telefono ovviamente squillò a lungo, senza ricevere risposta. “Non è possibile...” Susanna riprovò ancora un paio di volte, ma il cellulare continuava a suonare a vuoto. Tentò un’ultima chiamata, mentre attraversava corso San Maurizio, quando ecco un rapido spostamento d’aria e un acuto stridio di freni. “Ehi!” Fece un salto all’indietro: un’auto aveva appena inchiodato a pochi millimetri da lei. “Ma che cosa...” Poi notò la macchina: una Manta verde anni Settanta. Soltanto una persona a Torino ne possedeva una simile. Steve Salvatori, con indosso un paio di Ray-Ban verdi a goccia, sporse il gomito fuori dal finestrino. “Salta su.” “Vado a piedi, grazie.” La Manta rimase ferma di traverso nel centro della strada, il motore acceso. Le auto cominciarono a strombazzare, un vigile dall’altro lato del corso intercettò la scena, e fece un cenno a un collega. “Forza.” “Ho un appuntamento, Steve. Vado di fretta.” I clacson aumentarono di decibel, mentre il vigile li raggiungeva a passo rapido. “Ho fretta pure io. Monta su e falla finita.” Susanna salì, sospirando. La voce di George Thorogood riecheggiava l’abitacolo. “I’ll make a rich woman beg ... and I’ll make a good woman steal” Il semaforo era diventato rosso. “Dove devi andare?” “In via Catania.” Steve schiacciò l’acceleratore a tavoletta. “I’ll make an old woman blush ... and I’ll make a young girl squeal..” La Manta partì con una sgommata, e superò zigzagando le altre auto ferme al semaforo, tra strombazzate e improperi. “A che numero?” “Il 10” fece Susanna, poi aggiunse: “Non vorrai farmi credere che sei venuto a investirmi sotto casa solo per farmi da taxista.” “Torino è piccola.” “Avanti, ammettilo che sei venuto a chiedermi i soldi di Altavilla.” “Non lo farei mai.” “Perché sei un bravo ragazzo?” “No. Perché Altavilla non ti ha pagato.” “Ah... e che ne sai?” “Te l’ho detto. Gli assegni post datati sono una truffa.” “I’m here to tell ya, honey ... that I’m bad to the bone...” Susanna osservò i caseggiati di pietra che scorrevano rapidi, e i passanti sbiaditi al di là del vetro: tutto le parve inutile e privo di senso. “Non avrei mai detto che il professor Altavilla, un individuo bizzarro, ma così nobile e distinto, si comportasse in un modo simile” sospirò. “Perché...” “Perché sei ingenua” disse Steve. “Dei collezionisti non bisogna fidarsi, specie di quelli di pellicole.” “Ah, ecco. Ma pure tu sei un collezionista.” Steve le puntò addosso l’occhio ceruleo. “Infatti.” Costeggiarono il Lungo Dora e si inoltrarono nell’atmosfera sospesa della Vanchiglia. La Manta avanzava a tutta birra nel labirinto di vie placide e sonnacchiose, dinanzi alle colorate boutique artigianali, alle sartorie indipendenti e ai juice bar dai colori acidi. “Io quel bastardo lo denuncio” fece Susanna, a denti stretti. “Qualcuno mi dovrà pur pagare.” “Non ti pagherà nessuno.” “Che cos’è, una minaccia?” “No, un dato di fatto. Quando l’altra sera mi hai detto dell’assegno post datato, ho fatto un po’ di domande nell’ambiente.” “Ah. E che cosa hai scoperto?” “Altavilla è in bancarotta.” “Be’ è perché non me l’hai detto?” “Non me l’hai chiesto.” Susanna si trattenne dall’insultarlo. “In ogni caso non capisco perché non dovrei denunciarlo. In fondo ho lavorato per lui.” Steve sterzò brusco in via Cagliari, e l’attraversò di volata. Per poco non investì un passante. “Se non hai firmato un regolare contratto, non puoi farci niente.” “Ma è orribile.” “Abbastanza. Ma c’è una buona notizia.” “E quale sarebbe?” “Le banche gli sequestreranno tutto.” “Non vedo che cosa ci sia di buono in tutto questo.” “Semplice. I suoi beni finiranno all’asta, pellicole comprese, Drakula halála compreso” dichiarò Steve. “Un qualsiasi consulente inviato dalle banche non avrà la minima idea di che cosa gli è capitato per le mani.” “E quindi che dovrei fare?” saltò su Susanna. “Comprarmelo come souvenir di Budapest con i cinquanta euro che mi sono rimasti sul conto?” “No. Lo acquisterò io.” Steve si tolse lentamente i Ray-Ban e sorrise. “Per poi rivenderlo a tutt’altra cifra.” “Bene. Mi rallegro per te.” Susanna non vedeva l’ora di scendere. “Ovviamente” continuò l’uomo “visto che il film l’abbiamo trovato insieme, potrei darti una percentuale sul ricavato della vendita.” “Ah, davvero?” Lo guardò sorpresa. “E quale sarebbe il motivo di tale magnanimità?” “Lo stesso per cui ti ho cercato, poco fa.” Lei fece una smorfia. “Propormi un lavoretto, suppongo.” La Manta entrò in via Catania. Steve inchiodò l’auto di fianco alla veranda a vetri della torteria, in mezzo alla carreggiata. “Esatto.” Susanna aprì la portiera e scese in strada. “Ancora ricordo i tuoi lavoretti. Quando mi sono dovuta buttare da un palazzo o mi hanno inseguito dobermann inferociti.” Steve inarcò il sopracciglio. “No pain, no gain.” Poi la Manta ripartì sgommando.
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