3.

1256 Words
3.Le persone al mondo che detestano la pizza si contano sulle dita di una mano. Susanna era una di quelle. Dopo l’esperienza di lavoro presso un pizzaiolo schiavista che in tutta gratitudine l’aveva pure licenziata, l’odore di una semplice margherita cotta in forno le dava il voltastomaco. Eppure, in quel dannato locale, qualcosa l’aveva imparato, per esempio a camminare in perfetto equilibrio con il vassoio carico di bevande. Il trucco era banale: disporre i bicchieri più piccoli e leggeri all’interno, e le bottiglie più alte e pesanti sul bordo esterno a riequilibrare il carico. Gli avventori del Blue Velvet affollavano i tavoli, ascoltando musica e chiacchierando a voce bassa: alcuni indossavano abiti casual, altri eleganti, ma ogni mise era fuori dal comune e pareva ispirata a qualche oscuro musicista dark o uscita dall’atelier di uno stilista minimale. Susanna attraversò la sala a passo spedito e distribuì le consumazioni ai tavoli, finché non passò davanti all’elegante pianoforte a coda, su cui erano stati abbandonati piatti sporchi di salmone e calici di prosecco semivuoti. E un cocktail, intatto e solitario. Rum e Coca. L’odore dell’alcol le penetrò le narici fin quasi a stordirla, mentre una sagoma si materializzava incerta tra le luci oblique del locale. “Rum e Coca... Se li metti insieme fanno il Cuba Libre...” “N-non bevo... ti prego...” Il ragazzo avanzava verso di lei, il cocktail in una mano, le labbra piegate in un sorriso sensuale. “Non ti senti più libre?” Susanna scosse il capo per scacciare quell’immagine, perché vedere Edoardo, in quel momento, era come vedere i fantasmi, e non era la prima volta che lì al Blue Velvet le capitava di incontrarne, perché a volte in quel luogo tutto precipitava, ed era come se i vivi e i morti fossero la stessa cosa... “Susanna... non ti senti più...” Vacillò, e una sonnolenza sottile la aggredì poco a poco. Le palpebre le si fecero pesanti, mentre la mente svaporava e ogni cosa intorno diventava precaria. “Dannata narcolessia” mormorò. La colpiva sempre nei momenti peggiori. Sbatté gli occhi, mentre le dita poco a poco le si intorpidivano. Accelerò il passo, e tentò di seguire i quadri bianchi e neri del pavimento, ma il reticolo si distorceva. Desiderava soltanto una scialuppa che la traghettasse al volo fino alle sacre pastiglie di Ritalin che teneva nella tracolla dietro al bancone. Ancora pochi metri e... Il vassoio rovinò a terra in un clangore di schizzi e di vetri rotti, tra le grida sorprese degli avventori. Susanna barcollò verso la parete, confusa. Il sonno le era passato in un istante. “M-mi dispiace”, disse, rivolta agli occupanti dei tavolini accanto; i cocci di vetro erano schizzati un po’ ovunque, sulle tartine, nei bicchieri, addosso ai vestiti. Tentò di rifugiarsi nel pensiero confortante dell’assegno postdatato di Altavilla, ma il lunedì le parve lontanissimo. “Io... non volevo...” Stava per dirigersi al bancone a recuperare una scopa e una paletta quando Tony si materializzò al suo fianco, la collera dipinta sul volto barbuto. “Che succede?” “Sono... sono scivolata”, mentì Susanna. Se avesse detto al principale che le era parso di rivedere il fidanzato morto non l’avrebbe di certo presa bene, ma se avesse pure scoperto che era narcolettica, e che si addormentava mentre serviva ai tavoli, l’avrebbe licenziata all’istante. Non vedeva l’ora di incassare quell’assegno, e poter frequentare il Blue Velvet soltanto come cliente. “Scivolata dove?” indagò l’uomo. “I pavimenti prima erano perfetti.” “Non... non saprei...” Si guardò intorno, imbarazzata. Non sapeva che altra scusa inventare, e la proverbiale severità di Tony esigeva chiare spiegazioni. “Sono stata io.” Susanna e Tony si voltarono all’unisono. Una biondina dalle lunghe trecce e una camicia indiana cangiante scese da uno sgabello alto e si parò decisa tra Tony e Susanna. Doveva avere meno di trent’anni e non arrivava al metro e sessanta, ma parlò con voce chiara e sicura, incurante dell’interlocutore grosso e barbuto. L’uomo la scrutò perplesso. “E tu che cosa c’entri?” “Più che altro c’entra Lei” La ragazza sgranò gli occhi, di un colore singolare, quasi violaceo, e gli mise sotto il naso una grande borsa di renna con le frange. “L’avevo dimenticata in mezzo al passaggio, non inciamparvi sarebbe stato un miracolo.” “Ah” fece Tony, interdetto. Era chiaro che non se la poteva prendere con una cliente. “Sono terribilmente distratta”, aggiunse la biondina, abbassando lo sguardo. “Mi dispiace.” “E va bene” sospirò l’uomo. “Può capitare.” Poi si rivolse a Susanna. “La prossima volta, carina, cerca di pensare meno al fidanzato” disse, e sparì dietro alle porte della cucina. La biondina era tornata ad appollaiarsi sullo sgabello; scriveva assorta su un quaderno, mordendo un pezzo di pizza. “Grazie per prima” disse Susanna. “Mi hai praticamente salvato la vita.” Lei alzò gli occhi dal foglio, che le brillavano sul viso come due pietre color ametista, e le lanciò un sorriso. “Figurati. Per così poco.” “Be’ per ora il Blue Velvet è la mia unica entrata del mese... anche se per essere laureata in cinema non mi dovrei lamentare.” “Ti capisco” replicò la ragazza. “Non è che noi dottorande in storia dell’arte ce la passiamo molto meglio.” “A saperlo, in un’altra vita mi iscriverei a ingegneria” scherzò Susanna. “O magari a economia e commercio.” “Io, in un’altra vita, non mi iscriverei proprio a nulla” la biondina socchiuse gli occhi, sognante. “Affitterei uno di quei bei pullmini arancioni anni Settanta, i Volkswagen, hai presente? E poi partirei all’avventura per l’Europa: Parigi, Londra, Praga, Budapest, Berlino... non sarebbe fantastico?” “Sicuro. Budapest a parte, però.” “Perché?” “Mmh. Ci sono stata di recente, e diciamo che ho passato vacanze più tranquille.” “Ah, davvero? Comunque restano tutti gli altri paesi d’Europa” la rassicurò la ragazza. “Al nord ho alcuni parenti, mi potrebbero ospitare per un po’.” “Beata te” sorrise Susanna. “Le mie parentele non escono dall’Italia e stanno tutte in posti noios...” Si voltò. Ronnie la stava chiamando al bancone per le nuove ordinazioni. “Senti, ora devo andare, ma ti posso offrire qualcosa da bere? Sei stata davvero carina poco fa.” “Wow, grazie... una Coca con ghiaccio, allora!” “È la mia bevanda preferita. Anche tu astemia?” “No, saggia” dichiarò la ragazza. “Ho appena bevuto una vodka liscia, un mojito, e una caipirinha.” Fece una pausa. “L’alcol nell’attesa ti aiuta a ragionare.” “Nell’attesa?” “Sì, aspettavo una persona e...” Lo sguardo brillante le si appannò per un attimo. “Comunque, io sono Carlotta.” “Piacere, Susanna” con la coda dell’occhio si accorse che alla cassa si era formato un capannello di gente impaziente. “Ora devo scappare, ma torno con la Coca.” “Grazie” Carlotta scarabocchiò alcune cifre sul tovagliolino unto di pizza. “Intanto ecco il mio numero. Per il viaggio on the road della nostra prossima vita.” “Magari” sorrise Susanna. “Ma ce ne vuole ancora un po’...” “Non è detto” fece lei, sibillina. “La nostra prossima vita potrebbe essere già questa.” E tornò a riempire l’agenda con la sua grafia minuta.
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