2.

2355 Words
2. Novembre 1413, Moulins, Francia Pierre quasi non riusciva a tenersi in sella, mentre lasciavamo Moulins. Aveva bevuto come una spugna, dopo la fine del torneo organizzato dal Duca di Borbone – torneo dal quale era stato comunque buttato fuori al terzo duello. Il resto del tempo eravamo rimasti in città per assistere alle gare e bere forte. Man ano che passavano i giorni mi ero convinto sempre di più che Pierre non volesse tornare a casa. «Pierre, sul serio, mi spieghi dove cavolo vuoi andare? Le strade fanno schifo, lo sai anche tu. Vorrei almeno sapere dove tireremo le cuoia». Lui si voltò a metà e quasi perse l’equilibrio. Lo riconquistò per miracolo e mi rivolse un sorriso storto. «A Parigi, bello mio. Andiamo a Parigi». Sospirai. Sembrava un’altra delle stronzate di Pierre. «Primo: che cosa ci andiamo a fare, a Parigi? Secondo: era davvero necessario svignarsela da Moulins lasciandosi dietro assistenti, armatura e cazzate varie? Terzo...» Lui ridacchiò. «Non si chiamano “assistenti”, Patrick. Si chiamano “scudieri, paggi e seguito tutto”. Non mi servono a un cazzo, quindi sì, era necessario. Inoltre, non voglio che vadano a spifferare a mio padre le mie intenzioni». Sospirai di nuovo. «Okay, ma io non sono tuo padre. A me puoi dirle, le tue intenzioni?». Il suo sorriso si fece davvero divertito. «Ma certo. Andiamo a Parigi ad arruolarci nella cavalleria del re». Perfetto. Era tutto dannatamente perfetto. +++ Mi sa che è meglio fare un passo indietro. Al 30 maggio, per esempio. Il 30 maggio ero stato risucchiato via dal mio comodissimo presente, il 2018, ed ero stato risputato nel fottuto 1413. In Francia. Dopo un po’ avevo anche scoperto che in Francia erano in corso ben due guerre, in quel periodo, e che io potevo godermele entrambe. La prima era la Guerra dei Cent’anni. Ne avrete sentito parlare. Persino io, che a scuola ho sempre fatto pena, l’avevo sentita nominare. In sintesi: Inghilterra contro Francia. Nel 1413, in realtà, non erano in corso scontri significativi, quindi, anche se gli inglesi restavano comunque “i nemici”, la guerra vera e propria non era contro di loro. Parte della Francia era occupata o governata dagli inglesi, persino la Chiesa si era divisa in due fazioni, ma in quel momento c’era più che altro una pace armata. La guerra vera e propria era una guerra civile tra armagnacchi e borgognoni. Era una faccenda complicatissima e ve la spiegherò in un secondo momento, vi basti sapere che il paese non era in pace, nemmeno per sbaglio. Inoltre un sacco di mercenari erano stati lasciati senza paga dalle cessate ostilità... e secondo voi che cosa potevano mai fare dei branchi di uomini armati che fino a un istante prima avevano sbuzzato persone sotto il comando di qualche capitano di ventura, lasciati a loro stessi? Esatto, erano diventati briganti (li definivano routier) e saccheggiavano a casaccio tutto quello che trovavano. Le strade non facevano semplicemente “schifo”, erano proprio postacci dove potevi lasciarci la buccia, specie se te ne andavi in giro con un bel cavallo e con dei bei vestiti. Ma ovviamente Pierre se ne fregava. Parliamo un attimo di Pierre. Era stato lui a tirarmi su dal fiume Allier, il 30 maggio, mentre stava andando a Moulins per un torneo cavalleresco. Sì, lo so, è roba da far sbuzzare dal ridere, ma quella gente lo faceva davvero, okay? Ne avevo visto uno di persona e posso assicurarvi che non era poi così divertente, dal vivo. Pierre... come spiegarvi i problemi di Pierre? Era un ragazzo meraviglioso, sul serio, ma era chiaro che aveva un Edipo irrisolto con il padre grande come una casa. Era il quinto figlio della casata dei Roucy, che aveva un piccolo feudo da quelli parti in Averna. Forse non lo sapete, ma nel Medioevo non essere il primogenito era un po’ una fregatura. Il titolo e le terre passavano al primo nato, gli altri figli dovevano arrangiarsi. Di solito si buttavano nel settore religione o nelle armi. Pierre... be’, diciamo che non lo vedevo molto portato per la vita ecclesiastica. Avevo incontrato raramente un simile appassionato di topa. Nel 1400, in Francia, non c’erano ancora le confessioni comode e ragionevoli tipo i presbiteriani. Erano tutti cristiani cattolici e se ti facevi prete o monaco dovevi dire addio alle ragazze, almeno in teoria. Pierre non era pronto a dire addio a nulla; né al vino, né alle donne, né ai soldi. Non che di soldi ne avesse molti, ma era sempre messo meglio del servo della gleba standard. Comunque... per risolvere il problema dei soldi aveva pensato di iscriversi alle giostre di Moulins, appunto, che prevedevano un bel premio in denaro grasso per il vincitore. Peccato che Pierre non avesse vinto. Anzi, in realtà era stato buttato fuori quasi subito, poi eravamo rimasti in città a gozzovigliare e a guardare gli altri duelli. I tornei duravano diversi mesi, tutto aveva i tempi di un film di Ingmar Bergman, quindi eravamo restati lì da giugno fino all’inizio di novembre, Pierre impegnato a bere fino allo svenimento, io a cercare di capire in che cazzo di posto ero finito. Alla fine avevo preso atto della realtà: ero nel Medioevo. Avevo iniziato a bere piuttosto forte anch’io, ma al contrario di Pierre mi rendevo conto che era una reazione disfunzionale. Quantomeno avevo imparato il francese antico o come volete chiamarlo. Non mi sembrava più di essere in un film in costume... ora mi sembrava che la gente parlasse in modo normale. In quanto a Pierre, a suo modo mi aveva adottato. Ero finito nella sua scorta. L’avevo aiutato ad allenarsi per le gare – non che fosse servito a molto – e cercavo di porre un limite all’alcolismo di entrambi – neppure in quello ero stato molto efficace. Finché a un certo, punto, quando il torneo stava per finire, Pierre aveva annunciato che ce ne andavamo. Avevamo fatto fagotto e ci eravamo messi in marcia. Così, senza un secondo pensiero. +++ «Senti, vorrei capire meglio quest’idea di andare a Parigi» gli dissi, quando smontammo da cavallo, più o meno a mezzogiorno. Nel frattempo Pierre aveva un po’ smaltito la sbornia della notte precedente. Bevve dell’acqua dalla borraccia e diede un morso a una delle mele nel sacchetto che si portava attaccato alla sella. «Figuriamoci se non dovevo spiegarti tutto, uomo del futuro» ridacchiò. Nel frattempo io stavo accendendo un fuocherello, giusto per darmi una scaldata e abbrustolire qualche castagna. Da quelle parti all’inizio di novembre faceva freddino, fidatevi di me. «Già, in effetti... in che senso vuoi arruolarti nella cavalleria del re?». Pierre sospirò. Era un giovanotto ben piantato, dalla faccia simpatica e dai capelli castani. Era belloccio, ma, specialmente, sapeva sfinire di chiacchiere le signore. O magari quelle che sfiniva di chiacchiere non erano proprio signore rispettabili, ma diciamo che le convinceva con relativa facilità a non farlo pagare. «Al torneo non ho cavato un ragno dal buco, come senza dubbio hai notato. Il mio caro padre non ha più intenzione di mantenermi e se torno a casa finirò in qualche seminario. Non voglio finire in un seminario». «Okay, su questo sono d’accordo. Sembra ragionevole». Lui rise. «Per questo mi piaci! Ti sembrano ragionevoli le stesse cose che sembrano ragionevoli a me. Per essere vecchio sei davvero a posto». Avevo trentaquattro anni, per inciso. Ignorai la sua frecciata, ben consapevole che nella sua epoca i trentaquattrenni non erano più giovani, ma anche ben consapevole di essere diverso da loro: io ero giovane. «Quale cavalleria?» insistetti. «Del re. Carlo il Folle, hai presente? Il nostro re». «Il tuo re» precisai. Pierre scosse la testa. Sapeva che venivo dal futuro, ma non ci credeva del tutto. Mi stava bene così. «Ha un esercito, il mio re. E mio padre ha combattuto con il connestabile. Se lo lasci iniziare a parlare ti fa una testa così su quando lui e Charles d’Albret hanno servito sotto il grande du Guesclin». «E chi è?». Mi lanciò uno sguardo disgustato. «Bertrand du Guesclin. Uno dei più grandi combattenti di Francia. Aveva un suo esercito privato, ha combattuto un po’ dappertutto, collezionando titoli, terre, onori... ha fatto i soldi a palate e alla fine è diventato connestabile di Francia. Partendo dalla piccola nobiltà, capisci?». «No. Non so nemmeno che roba sia, un connestabile». Pierre diede un altro morso alla sua mela. «Il capo dell’esercito del re, in pratica. Di solito era un ruolo che ricopriva qualche duca. Invece... du Guesclin. Vorrei che mio padre esagerasse, quando dice che combattere con lui è stato un grande onore, ma purtroppo ha ragione. Ha servito nella sua compagnia durante gli scontri in Guienna, insieme a Charles d’Albret, che ora è il connestabile. Voglio andare da lui e usare il nome di papà per farmi dare un posto nella cavalleria». «Ah. Ma, come dire, non rischi di finire a fare la guerra?». Pierre rise così tanto che quasi si strozzò con la mela. Quando alla fine si riprese, disse: «Sarebbe un po’ il punto della questione, Patrick. Tu come vuoi morire, di noia dietro un altare o con la spada in mano?». «Voglio morire così sbronzo da non rendermi conto della differenza» sorrisi io. Pierre rise ancora, ma poi tornò serio. «Non ho molte altre scelte, sai. Qualcosa devo fare della mia vita». «Qualcosa dobbiamo farci tutti» ammisi. Anche se io avevo già deciso anni prima che cosa fare della mia. Il poliziotto, il detective. Perché ora mi trovavo a fare lo scout in un fottuto bosco, poi? «Dovresti arruolarti anche tu» aggiunse Pierre. «Per dirla tutta, combatti meglio di me. Vero, con la spada non sei bravissimo, ma con tutto il resto te la cavi e sai fare a pugni. È una cosa plebea, ma utile». «Si chiama Muay thai, o thai boxe» specificai. Pierre diede una scrollata di spalle. «Comunque sia». «Mio padre non ha combattuto con nessun condottiero. Mio padre ha fatto lo sbirro tutta la vita». «Sì, me l’hai detto. Doveva essere un padre molto migliore del mio, qualsiasi cosa sia uno sbirro». Presi la mia borraccia speciale, quella piena di vino. Mi serviva un goccetto, a quel punto. «Da come lo dipingi tu, mi sa che non ci vuole molto, a essere meglio del tuo vecchio». Pierre mi rivolse uno dei suoi sorrisi storti. «Già. Ma puoi farmi da scudiero». «Non ti faccio da scudiero, stronzetto». Lui ridacchiò. «Allora vedremo di fabbricarti delle credenziali. Che ne dici? Sarebbe molto meglio arruolarsi insieme a una faccia conosciuta». Era una proposta generosa. Pierre era generoso, per inciso. Una delle persone più generose che avessi mai conosciuto. Forse era perché fin da piccolo l’avevano fatto sentire di troppo, non lo so. Si affezionava facilmente alle persone. «Non lo so, sai. Non mi piace un granché, la guerra». Bevve un sorso dalla mia borraccia. «Va be’. Pensaci su. Si può sapere come ti sei procurato questa? A me l’oste ha detto che la giara era finita». Gli rivolsi un sorriso sottile. «Mentre tu gli scopavi la figlia io gli ho scopato la cantina». Pierre rise di gusto. «L’hai sgraffignato?». «Se non avesse provato a rifilarci una balla non sarei stato costretto a servirmi da solo». Pierre rise ancora. «Sei il migliore, bello mio. Il migliore in assoluto». +++ Arrivammo nei pressi di Saint-Pierre-le-Moûtier quando era quasi sera. L’aria era fredda e umida, dato che eravamo in autunno, per di più in un bosco. Eravamo al trotto, perché in quella bellissima epoca tutti i paesi erano racchiusi da mura e al calar del sole chiudevano le porte. Ne io né Pierre ci tenevamo molto a dormire all’addiaccio. Vedevamo già il paese, in fondo alla valle, quando un cavallo ci tagliò la strada al galoppo. Quella povera bestia aveva sella e finimenti, ma sanguinava da un fianco e aveva la bava alla bocca. Non era per nulla un buon segno. Io e Pierre ci scambiammo un’occhiata. Il sentiero su cui stavamo cavalcando era un tratturo fangoso, segnato da troppe orme perché quelle ci aiutassero a farci un’idea della situazione. «Fermiamoci un attimo» proposi io, a bassa voce. «Andiamo a controllare a piedi». La cosa più probabile era che un gruppo di routier stesse derubando chiunque passasse sul sentiero, poco prima di Saint-Pierre-le-Moûtier. Come ho già detto, le pattuglie di ex-mercenari erano un problema, dato che si erano trasformati quasi tutti in briganti. Quando i loro committenti smettevano di pagargli il soldo, per prima cosa saccheggiavano e derubavano i villaggi per i quali avevano combattuto fino al giorno prima, poi si disperdevano e diventavano malviventi puri e semplici. Io e Pierre legammo i cavalli a un albero e abbandonammo il sentiero. A Saint-Pierre-le-Moûtier dovevano mancare sei o sette chilometri. A tratti si vedevano i suoi tetti, in lontananza, oltre il bosco. Trovammo quasi subito la pista da cui era venuto il cavallo ferito. Poco dopo trovammo anche il corpo di un tizio massacrato a colpi di spada, forse il padrone del cavallo. Non era un bello spettacolo. A giudicare dai vestiti, doveva essere un gentiluomo o un mercante. A giudicare dal fatto che gli mancavano gli stivali, chiunque l’avesse ucciso l’aveva fatto per derubarlo. Io e Pierre seguimmo ancora la pista tra gli alberi. Più avanti si sentiva il rumore dell’acqua, come se ci fosse un ruscello o un torrente. Poco dopo trovammo un altro corpo, questa volta un ragazzetto sui quindici anni, in abiti piuttosto dimessi. Sentii un conato di vomito risalirmi lo stomaco. Che razza di schifosi potevano aver ammazzato un bambino? Il ragazzino aveva un braccio quasi mozzato e una ferita orrenda in faccia. Quantomeno doveva essere morto subito. Io e Pierre ci guardammo di nuovo. Lui mi fece un segno con la testa come a dire: “filiamocela”. Io gli feci un segno con la mano come a dire: “aspetta un secondo”. Non mi piaceva l’idea di proseguire a cavallo e incontrare gli stessi signori che avevano massacrato quei due. Proseguimmo per un’altra cinquantina di metri. Tra gli alberi si vedeva un mulino dalla ruota rotta, probabilmente abbandonato da un po’ di anni. Trovare edifici lasciati a marcire, da quelle parti, non era difficile, perché durante la Grande Peste la popolazione era stata decimata e doveva ancora tornare ai livelli precedenti. Fuori dal mulino abbandonato c’erano sette cavalli e per un attimo pensai che fosse una buona notizia. Forse i routier si erano riparati là dentro per la notte e noi saremmo riusciti a passare senza problemi. Subito dopo, però, sentii le loro voci. Non erano voci di persone che stanno preparando la cena. Sembravano più... incitazioni. Non capivo. Malgrado non capissi, mi si rizzarono tutti i peli del corpo, come se il mio inconscio si fosse già fatto un’idea fin troppo precisa. «Merda» disse Pierre. Lo guardai. Era bianco in faccia. Lo vidi tirare fuori la spada. Dall’interno del mulino venivano risate, grugniti, incitazioni scurrili... gemiti di dolore. Voci femminili. Ci arrivai. La porta era aperta, così non ebbi nemmeno bisogno di sfondarla. A sguainare la spada non ci pensai neanche. Tirai fuori la pistola e sparai.
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