3.

3181 Words
3. Gli animali uccisi risultarono quattro. Uno in realtà l’avevo preso a una spalla e lo aspettava una lunga agonia, ma Pierre lo sgozzò prima che potessi suggerirgli di lasciarlo morire dissanguato. Lo stanzone spoglio che costituiva l’ambiente principale del mulino era pieno dell’odore della cordite, cosa di cui fui intimamente grato. Almeno copriva gli altri odori che aleggiavano di sicuro nell’aria: il sudore delle bestie che avevamo ucciso, il sangue delle due ragazze e dell’uomo legato in un angolo e sbuzzato. Eravamo arrivati troppo tardi. Misi via la pistola. Le orecchie mi tintinnavano per il rumore degli spari. «Che cazzo è stato?» gridò Pierre. Era pallido, sudato, nel panico. «Come cazzo hai fatto?». «Ti ho spiegato come funziona una pistola» gli risposi, tranquillo. O meglio: ero tranquillo all’esterno. Sono un poliziotto, sono addestrato a non perdere la testa. Dentro di me... be’, non c’è bisogno che vi racconti tutto. Non era la prima volta che arrivavo troppo tardi, ma non è mai bello. Presi uno dei cadaveri per la collottola e lo buttai più in là senza tante cerimonie. La ragazza che era sotto di lui aveva la faccia bagnata di lacrime e continuava a singhiozzare con le mani sulle orecchie. Aveva il vestito tirato sopra la vita ed era senza scarpe e biancheria intima. Guardando meglio, le lunghe mutande erano appallottolate sul pavimento di terra battuta, le scarpe erano una decina di metri più in là. La stanza aveva solo due finestrelle, ma sfortunatamente la luce bastava a farsi un’idea di quello che le avevano fatto. L’escremento in forma umana che aveva sopra doveva essere stato il secondo turno. Due ragazze, quattro sacchi di letame: la matematica è semplice e potete arrivarci da soli. Mi accucciai accanto a quella poveretta. «Ehi» le dissi. «Ehi... è finita». Le tirai giù la gonna del vestito, ma non mi sembrava il caso di toccarla senza avere il suo permesso. Solo che, ripensandoci, lì non sarebbe arrivata nessuna ambulanza con a bordo un team apposito. Non c’erano infermiere, psicologhe e personale specializzato nell’intervento in caso di violenza. C’ero solo io e mi veniva da vomitare. Mi voltai verso Pierre. Lui non si era nemmeno accucciato. Guardava l’altra ragazza come se non sapesse che pesci prendere. Lei era praticamente nuda, rannicchiata in un angolo, e cercava di proteggersi con le mani. Non avevo mai visto niente di più straziante in vita mia. «C-che cosa facciamo?» chiese Pierre. «Dobbiamo portarle fuori di qui» dissi io. Dovevamo farle allontanare da quel posto schifoso. Un posto pieno di cadaveri, il luogo della violenza. «Come faccio a portarla fuori? Guardala!» strillò Pierre. Capivo come si sentiva, ma il suo atteggiamento non aiutava. «Respira. Mantieni la calma» gli ordinai. La ragazza vicino alla quale ero accucciato io sembrava più “facile”. Che razza di termine, eh? Diciamo che sembrava meno traumatizzata, meno in posizione difensiva. «Senti... senti? Mi chiamo Patrick. Dobbiamo uscire di qua. Ora ti do una mano ad alzarti, sei pronta?». Lei mi guardò. Era spaventata, è ovvio, ma stava ricominciando a ragionare. Annuì. La presi per un braccio e la tirai su. Non riusciva a stare in piedi, così la sorressi per la vita. Il velo le si era staccato quasi completamente dalla testa e ora penzolava giù da uno chignon tutto sfatto. «Piano. Andiamo fuori. Andiamo verso il torrente, okay?». «C-che cosa?». Giusto. Solo a Pierre ormai i miei “okay” sembravano normali. «Andiamo verso il torrente. Ce la fai a camminare?». Lei annuì, anche se non era proprio vero. Mi resi conto che giù per una caviglia le colava un rivolo di sangue. «Bisogna che ti prenda in braccio. Dobbiamo lavare e curare le tue ferite. Non avere paura». Mi guardò. Occhi grandi come fari. Tagliai la testa al toro e la presi in braccio. Era leggera, fragile. Il mio cane pesava più di lei. Ovviamente il mio cane era a Montreal nel 2018 e chissà come se la passava. Come fanno a venirti idee simili, in questo momento? La portai fuori. Il sole non era ancora calato. Feci il giro attorno al mulino in disuso e la adagiai sull’erba vicino al torrente che scrosciava oltre la vecchia ruota rotta. «Ti lascio qua solo due minuti» le dissi. «R-Rachelle. Mia sorella» rispose lei, incoerentemente. «La vado ad aiutare». Tornai verso lo stanzone. Pierre non si era ancora sbloccato. «Senti, fai una cosa: vai a prendere i nostri cavalli e portali qua». «V-va bene, ma che cosa pensi di...» «Dobbiamo provare a medicarle. Poi vedremo». Lui sospirò. «Va bene». Indicò la ragazza nell’angolo con un cenno del capo. «Questa qua sembra uscita di zucca». La delicatezza medievale. «Non è “uscita di zucca”. Semplicemente, non vuole guardare il tuo brutto muso. Dai, vai». Mi accucciai accanto alla ragazza. Sembrava giusto un pelo più vecchia della sorella, anche se entrambe erano giovanissime, attorno ai vent’anni. «Rachelle? Ti chiami così? Io sono Patrick. Ho accompagnato tua sorella qua fuori, al torrente. Avete entrambe bisogno di cure». Rachelle abbassò un pochino le braccia. Mi lanciò uno sguardo duro. «Chi siete voi? Che cosa volete?». «Patrick Dubois» le risposi con calma. «Io e il mio amico stavamo andando a Saint-Pierre-le-Moûtier. La nostra meta finale è Parigi. Mmm... dobbiamo parlare con il connestabile, Charles Qualcosa. Pierre vuole diventare un soldato, io non sono sicuro. Ora potete seguirmi fuori?». «Che cosa è stato quel rumore?». Insomma, Rachelle, lì, non era per niente “fuori di zucca”. «Esplosioni. Proiettili. Ve lo posso spiegare in un altro momento? Non mi va di lasciare vostra sorella da sola. Sta sanguinando». Rachelle si decise ad alzarsi. Provò a coprirsi con i brandelli del vestito. «Datemi il vostro mantello». Glielo diedi. Poi le diedi anche la mano, in modo che non cadesse. Rispetto a sua sorella sembrava più pesta, più abrasa. Doveva essersi difesa con più energia. La accompagnai fuori, dove avevo lasciato la minore. Non si era mossa. «Marianne» disse Rachelle. La aiutai a sedersi accanto a lei. Non sapevo che cosa fare e mi sentivo di troppo. Marianne le buttò le braccia al collo e ricominciò a piangere. Rachelle la tenne stretta, ma non si lasciò andare. Il suo sguardo era vigile e asciutto. A un certo punto mi fissò, guardandomi da sopra la spalla della sorella. «Che cosa sono stati quei rumori?» chiese, di nuovo. Tirai fuori la pistola e mi accucciai lì vicino. Gliela feci vedere. Che in quel momento dovesse preoccuparsi degli spari era senza senso, ma pensai che ognuno aveva il diritto dir reagire come voleva, in circostanze come quella. «È una pistola, vedete? Ha dentro dei piccoli proiettili di piombo che schizzano fuori dalla punta così velocemente da risultare letali. Il rumore è dato dall’esplosione di una piccola quantità di polvere da sparo. È l’esplosione a dare la velocità». I suoi occhi si socchiusero, sospettosi. «Non ho mai visto nulla del genere. Non l’ho mai sentito nominare». Sospirai. «Non sono state ancora inventate. Le prime, rudimentali, versioni vedranno la luce tra un secolo circa. Questa è una Glock .22 del 2014». Mi guardò in silenzio. «Vi sembra il momento di prendermi in giro?». «Non lo sto facendo». Estrassi il caricatore dalla pistola e glielo mostrai. «Vedete? Dentro ci sono ancora due pallottole, quelle piccole cosine di metallo. Una volta che le avrò usate l’intero apparecchio diventerà un inutile pezzo di ferro, perché non ho modo di fabbricarmi altre munizioni. Toccate il calcio: le guancette sono di plastica, un materiale che non è stato ancora inventato». Rachelle allungò una mano, senza lasciare sua sorella. Aveva tutte le unghie spezzate e sporche di sangue. Sfiorò il calcio della Glock. «Sembra legno. Legno nero e molto duro». «Non è legno». Tornò a guardarmi. «Che cosa vuol dire?». «Vuol dire che il trenta maggio di quest’anno all’improvviso sono finito qua. Un attimo prima ero nell’anno 2018, in una città lontanissima dalla Francia. C’è stata una luce bianca molto forte e mi sono trovato a mollo in un fiume. Altro non so dirvi». «Patrick!». Mi voltai. Pierre stava arrivando con i nostri cavalli. Sembrava ancora tutto scosso. «Patrick, davvero era il caso di dirglielo?». Mi strinsi nelle spalle. «Era già abbastanza spaventata. Voleva sapere che cos’era stato il fracasso degli spari». Pierre fece una smorfia. «Confesso che non ti avevo creduto del tutto. Ora quanti... mmm... pillottoli? Ti restano?». Risi sottovoce. «Proiettili. Me ne restano due». «Mh». «Ma sono soddisfatto dell’uso che ho fatto degli altri quattro». Tornai a guardare la ragazza. «Bisogna che vi occupiate di vostra sorella e di voi stessa. Ripulitevi, lavatevi nel torrente. Cercherò nei vostri bagagli per trovarvi dei vestiti decenti. Vorrei poter fare di più». Lei socchiuse gli occhi. Sua sorella aveva smesso di singhiozzare e le aveva posato la testa su una spalla come se volesse dormire. «Perché?». «Perché che cosa?» feci io. «Perché vorreste poter fare di più? Non vi conosciamo». Mi strinsi nelle spalle a mi rialzai. «Nella mia vita precedente punivo i cattivi e aiutavo le persone in difficoltà. A quanto pare è un vizio difficile da perdere». +++ C’erano i quattro cavalli dei routier e i tre del gruppo delle ragazze. Anche contando il cavallo fuggito, i conti non tornavano. Una delle bestie degli aggrediti, per di più, non sembrava nemmeno un cavallo. «E questo?» chiesi a Pierre. «Un mulo. Per i bagagli. Mi spieghi che intenzioni hai, con quelle due?». Aprii una delle bisacce sul mulo. Conteneva provviste o forse regali sotto forma di caciotte e miele. «Non lo so. Accompagnarle a casa, probabilmente». «Non sono proprio fatti nostri, però. Noi stiamo andando a Parigi». Aprii un’altra bisaccia. Vestiti. La tirai giù dalla groppa del mulo. «Okay, che altre soluzioni vedi? Vuoi lasciarle viaggiare da sole? Così, prima di arrivare a casa, possono essere stuprate altre cinque o sei volte?». Pierre non sembrava poi così sconvolto all’idea. Dovete capirlo, era un medioevale. Non avevo mai compreso davvero il significato del termine “maschilismo” finché non ero finito in quell’epoca. Nei sei mesi precedenti avevo visto venire accolti come dati di fatto cose che avrebbero fatto impallidire il più bieco misogino della mia epoca. «Per me non è accettabile» chiarii. «Se tu vuoi continuare per Parigi e mollarle qua puoi anche continuare da solo». Quello lo colpì. «Santi apostoli, ma sei serio? Ora, non dico che non siano carine – lo sono, specie la minore – ma prendersi così a cuore la loro virtù è uno spreco di tempo. Tanto ormai è andata». Lo avrei preso a calci. «Ti è mai sembrato che me ne fregasse qualcosa della virtù delle donne? In questo caso la virtù non c’entra nulla, capra medioevale. Quelle due sono state aggredite, non è stato un festino finito male. Oh, ma vaffanculo». Lo mollai lì a chiedersi che cosa avesse detto di male e andai a portare la bisaccia con i vestiti a quelle due. Diedi qualche colpo di tosse prima di avvicinarmi, in modo che potessero coprirsi se erano nude. «Date qua» disse Rachelle, venendomi incontro. La copriva solo il mio mantello e purtroppo vidi tutto. Le ecchimosi, i tagli, i graffi, le abrasioni. «Mi dispiace davvero molto per quello che vi è successo. Vostra sorella come sta?». «Non sanguina più». Le consegnai la bisaccia. «Quando siete pronte vi aspettiamo davanti al mulino». Rachelle annuì. Mentre tornavo verso i cavalli il senso di disgusto era così forte che mi sarei messo a vomitare. Quel posto fottuto. Quell’epoca merdosa. Come se tutto dipendesse dal luogo e dal tempo in cui ero. Ma in quel momento ero così arrabbiato, così furioso e nauseato, che dentro di me giurai di unirmi alle Femen, se mai fossi riuscito a tornare nel mio tempo. Pierre mi venne incontro con un’espressione spiritata. «È stato il Signore a farci decidere di venire a controllare» mi disse. «Vieni a vedere che cosa si portavano dietro quei figli di puttana!». Sembrava euforico. Lo seguii fino a uno dei cavalli dei routier. Pierre continuava a cianciare di divina provvidenza, santi e miracoli. Come minimo mi aspettavo che avesse trovato una confezione da dieci di Twix. Non erano Twix. Pierre aprì una delle borse legate alla sella. Si sentì un forte tintinnio metallico. Poi vidi i riflessi di una quantità di monete francamente... elevata, diciamo. Okay, dentro quella borsa c’erano un fottio di soldi. Le grosse monete d’oro, argento e leghe varie di quell’epoca, ma anche oggetti preziosi: gioielli, rosari, arredi sacri. «Cristo». Pierre sogghignò. «Dovevano essere in attività da un bel po’. Penso che ora questo tesoro sia tuo, a meno che non voglia cederne un po’ al tuo carissimo amico qui presente». «Eh? Perché dovrebbe essere mio? Dovremmo darlo alle ragazze». Pierre sembrò davvero ferito dalle mie parole. «Perché preferisci quelle due femmine a me, Patrick? Solo perché hanno una fica tra le gambe? Il mondo è pieno di altre femmine. Pensavo che fossimo amici». Sospirai. «Siamo amici. Dico solo che sarebbe più giusto darlo a loro. Visto che sono la parte offesa». «Tu sei scemo. Aspetta». Andò a un altro cavallo e ne staccò un sacchetto di pelle. «Ecco, possiamo ridargli questo. Sono i soldi che i routier hanno fregato al loro paparino. Non sono nemmeno pochi. Ma quelli? Sinceramente, Patrick...» Mi passai una mano tra i capelli, spostandomi un po’ di ciuffi via dagli occhi. «Non so nemmeno quanti sono» ammisi. «Be’, quelli nella bisaccia ti bastano a comprarti un posto da capitano tra i cavalieri di Charles d’Albret, poco ma sicuro. E ne avanzano anche». «Scusa, di quando in qua uno si deve comprare un posto di lavoro?». «Da quando quel posto di lavoro ti dà diritto a una quota di bottino di guerra, Patrick. Stiamo parlando di terre, castelli, diritti di tassazione...» «Ah». «Un posto del genere mi farebbe comodo, non nascondiamocelo, ma se mi prendi come tuo secondo mi andrà bene lo stesso. In fondo non si può negare che quei quattro stronzi li hai ammazzati tu». «Che cosa c’entra, eravamo insieme». «Il Signore mi ha sempre preservato dall’onta di essere un uomo onesto, ma non potrei mai togliere a un amico quello che gli spetta. Certo, se quell’idiota non lo vuole regalare a due sciacquette di passaggio!». Spostai lo sguardo alle sue spalle, ma non feci in tempo a mitigare le sue parole. «Le sciacquette sono qua» disse Rachelle, in tono gelido. Lei e sua sorella si erano rivestite, con tanto di velo ricamato a coprire i capelli. Marianne mi restituì il mantello con un sorriso timido e tenendo gli occhi a terra. Pierre sbuffò. «Era un modo di dire. E ormai avranno visto il denaro, quindi siamo fregati». Rachelle inarcò un sopracciglio nero e fine. «Non solo. Abbiamo anche ascoltato la vostra conversazione. Il cavaliere alto intendeva consegnare a noi il frutto dei crimini dei nostri aguzzini». Pierre alzò gli occhi al cielo. «Patrick è di un’altra epoca. Non capisce le cose. È evidente che dovremmo spartirci la grana dei vostri aguzzini in modo proporzionale alla fatica che abbiamo fatto per guadagnarcela». Chiusi gli occhi. Volevo scomparire. «Pierre intende dire...» «Ma certo. Che io e mia sorella abbiamo fatto ben poco per guadagnarci la nostra fetta di torta. Come se impossessarci dei soldi di quegli schifosi fosse il nostro piano fin dall’inizio!». «No, non credo che fosse il vostro piano, ma che non avete fatto un granché è vero: giusto tenere aperte le cosce per qualche minuto. Patrick, invece...» «Pierre. Fai un favore a tutti. Stai zitto. La tua insensibilità offende le orecchie». Rachelle fulminò entrambi con un’occhiata. «Sensibilità o meno, rivogliamo solo i nostri averi. Non ci interessano i soldi frutto delle ruberie e delle uccisioni di quegli individui. Vorrei parlarvi del nostro prossimo futuro, cavaliere». «Non sono un cavaliere» precisai. Mi ignorò. «Qualcuno dovrà andare a chiamare i soldati di Saint-Pierre. Non possiamo lasciarci semplicemente alle spalle... quanti cadaveri?». «Sette» dissi io. Pierre fece un’espressione che diceva che, per quanto lo riguardava, potevamo benissimo. «I vostri compagni di viaggio...» iniziai io. «Mio marito e i suoi due servitori» chiarì Rachelle. Si fece uno sbrigativo segno della croce. «Mi dispiace». Anche se in realtà lei non sembrava molto dispiaciuta. «Bisognerà che abbiano un funerale». «Quindi altro tempo perso» intervenne di nuovo Pierre. Sospirai. «Se davvero non vuoi perdere altro tempo, faresti bene ad andare a Saint-Pierre-le-Moûtier a chiamare qualcuno». «Perché io?». «Perché sei l’autoctono». «Aspettate» ci interruppe Rachelle. La guardai. Per una volta non sembrava sicura di sé, anzi, sembrava sulle spine. «Mi chiedevo se potremmo modificare leggermente i fatti». +++ Pierre andò ad avvisare le autorità a Saint-Pierre-le-Moûtier, io lasciai le due sorelle sedute su un sasso accanto ai cavalli. Era ormai sera inoltrata, quindi avevo dovuto anche accendere un fuoco, cosa che mi aveva fatto perdere altro tempo. Poi, a lume di candela, ero andato a svolgere il mio compito da necroforo. Coltello alla mano, avevo estratto le pallottole dai corpi dei quattro stupratori, che secondo la versione ufficiale erano morti accoltellati. Poi li avevo trascinati fuori dal mulino e avevo pure riallacciato le braghe ai due colti sul fatto. Subito dopo avevo portato fuori anche il cadavere del servitore di mezza età e avevo tagliato i legacci che gli stringevano mani e piedi per ricomporlo in modo più decente. Il corpo successivo era stato quello che marito di Rachelle, un uomo florido e non giovanissimo, purtroppo pesante come un sacco di pietre. Per ultimo mi ero occupato del corpo del ragazzino. Era stato colpito al volto da un fendente e un’altra spadata gli aveva quasi mozzato un braccio. Era minuto, ossuto, sporco, i suoi abiti erano troppo leggeri. Provai una pena indicibile per quel bambino che sembrava essere stato maltrattato dalla vita quanto dalla morte. Lo posai delicatamente accanto al corpo del servitore più anziano. Per questo i conti dei cavalli non tornavano: loro due andavano a piedi. Provai a chiudergli gli occhi, ma il rigor lo rendeva già impossibile. Qualche mosca iniziava a ronzare attorno alla sua testa. Gli coprii la faccia con un fazzoletto, perché non sopportavo più di vedere il suo sguardo stupito. Tornai ai cavalli. Rachelle e Marianne erano sedute vicine, strette tra loro. Il fuoco disegnava ombre arancioni sui loro vestiti. Presi la bisaccia con le monete. «Siete sicure?» chiesi. Rachelle annuì. «Se anche li prendessimo, nostro padre ce li toglierebbe subito». Ancora una volta, mi ripromisi di iscrivermi a qualche gruppo femminista radicale, se fossi riuscito a tornare a casa. Seppellii la bisaccia sotto un tronco facilmente riconoscibile, tenendo solo poche monete. Per essere del tutto sicuro di ritrovare il posto, feci tre segni sul tronco con il coltello, come se avessi usato la corteccia per testare la lama. Quando tornai indietro era ormai buio fitto. Scoprii che le due sorelle avevano messo sul fuoco una zuppa di piselli freschi, che doveva essere uscita da qualche sacca del loro bagaglio. Me ne offrirono una ciotola. «Credo che ormai dal paese stiano per arrivare» dissi, tanto per fare conversazione. Non sapevo assolutamente come comportarmi, anche perché entrambe sembravano piuttosto tranquille. Supponevo che fossero intontite, traumatizzate e stanche. Non sapevo davvero come comportarmi con loro per rendere le cose più facili. «Lo spero. Spero che il vostro amico non se ne sia andato e basta» disse Rachelle. Scossi la testa. «Pierre può essere piuttosto stupido, ma non è cattivo. Non lo farebbe». «Più che altro non credo che mollerebbe qua tutti quei soldi». «Anche» ammisi, con un mezzo sorriso. Ma Rachelle non era del tutto giusta con Pierre. In fondo la sua prima proposta era stata che prendessi tutto io, non lui. «Spero che possano fare i funerali già domattina, in modo da poter partire dopodomani» aggiunse Rachelle. «Capisco che abbiate fretta di tornare a casa». Lei e Marianne si scambiarono uno sguardo. «Non siamo così ansiose, ma sempre meglio di finire con la famiglia di mio marito». Non sapevo proprio che cosa rispondere, quindi mi limitai a un generico “ah... uhm...” Rachelle rise. «Vedete, Raphael era un mercante. Io e Marianne siamo Chauvigny... in pratica è stato uno di quei matrimoni». Feci di sicuro una faccia stupida. «Quali matrimoni?». Marianne ridacchiò. «Quelli dove la sposa è nobile e spiantata, cavaliere!». Era la prima volta che parlava, da quando l’avevo tirata fuori da quella stanza. Le rivolsi un sorriso gentile. «Non sono un cavaliere, ve l’ho già detto». «Per me lo siete. Ci avete salvato la vita». «Ah... uhm...» «E poi non ci ricordiamo il vostro nome completo». Sorrisi. «Dubois. Patrick Dubois». «Un giorno spero di sposare un cavaliere bello e valoroso come voi, signor Dubois». Marianne l’aveva detto con tutto il candore possibile, ma sia io che Rachelle restammo come paralizzati dall’imbarazzo. «Uhm, grazie» borbottai io. «In realtà spero che troverete qualcosa di meglio». Rachelle sospirò, ma non disse nulla. Avevo l’impressione di non capire un problema, che mi sfuggisse qualcosa, e credo che sfuggisse anche a Marianne. Se ci fosse stato Pierre avrebbe detto qualcosa di indelicato, ma almeno avrebbe capito il punto della questione. «Di meglio è impossibile!». Per fortuna a quel punto sentii il rumore di cavalli in avvicinamento.
Free reading for new users
Scan code to download app
Facebookexpand_more
  • author-avatar
    Writer
  • chap_listContents
  • likeADD