1.
30 maggio 2018, Montreal, Canada
Fu mentre mi sparavano addosso che per la prima volta iniziai a sospettare che non sarei mai riuscito a farmela, Audrey. Che sarei schiattato prima con una pallottola in corpo o che sarebbe schiattata lei. Tra i due il corpo migliore era il suo, ma al mio forse ci tenevo di più.
Cameron Anderson, se poi era quello il suo nome, ci scaricava contro un caricatore dopo l’altro. Noi lo inseguivamo e sparavamo a nostra volta.
A un certo punto riuscii a beccarlo a un fianco e lui provò ad aprire la porta di un container, forse per barricarsi dentro. Per me era okay. Se voleva fare la fine del topo chi ero io per impedirglielo?
Ma avevo ancora tre colpi. Potendo scegliere, preferivo ammazzarlo e basta. Ormai quella sparatoria mi aveva rotto abbondantemente le palle.
Alzai la pistola e...
Boh, non so bene che cosa successe. Vidi una luce bianca così forte, ma così forte, che mi abbagliò del tutto. Da dove veniva quella luce? Da dentro il container che Anderson era, alla fine, riuscito ad aprire? Non lo so.
So solo che un attimo più tardi ero in acqua, sott’acqua, e che stringevo forte il calcio della pistola per non mollarlo.
Bevvi pure e l’acqua mi entrò nel naso. Mossi disperatamente i piedi e le mani, cercando di non andare a fondo. Riuscii a rimettere la pistola nella fondina, in compenso persi una scarpa.
Alla fine spuntai in superficie. I polmoni mi facevano male, ma almeno ero vivo.
Anche se solo Dio sapeva dove cavolo ero finito. O come.
O perché, Cristo santo.
Avevo i capelli negli occhi, ero appesantito dai vestiti e la corrente mi stava trascinando via. Cioè, esatto, ero in un fiume. Come fossi finito in un fiume dal porto di Montreal era una domanda che sul momento non mi posi.
Nuotai. Nuotai verso riva con tutte le mie forze, rabbrividendo nell’acqua non proprio caldissima, devo dire.
Riuscii ad attaccarmi a una pietra, ma persi la presa. Poi acchiappai un ramo basso, che quasi sfiorava l’acqua.
Questa volta riuscii a tenermi.
Per un po’ restai lì, a mollo, riprendendo fiato.
Tutto attorno a me un paesaggio inspiegabile: campagna, alberi, nessun segno di civiltà.
Ma a un certo punto un segno di civiltà saltò fuori. Un tizio sulla ventina uscì dalle frasche e mi lanciò un’occhiata stupita.
Lui a me, capito? Anche se io ero solo a mollo in un fiume, lui era vestito come un maledetto cosplayer del Signore degli Anelli. O forse era uno di quelli che fanno gioco di ruolo dal vivo. Insomma, era vestito come se avesse urgente bisogno di un ricovero in psichiatria.
«Ehi, amico... mi daresti mica una mano a uscire?» chiesi, in ogni caso.
«La vostra favella è oltremodo bizzarra, messere, ma state fermo e vi toglierò senz’indugio dal periglio».