1. Kael Arina non abitava mai molto a lungo da qualche parte. Si impadroniva della casa dell’amante di turno oppure, se il posto in cui stava era suo, non pagava l’affitto e si faceva buttare fuori. In decine di armadi diversi, forse centinaia, giaceva abbandonato qualche suo vecchio abito. Nel mio testamento c’era scritto che lasciavo a lei la mia casa, ma sapevo benissimo che se fosse successo davvero in un paio d’anni l’avrebbe ridotta uno schifo o l’avrebbe persa in qualche modo. Comunque. In quel periodo stava in una villetta sovvenzionata da Suarez. Che fosse sovvenzionata da lui lo supponevo, perché non sembrava il classico posto che si può affittare a settimana. La facciata era rosa chiaro. Suonai il campanello e Arina aprì quasi subito. Si guardò a destra e a sinistra. «S