LETTERA DEDICATORIA al Rev. Dott. Dryasdust, F.A.S. Residente nel Castle-Gate di York
Molto stimato e caro signore,
non è quasi necessario ricordare le varie e concomitanti ragioni che mi inducono a menzionare il vostro nome all’inizio di quest’opera. Nonostante ciò, la più importante può essere confutata dalle imperfezioni del mio lavoro. Se avessi potuto sperare di renderlo degno del vostro patrocinio, i lettori avrebbero compreso subito la necessità di dedicare un’opera destinata a descrivere il passato dell'Inghilterra e in particolare dei nostri antenati sassoni, al dotto autore dei Saggi sul corno del re Ulphus e sui territori da lei concessi al patrimonio di San Pietro .
Sono consapevole, invece, che il modo incompleto, insoddisfacente e banale in cui i risultati delle mie ricerche storiche sono stati esposti nelle pagine che seguono, esclude quest’opera dalla categoria di quelle che si possono fregiare dell’orgoglioso motto Detur digniori [7] . Al contrario, temo di essere accusato di presunzione per aver messo l’autorevole nome del dottor Jonas Dryasdust come dedica di una pubblicazione che gli storici più severi giudicheranno come uno dei romanzi e dei racconti frivoli del nostro tempo. Vorrei discolparmi da questa accusa perché, sebbene possa contare sulla vostra amicizia al pari di una giustificazione, non vorrei essere condannato dai lettori per un così grave crimine, così come le mie paure mi portano a temere.
Desidero comunque ricordarle che, quando parlammo per la prima volta di questo tipo di produzioni, in una delle quali vennero ingiustificatamente esposte al pubblico la vita privata e le questioni familiari del vostro dotto amico del nord, il sig. Oldbuck di Monkbarns, nacque tra di noi una discussione riguardante la ragione della popolarità che questi lavori hanno ottenuto nella nostra epoca e che bisogna dire essere scritte in modo affrettato e violando le regole del genere epico. Allora sembrò essere vostra opinione che la capacità attrattiva risiedesse nell’arte dello sconosciuto autore di utilizzare, al pari di MacPherson [8] , dell’antico materiale a sua disposizione, compensando la propria indolenza o povertà d’inventiva con episodi accaduti nel suo paese e introducendo personaggi reali senza badare quasi a nasconderne il nome. Osservaste, allora, che erano trascorsi sessanta o settant’anni da quando l’intero nord della Scozia era governato con metodi semplici e patriarcali quasi quanto i nostri buoni alleati mohicani e irochesi. Ammettendo che l’autore non possa essere stato lui stesso testimone di quei tempi, voi osservaste, che deve aver vissuto tra persone che vi hanno agito e sofferto. Inoltre, in questi trent’anni sono avvenuti così tanti mutamenti nei costumi della Scozia che si guarda ai modi dei nostri più vicini avi come se fossero quelli del regno della regina Anna o addirittura quelli della Rivoluzione. Avendo perciò ogni genere di materiale attorno a sé, osservaste che l’autore non aveva che l’imbarazzo della scelta. Non stupisce quindi, avendo cominciato a lavorare in una miniera così ricca, che egli abbia ricavato con le sue opere più profitto di quanto meritassero le sue fatiche.
Ammettendo (non potendola negare) la verità di tali conclusioni, non posso che pensare quanto sia strano che nessun tentativo sia stato fatto per suscitare un interesse per le tradizioni e i costumi della vecchia Inghilterra, almeno pari a quello che hanno ottenuto paesi vicini più poveri e meno famosi. Il panno verde di Kendal, anche se di data più antica, dovrebbe essere caro ai nostri sentimenti quanto i variegati tessuti scozzesi tartan . Il nome di Robin Hood, se debitamente usato, dovrebbe rievocare sentimenti come quelli per Rob Roy [9] e i patrioti d’Inghilterra meritano la stessa fama, nei nostri moderni circoli, dei Bruce e dei Wallace di Caledonia. Se i paesaggi del sud sono meno romantici e maestosi di quelli delle montagne del nord, bisogna ammettere che possiedono nella stessa proporzione una grande e delicata bellezza. Nel complesso ci sentiamo autorizzati a dire, insieme al patriota siriano: «Non sono Farfar e Abana, i fiumi di Damasco, migliori di tutti i fiumi di Israele?»
Le vostre obiezioni a questi argomenti, mio caro Dottore, potete ricordare quanto fossero di due tipi. Voi insisteste sui vantaggi che hanno gli scozzesi per il fatto che le condizioni sociali in cui sono ambientate le loro scene sono esistite fino a tempi recenti. Molte persone ancora viventi, avevate notato, ricordavano bene altre persone che non soltanto avevano visto il celebre Rob Roy, ma persino banchettato e combattuto con lui. Tutte quelle circostanze di vita privata e familiare, tutto ciò che conferisce verosimiglianza al racconto e individualità ai personaggi, è ancora oggi conosciuto e ricordato in Scozia. Mentre in Inghilterra la civilizzazione è così tanto progredita che possiamo avere un’idea dei nostri antenati solo da ammuffite cronache e documenti, gli autori dei quali sembra abbiano cospirato per eliminare dai loro racconti tutti i dettagli più interessanti per dare spazio a raccolte di scritti di eloquenza monastica o a trite riflessioni sulla morale. A vostro parere, sarebbe quanto mai impari e ingiusto mettere a confronto uno scrittore inglese e uno scozzese, nell’impresa di rievocare e far rivivere le tradizioni dei rispettivi paesi. Il mago scozzese, faceste notare, era come la strega di Lucano [10] , libero di passeggiare sui recenti campi di battaglia e di scegliere come soggetti da resuscitare con le sue magie, corpi le cui membra erano state piene di vita fino a poco tempo prima, gole che avevano appena esalato l’ultimo lamento di agonia. Anche la potente Erichtho dovette scegliere un simile soggetto, l’unico che poteva essere rianimato dalla sua magia: «... gelidas leto scrutata medullas, Pulmonis rigidi stantes sine vulnere fibras. Invenit, et vocem defuncto in corpore quaerit» [11] .
Lo scrittore inglese, d’altra parte, senza crederlo un mago meno capace dello stregone del nord, ha la possibilità di scegliere i suoi soggetti, tra la polvere dell’antichità dove non si trovava altro che ossa polverose e a pezzi, come quelle che ricoprivano la valle di Giosafat. Avevate inoltre manifestato il timore che i pregiudizi antipatriottici dei miei connazionali non avrebbero permesso un giudizio equo su un’opera come quella di cui mi sforzavo di dimostrare il possibile successo. E questo, voi diceste, non era del tutto dovuto ai generali pregiudizi in favore di ciò che è straniero, ma dipendeva in parte dalle condizioni particolari in cui si trova il lettore inglese. Se gli descriveste un insieme di usanze selvagge oppure uno stato primitivo della società esistente nelle Highlands scozzesi egli è disposto a credere a ciò che gli viene raccontato. E per buone ragioni. Se appartiene alla categoria dei lettori comuni non avrà mai visitato queste remote regioni, ma se anche le avesse visitate durante una vacanza estiva, mangiando in modo pessimo, dormendo su letti di fortuna, passando da un luogo deserto all’altro, sarà disposto a credere anche alle cose più insolite che gli vengano raccontate di un popolo così primitivo e strano da vivere in un ambiente tanto straordinario. Ma questa stessa persona, dal suo comodo salotto, circondato dalle comodità di un tipico focolare inglese, non è poi così disposta a credere che i propri antenati conducessero una vita tanto diversa dalla sua, che la torre diroccata che ora fa parte del panorama che vede dalla finestra, fosse magari governata da un barone che avrebbe potuto farlo impiccare senza un processo, che i braccianti da cui è coltivata la piccola fattoria qualche secolo fa sarebbero stati suoi servi, che l’autorità di una tirannia feudale si estendesse fino al villaggio vicino, dove ora il magistrato ha più importanza del signorotto del castello.
Pur riconoscendo la validità di tali osservazioni, devo altresì ammettere, che non mi sembrano invalicabili. La scarsità del materiale disponibile rappresenta certamente una difficoltà, ma nessun altro sa meglio del dott. Dryasdust, che agli appassionati di letture storiche gli accenni alla vita privata dei nostri antenati sono sparpagliate nelle pagine dei vari storiografi in misura certamente inferiore ripetto ad altre questioni di cui trattano, ma sono tuttavia sufficienti a metter luce sulla vie privée [12] dei nostri avi. Sono anzi convinto che io stesso con un maggiore impegno nel raccogliere insieme, e maggiore capacità nell’usare i materiali disponibili e illustrati dalle fatiche del dottor Henry, del defunto sig. Strutt e, soprattutto, del sig. Sharon Turner [13] , una mano più abile avrebbe avuto più successo. Contesto quindi in anticipo, ogni critica fondata sul fallimento di questo esperimento.
D’altro canto, come già ho avuto modo di dire, se si volesse dipingere un quadro sulle usanze della vecchia Inghilterra, mi affiderei al buonsenso e alla benevolenza dei miei compatrioti per assicurare un’accoglienza favorevole.
Dopo aver così replicato, al meglio delle mie possibilità, alla prima parte delle vostre obiezioni, o almeno dopo aver mostrato la mia decisione nel voler superare gli ostacoli che la vostra prudenza mi ha posto, farò brevemente accenno a ciò che mi riguarda più in particolare. Sembra che sia vostra opinione che l’opera di uno storico impiegato in severe, così come il popolo pensa, noiose e minuziose ricerche, debba essere considerato incapace di scrivere un’opera di successo come questa. Ma, permettetemi di dire, mio caro dottore, che questa obiezione è più formale che sostanziale. È vero che queste composizioni possono essere inadatte all’ingegno più severo del nostro amico il sig. Oldbuck, tuttavia Horace Walpole scrisse un racconto di spiriti che ha fatto tremare molti animi, e George Ellis [14] riuscì a trasferire un fascino giocoso nel suo Compendio di antichi racconti in versi , e quindi, anche se avessi motivo di rimpiangere la mia audacia, ho per lo meno dei rispettabili precedenti a mio favore.
Nonostante ciò, i più severi studiosi di cose antiche potrebbero affermare che unendo finzione a realtà, io abbia inquinato il pozzo della Storia con invenzioni moderne e abbia instillato nelle nuove generazioni false idee sui tempi che descrivo. Io non posso che ammettere la forza di questa obiezione che spero di superare con le seguenti considerazioni.
È vero che non posso né pretendo osservare un assoluto rispetto della realtà per ciò che riguarda l’abbigliamento e ancora meno per ciò che riguarda il linguaggio e le abitudini. Tuttavia, le stesse argomentazioni che mi impediscono di scrivere i dialoghi in anglosassone o in franconormanno, e che mi vietano di pubblicare quest’opera con Caxton o Wynkyn de Worde [15] , mi vietano anche di confinare il mio tentativo entro i limiti del periodo in cui la mia storia è ambientata. È necessario, per suscitare qualche interesse, che l'argomento scelto sia nei costumi oltre che nel linguaggio dell’epoca che viviamo. La letteratura orientale non ebbe mai un fascino pari a quello ottenuto dalla prima traduzione del sig. Galland delle Mille e una notte , in cui, mantenendo da un lato lo splendore dei costumi orientali, e dall’altra lo spirito selvaggio di quella narrativa, li ha mescolati con sentimenti ed espressioni tanto comuni da renderli interessanti e comprensibili, mentre riduceva i passaggi ridondanti, abbreviava le meditazioni monotone ed eliminava le infinite ripetizioni dell'originale arabo. Perciò, questi racconti, pur essendo “meno orientali” della versione originale, erano molto più adatti al mercato europeo ottenendo così un grandissimo successo, che probabilmente non avrebbero avuto se i modi e lo stile non fossero stati resi più familiari ai gusti occidentali.
Per rispetto della gente che, come spero, divorerà questo libro, ho reso più moderne le antiche usanze e ho descritto i caratteri e i sentimenti dei miei personaggi per non scoraggiare un lettore contemporaneo di fronte all’aridità delle cose antiche in quanto tali, e in ciò affermo però che non mi sento di aver ecceduto la giusta licenza per le opere di fantasia. Il geniale sig. Strutt, ora defunto, nel suo romanzo Queen-Hoo Hall [16] , seguì un altro criterio e, distinguendo fra ciò che è antico e ciò che è moderno, dimenticò, a mio parere, quel vasto terreno neutrale, cioè quella parte di modi di vivere e di sentimenti che sono comuni a noi e ai nostri antenati, che sono arrivati a noi inalterati o che, derivando dalla nostra comune natura, devono essere ugualmente esistiti in qualsiasi condizione sociale. In tal modo, un uomo di talento ed erudizione storica ha limitato la popolarità della sua opera, escludendone tutto ciò che non era abbastanza vecchio per essere dimenticato e incomprensibile.
La licenza che vorrei rivendicare è tanto necessaria alla realizzazione del mio libro che devo chiedere la vostra pazienza per illustrare meglio la mia argomentazione.
Chi legge per la prima volta Chaucer o qualsiasi altro antico poeta, rimane così impressionato dall’obsoleta ortografia, dalle doppie consonanti e dalla forma antiquata del linguaggio da arrivare a rinunciare alla lettura, così tanto incrostata della ruggine dell’antichità. Se però qualche suo amico intelligente e colto gli fa notare che le difficoltà sono più apparenti che reali, se, leggendo ad alta voce per lui e riportando i termini ad un’ortografia moderna, riuscirà a convincere il proselita che soltanto circa un decimo delle parole impiegate sono di fatto obsolete, il principiante può essere facilmente persuaso ad avvicinarsi alla “sorgente dell’incontaminato inglese” con la certezza che con un pizzico di pazienza potrà godere sia dello spirito che del pathos con cui il vecchio Geoffrey incantò l’epoca di Cressy e di Poitiers.