Era stato il loro ottimismo a salvarla. L'intero personale ospedaliero si era già rassegnato all'idea che per Marie fosse arrivata la fine. Avevano investito attenzioni e risorse sugli altri pazienti, lasciandola sola a morire, cercando solo di “metterla quanto più a suo agio possibile”. Settimana dopo settimana, Big Joe si era presentato da lei, attendendo pazientemente che Marie buttasse giù ogni sorso della sua nuova “medicina”. Chiunque altro aveva gettato la spugna con lei, ad eccezione di Big Joe e della sua famiglia di draghi emarginati.
Dopo la prima settimana, a Marie era ritornato l'appetito e aveva mangiato con gusto il mediocre pasto dell'ospedale. Dopo la seconda settimana, i suoi medici erano rimasti a bocca aperta nel notare la sua velocissima ripresa e avevano battibeccato come bambini delle elementari per accaparrarsene il merito. Osservò con gioia i rinnovati sorrisi dei membri degli Artigli d'Acciaio. Non sarebbe mai stata in grado di ripagarli per ciò che avevano fatto per lei. Non appena fu in grado di mettersi in piedi, seguì Big Joe dall'ospedale e scoprì il suo clan, tutto tatuaggi e cicatrici. Marie immediatamente giurò loro fedeltà. Ricordava ancora chiaramente i loro volti stupefatti, ognuno che cercava a proprio modo di convincerla ad andar via e vivere la vita che le era stata quasi negata. Fu Emma la prima a comprendere ciò che Marie sarebbe potuta essere per il loro clan: una risorsa medica per riuscire a identificare i pazienti idonei, un ingresso legittimo in un'industria tanto chiusa, nonché un medico a disposizione di un gruppo che regolarmente finiva in zuffe di vario genere.
“Sei sicura che starà bene, Marie?” chiese Caesar, osservando Ned allontanarsi. Marie sorrise. Emma e Big Joe potevano anche scherzare sulle ferite del ragazzino, ma Caesar era sempre stato quello sensibile del gruppo, nonché l'unico che di tanto in tanto la chiamava col suo vero nome, anziché usare il soprannome “Doc” come il resto del clan.
“Sembra che il nostro piccolo Ned ballerà come un pazzo al concerto di questo sabato sera,” disse Emma, tirando una gomitata al fianco di Big Joe.
“Sì, da buon pezzo di legno qual è,” rispose il capo, completando il pensiero di lei con un sorriso complice che il resto del gruppo ignorò.
Marie ridacchiò, resistendo alla tentazione di punzecchiare Big Joe ed Emma per il loro flirt. “Voi altri, fate in modo che si trasformi in drago per qualche ora, questa notte. Dovrebbe velocizzare il processo di guarigione,” raccomandò. “E dateci un taglio con queste battaglie con i coltelli; non vi fanno bene.”
Scosse l'indice in segno di ammonimento a tutti loro a turno; Big Joe ed Emma sembrarono leggermente infastiditi, ma Alec sembrò divertito e Caesar sorrise sfacciatamente. L'infermiera si voltò a cercare Dylan e sentì come una fitta di panico quasi palpabile attraversarla non appena lo vide. L'uomo era caduto a terra sul cemento lurido alle spalle del gruppo, il suo volto pallido, le mani coperte di sangue, la sua maglietta fradicia. Il cuore di Marie batté come un tamburo, mentre correva per chinarsi al suo fianco.
Dylan aprì gli occhi a causa del suono stabile e continuo di un monitor, di una fitta di dolore al braccio e dell'odore acre di disinfettante e latex. Si allungò per cercare di portare sollievo al suo braccio, ma una piccola mano lo fermò.
“Fermo, Dylan. Ne hai bisogno.”
I suoi occhi finalmente misero a fuoco il volto più bello che avesse mai visto: Marie. Era china su di lui e, illuminata da dietro dai neon fluorescenti della stanza, il suo volto sembrava circondato da una specie di aureola angelica di luce. Il suo drago interiore si agitò e si dimenò, finalmente sveglio e cosciente per la prima volta dopo quella che sembrava un'eternità. Il drago si concentrò su Marie, la splendida infermiera latina che aveva conosciuto al ritrovo. Da quando l'aveva vista per la prima volta, non aveva più voluto distogliere lo sguardo, sentendo la sua belva morire dalla voglia di toccarla.
Dylan si guardò intorno. Era sistemato in un letto di ospedale, con una flebo infilata nel braccio e attaccato a una macchina che monitorava il suo battito cardiaco.
“Che cos'è successo?” chiese, sentendosi la gola arida e arrochita.
“Stavi perdendo molto sangue e hai deciso comunque di tenertelo per te. Non è stata una mossa intelligente,” rispose lei, spostandosi nella stanza per controllare le cartelle dell'uomo e pigiare qualche bottone sul monitor.
“Da quanto sono qui?”
“Sei stato incosciente per le ultime ore, mentre ti davo i punti. Starai bene, ma avrai bisogno di riposare ancora un po' e tenerti quella flebo al braccio.” Sistemò la sacca di soluzione salina ormai quasi vuota accanto a lui. “Perché non hai detto a nessuno di essere ferito? Se avessi potuto occuparmi di te prima, staresti già molto meglio adesso.”
Lui si strinse nelle spalle e fece una smorfia di dolore perché quel movimento aveva tirato i suoi punti di sutura. “Non volevo fare una scenata per un nonnulla. Sono un mutaforma. Dovrei guarire più velocemente di così.”
Lei ridacchiò. “Non volevi fare una scenata? Sei stato ferito da una lama maledetta. Lo sai che quelle lame ti feriscono nello stesso modo in cui un coltello normale ferirebbe un umano.”
Dylan sorrise, quasi sollevato. Oh, era davvero una lama maledetta, allora! Non sono un completo pappamolle. “Che cavolo ci fa quella gente con delle lame maledette?”
“Emma mi ha detto che sono tutte registrate e tenute sotto controllo, ma sembra proprio che il Consiglio non abbia problemi a lasciarle nelle mani dei suoi scagnozzi, se siamo noi il loro obiettivo. E tu dovresti sapere bene quanto è stupido tenersi una ferita del genere per sé, anche se si tratta di un ragazzone grande e grosso come te.” La mano della donna si fermò sul suo braccio in un modo che non sembrò strettamente professionale. Dylan ne fu intrigato.
“E cosa mi dici di te, Marie?” Il suo nome aveva un bel suono, gli piaceva dirlo. Sin da quando aveva posato gli occhi su di lei, al ritrovo, si era sentito immediatamente attratto. Il modo in cui si era presa cura di Ned mostrava delicatezza, competenza e una gentilezza a cui lui non era più abituato, dopo tutti quegli anni sulla strada. Aveva una bontà di cuore che brillava nei suoi occhi e si nascondeva nella curva del suo sorriso e che lo spingeva a volerle stare vicino. E il fatto che fosse bellissima non guastava: occhi nocciola che brillavano come gemme, lunghi e morbidi capelli neri che voleva solamente accarezzare e un corpo morbido dalle curve piene che non vedeva l'ora di sentire sotto le mani. Il suo drago la desiderava, moltissimo. Non provava quel genere di calore intenso nei confronti di una donna da quando sua moglie era morta, e la profondità di quell'attrazione lo sorprendeva.
“Cosa ti dico di me?” rispose lei. La voce della donna suonava lievemente senza fiato, mentre abbassava lo sguardo su di lui. Dylan notò subito come le mani di Marie sembrassero trattenersi sulla propria spalla, il suo tocco quasi lo bruciava attraverso la sottile vestaglia da ospedale.
“Cosa ci fa una donna bella e abile come te in mezzo ai criminali? Ai criminali mutaforma, per lo più? Perché mi stai aiutando?”
Lei si morse un angolo delle labbra e lui dovette sforzarsi notevolmente per non eccitarsi all’istante.
“Ho incontrato gli Artigli dopo che hanno usato la Nuvola per curarmi. Ma ero già in fuga. E quella è una storia davvero lunga, e non è una di cui dovrei parlare qui,” rispose la donna, lasciando correre lo sguardo alla finestra della stanza d'ospedale.
“Allora, forse, dovremmo andare da qualche parte dove potrai parlarmene?” disse lui, allungando il braccio non bloccato dalla flebo per poter toccare la mano dell'infermiera. Lei sorrise e arrossì; la sua espressione era così sexy che Dylan fu costretto ad arrendersi e ad abbandonare il tentativo di nascondere l'attrazione che provava per lei. Quel sottile camice da ospedale non poté nulla per nascondere la sua eccitazione, tendendosi sulla sua erezione.
“Oh!” sospirò lei. Per un istante, sembrò quasi che la donna stesse per allungare una mano per accarezzargliela e la sua erezione tremò al bisogno tanto intenso di sentire la pelle di lei contro la propria. Immaginò di strapparsi di dosso la vestaglia, liberarla dal camice e tirarsela addosso a cavalcioni. Poté visualizzare la scena sin troppo bene: le sue guance rosse mentre lo cavalcava, i suoi seni abbondanti che dondolavano sul suo petto sino a quando lui non avrebbe catturato uno dei suoi capezzoli tra i denti. Lei si sarebbe morsa le labbra mentre lo sentiva spingere dentro di sé. Poi lui l'avrebbe piegata sul bordo del letto, scopandola sino a farle urlare il suo nome.
“Dylan?” La voce di Marie, colma di preoccupazione, interruppe le sue fantasie. “Stai bene? Senti dolore?”
Il suo drago interiore ruggì affamato. La desiderava. La desiderava nel suo letto, desiderava che il suo sorriso e la sua dolcezza scaldassero i suoi giorni. Il suo intero corpo stava bruciando di desiderio per lei.
“Sto bene.” Doveva stare bene. Doveva riuscire a convincerla che l'avrebbe resa felice, che sarebbe stato in grado di far cantare di gioia il suo corpo.
Lei lo guardò, mordendosi il labbro, e lui non poté fare a meno di pensare a cosa avrebbe provato se quelle labbra si fossero mosse sulla sua pelle. “Se ti senti abbastanza bene, posso portarti sul tetto, dove potrai cambiare forma. La tua flebo è finita e,” gettò un'occhiata al monitor, “sei stabile. Anche con una ferita maledetta, guarirai più velocemente in forma di drago.”
Dylan non poté contraddirla; il solo pensiero di potersi trasformare in drago lo fece immediatamente sentire meglio. Lei lo aiutò a salire sul tetto, controllando i corridoi per essere certa che fossero liberi da altri infermieri o personale ospedaliero, prima di finire quasi a trascinarlo su per una scala sul retro. L'uomo si sentiva leggermente debole, ma si divertì a fingere di incespicare più di quanto non facesse realmente, così che Marie gli permettesse di appoggiarsi quasi completamente a lei.
“Ti sono grato dell'aiuto,” disse Dylan, chinandosi per sussurrare all'orecchio della donna, lasciando che il suo respiro le facesse venire i brividi alla nuca. Lei sorrise e lui notò che le era venuta la pelle d'oca.
“Non è un problema. E mi dispiace così tanto che tu stia avendo così tanti problemi a camminare. Sei sicuro di essere abbastanza forte da trasformarti?” Dalla sua espressione, era chiaro che Marie sapesse perfettamente che Dylan sarebbe stato perfettamente in grado di salire le scale da solo, se avesse voluto. L'uomo ricambiò il sorriso, sentendosi leggero in petto come non si sentiva da moltissimo tempo. Era questo che significava divertirsi, allora?
Le mani di lei si strinsero al suo fianco mentre lo sosteneva, e Dylan lasciò che la propria mano si muovesse lungo le spalle della donna, scendendo lungo la sua schiena. Solo uno sguardo severo di Marie lo trattenne dal lasciarla scivolare sino al suo fondoschiena. Quel sedere, stretto nel sottile camice blu da ospedale, era indubbiamente una vista divina, ma tenne giù le mani. Ritardare la soddisfazione avrebbe reso il poter finalmente stringere a sé le sue morbide curve ancora più coinvolgente.
Il tetto era attraversato da raffiche di vento. Marie fu la prima a uscire, per controllare che non ci fosse nessuno; l'ultima cosa di cui avevano bisogno era che un'infermiera ficcanaso, salita sul tetto per fumarsi una sigaretta, la beccasse mentre aiutava un paziente a trasformarsi in un drago.
Non appena la donna poté confermare che fossero soli, Dylan si rivolse al proprio drago interiore, permettendo alla sua essenza di riempirlo completamente, spingendolo al di fuori della sua forma umana ed espandendosi al di là di essa. Percepì i propri muscoli allungarsi e mutare, le sue ossa rompersi per prendere nuova forma. La trasformazione era stata dolorosa e scomoda quando era più giovane, ma ormai era parte di lui. Sentire il proprio corpo crescere al di fuori della sua pelle era un sollievo, facendo sì che l'enormità di ciò che aveva dentro avesse finalmente la forma più adatta anche al suo esterno.