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Lilim

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intro-logo
Blurb

Emma ha una carriera di successo, un compagno con cui ha ritrovato la complicità, un futuro che sembra già scritto. Tutto va in frantumi quando nella sua esistenza compare un uomo così bello da sembrare irreale. E apparentemente lo è, visto che la prima volta Emma lo incontra in sogno, un sogno vivido ed erotico. Da quel momento in poi la vita perfetta di Emma comincia a sgretolarsi. Warad-Sin, l’amante del suo sogno, si presenta in carne e ossa: magnifico, arrogante e tutt’altro che umano. Emma si rende conto di doversi difendere da lui e inizia a studiarlo con l’aiuto del professor Valdes, un antropologo che è quasi stato ucciso da un’esemplare femmina della sua stessa specie: i lilim. I lilim sono antichi come il mondo; belli e letali, si nutrono della forza degli esseri umani durante il sonno. Resistere al loro fascino è quasi impossibile e oltretutto Emma ha un motivo molto solido per non liberarsi di Warad-Sin. Un motivo che le sta crescendo dentro.--CONTIENE SCENE ESPLICITE--«Se n’è andato? Finalmente, non lo reggevo più».A Emma venne quasi un infarto.Aveva sentito una voce. In casa non poteva esserci nessuno, come poteva aver sentito...L’uomo uscì dalla sua cucina come niente fosse. Alto, moro, una felpa e dei jeans addosso, capelli scuri e sfilati.Emma cercò a tentoni dietro di sé la maniglia del portone. Lanciarsi fuori. Chiedere aiuto in strada, ma...«S-sei... sei il tizio del sogno» disse, prima di rendersene conto.E un attimo dopo, la realtà di quello che aveva appena tartagliato arrivò al suo cervello. Sì, cazzo: l’uomo che era uscito dalla sua cucina era il tizio del suo sogno.Lui le rivolse un sorriso beffardo.«Chi non ha mai avuto un sogno, forse ha solo sognato di vivere» declamò. Poi diede una scrollata di spalle. «Non mi ricordo dove l’ho letta. Ma, per essere davvero precisi, Emma, io non sono il tizio del sogno. Sono il tizio che ti ha montato mentre dormivi e il padre della creatura. Oh, non fare così».Emma aveva aperto il portone, ma il tizio del sogno... o, insomma, quel tizio... l’aveva richiuso dando una spintarella al battente. Come avesse fatto a comparire accanto a lei era inspiegabile.«Sto impazzendo» le uscì dalle labbra.Lui fece schioccare la lingua. «Banale».«Cioè, come hai fatto a—«Noioso».«Che cosa sei, dannazione?».Lui sorrise di nuovo. Un altro sorriso bianco e derisorio.«Già un po’ meglio. Vieni, sarò così gentile da spiegarti la situazione, visto che tenerti all’oscuro non è più possibile».

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1.
1. Quando Emma tornò a casa quasi barcollava. La sua confusione confinava col panico. Hudson era già rientrato, il che non era poi così strano, ma Emma sperava di avere ancora un po’ di tempo per sé. Per elaborare. Invece non lo aveva e forse era meglio così. Forse era meglio affrontarlo subito. E, specialmente, non avere la possibilità di rimandare il momento. Rinviare e rinviare, fino a non avere più il coraggio di parlare, mentre i sensi di colpa per il proprio silenzio crescevano. No, meglio che Hudson fosse lì, nella grande casa che condividevano a Chelsea. Hudson sentì la porta che si chiudeva, come faceva sempre, e uscì dal suo studio al piano terra. Prima dei vari lockdown quasi non si vedevano. Hudson tornava spesso dopo cena, stanco e stressato. Lavorava troppe ore al giorno, era sempre in ufficio o a blandire qualche cliente. Grossi, grossi clienti, per grossi, grossi guadagni. Poi durante i lockdown erano rimasti a casa, entrambi parte di quei privilegiati che potevano continuare a lavorare senza andare in ufficio. Per quanto assurdo fosse, il loro rapporto era rifiorito. Prima, non sapevano nemmeno di essersi allontanati. Ma si erano riallontanati e durante la quarantena si erano riavvicinati. Avevano ricominciato a fare l’amore tutti i giorni. Il desiderio di Hudson – che per lunghi mesi era stato quasi del tutto sopito – si era riacceso. E anche dopo la fine dei lockdown le cose erano andate meglio. Avevano ripreso dei ritmi più umani. Per cui quella sera Hudson era in casa, e quando la porta si era chiusa dietro Emma era uscito dal suo studio per salutarla. Si era accorto subito che qualcosa non andava. «Che cos’è successo? Sei bianca come un lenzuolo, amore». Ed Emma si era fatta coraggio, perché comunque non sarebbe riuscita a mentire. «Per i disturbi allo stomaco, hai presente? Sono stata dal dottore e sono incinta». Hudson vacillò. Vacillò fisicamente e fu buffo. Aveva sempre avuto l’aspetto più solido del mondo. Alto, viso virile, quel naso che sembrava rotto e quelle spalle larghe. A Emma era sempre piaciuto, piaciuto per chi era e per com’era fatto, ma anche per il suo aspetto. Oddio, non era nemmeno un’opinione solo sua. Che Hudson fosse un bell’uomo lo dicevano tutti. E una bella donna lei. Insomma, una bella coppia, questo era il parere generale. Ora Hudson quasi perse l’equilibrio e si aggrappò con una mano a un mobile. «Scusa?». «Sono incinta» ripeté Emma. «Di quasi tre mesi». Hudson sbatté le palpebre e fece i conti. Era molto veloce, a fare i conti, faceva parte delle sue abilità professionali, ma qua non serviva una laurea in economia. Era successo durante l’ultimo lockdown. «Ma... è sicuro?» non riuscì a impedirsi di chiedere. «Non solo ne è sicuro. L’ho visto». «Eh?». Emma deglutì. «Mi ha fatto un’ecografia. L’ho... visto». Hudson vacillò di nuovo. Ruotò su se stesso e sbandò verso il salotto. «Scusa, devo sedermi» borbottò. Emma si sfilò i mocassini e appese la borsa vicino alla porta. Lo seguì verso la sala con le grandi finestre a bovindo, il pavimento di assi grezze color miele, il divano in stile mediorientale. La loro casa. Una bella casa, calda, curata. Dio, non voleva perdere tutto quello che aveva. Hudson, il loro rapporto, la loro intimità, la loro fiducia, la loro felicità. Gli versò un goccio di whisky e gli porse il bicchiere. «Mi sa che ti serve» provò a sorridere. Provò a sorridere anche Hudson. Buttò giù in un sorso. «Non so proprio che cosa dire. Cioè, per favore, siediti. Il tuo dottore ha... uhm, ha per caso anche qualche ipotesi su come sia possibile?». Emma si sedette. Scosse la testa. «Non realmente. Ha detto... che c’è solo una spiegazione, in pratica. Che gli esami che hai fatto a suo tempo fossero sbagliati. Che magari la tua conta spermatica sia molto, molto bassa, ma non a zero». Alzò le mani per interrompere qualsiasi protesta, anche se in realtà Hudson era rimasto in silenzio. «Ehi, lo so. So quanto sia improbabile». “Improbabile” non rendeva l’idea. Hudson era andato da due o tre specialisti diversi, a suo tempo. Voleva sapere se per caso nel suo seme non navigava qualche spermatozoo solitario perché, in quel caso, avrebbero potuto acchiapparlo e moltiplicarlo in laboratorio. Provare una fecondazione assistita. Ma nel suo liquido seminale non c’era niente. Era latte totalmente scremato, come aveva riassunto lui, provando a sdrammatizzare. Hudson si accarezzò la nuca, senza sapere che cosa dire. Poi la sua bocca si contrasse in un sorriso veloce, quasi recalcitrante. «Quindi aspettiamo un bambino». Emma fu invasa dal sollievo. «Ho pure un CD». Hudson sbatté le palpebre un paio di volte. «Abbiamo ancora un lettore di CD?». «Ehm, no. Ma mi sono fatta spedire l’ecografia anche via email. Vuoi vederla?». Lui si sporse verso di lei. Un buffo gesto scomposto, impreciso. La tirò verso di sé e la strinse. «Certo che voglio vederla». Più tardi, a letto, Hudson la baciò tutta, dalla testa ai piedi. Le strofinò la faccia sulla pancia, facendola squittire per il solletico. La leccò e la accarezzò. La sua bocca scese verso il basso, verso il triangolino di riccioli ben curato che aveva sopra il monte di venere. Le aprì le cosce con le mani e Emma si inarcò verso di lui. Carica. Così carica. Hudson le succhiò il clitoride fino a farla godere a voce alta, le infilò la lingua in ogni fessura, le dita dentro, nell’anfratto caldo e bagnato del sesso. «Che cosa devo fare, ora? Cioè, che cosa... non devo fare?». Emma non ci stava pensando, non in quel momento. L’idea un po’ la inibì, ma ci passò sopra alla svelta. Gli disse di scoparla e basta. Come sempre. Dentro di sé pensò che avevano davanti ancora qualche mese di sesso decente, poi chi lo sapeva. Meglio approfittarne. Hudson le salì sopra e glielo mise dentro, ma era innegabile: lo fece con tutta calma, delicatamente. Emma chiuse gli occhi e lo strinse forte con i muscoli pelvici. Era spesso e lungo e l’aveva sempre adorato. Fin dalla prima volta in cui avevano fatto sesso, sul divano della sua casa dell’epoca, e Hudson aveva rotto il primo preservativo mentre se lo metteva. Le strinse i seni, mentre la montava lentamente. I seni strani e sensibili che si ritrovava da un po’ di tempo a quella parte. Nelle sue mani scomparivano, una cosa che le era sempre piaciuta. Fu sesso intenso, ma tranquillo. Dopo Hudson la abbracciò da dietro e se la strinse contro, il mento pungente posato sulla sua spalla. «In tutto questo c’è una cosa che non ti ho chiesto. Una cosa importante». «Sembra anche a me» sorrise Emma. «Sei felice?». Lei annuì e Hudson la strinse più forte. «Perché io sono felice. Felice da impazzire. E c’è anche un’altra cosa. Non ti incazzare». Lei emise una risatina. «Sentiamo». «Se anche... uhm. Se anche per qualche motivo non fosse stato un mio spermatozoo, no?». Emma gli mollò una gomitata e si rigirò. Hudson la placcò. «No, aspetta. Davvero, non ti arrabbiare. Se anche fosse successo... non lo so. Sei uscita di casa e hai incontrato il tuo vecchio ragazzo delle superiori e siete finiti in un hotel? Shh. Non lo voglio sapere. Non mi interessa. Sono felice lo stesso». Lei si divincolò. «Vaffanculo». «Non ti incazzare, dai. Per favore. Sul serio». Emma riuscì a scostarsi. «Invece mi incazzo. Porca vacca, Huds». «Sto solo dicendo...» «Stai solo dicendo che in fondo pensi che potrei anche averti fatto le corna. Durante il lockdown, oltretutto. Con il primo tizio di passaggio». «No, non... non è quello che intendo, dai. Intendo...» Emma si incazzò ancora di più. «E che cosa intendi? Pensi che mi sia seduta in un bagno pubblico e che – ops!». «Ma no— «Perché comunque fa schifo, eh. E io non mi siedo, quando vado nei bagni pubblici». «Lo so, non è quello che— «Quindi resta solo la sveltina con qualcun altro. Molto veloce, perché durante l’ultimo lockdown, se ti ricordi, uscivamo giusto per fare la spesa e poche altre cose. Quindi che cosa immaginavi?». «Non immagino niente, Emma. Sono solo felice che stiamo per avere un bambino». Quello l’ammorbidì un po’. «Non c’è stato nessun altro» ribadì, comunque. Tra sé e sé pensò: non c’è stato nessun altro neanche quando scopavamo una volta ogni tre settimane, figuriamoci durante i lockdown. Ma non lo disse. Non voleva litigare. Non gli fece nemmeno presente che per lui non sarebbe mai stato “lo stesso”, se poi lo spermatozoo fosse stato di qualcun altro. Dopo aver fatto tutti gli esami, avevano preso in considerazione l’idea della fecondazione eterologa, ed era stato proprio lui a dire che l’idea del seme di un altro uomo dentro di lei gli faceva impressione, e che avrebbe avuto dei problemi a considerare il bambino suo, e tutte le altre cazzate. Così le considerava Emma, cazzate. Ma il suo istinto materno non era poi molto pronunciato, aveva un lavoro che la assorbiva molto e rinunciare non era stato così difficile. Un po’ difficile, sì, ma l’aveva superato. «Senti, ti amo» disse Hudson, tornando a tirarsela contro. «Ti amo così tanto che ti prenderei a morsi». Emma sbuffò. «Anch’io ti amo. Non fare lo stronzo, per favore». Ma Hudson lo fece. In fondo Emma se lo aspettava, perché sapeva quanto fosse territoriale. Quando litigavano attribuiva quella specifica caratteristica al fatto che era americano, anche se sapeva benissimo che anche in Inghilterra c’era pieno di uomini come lui. Per qualche giorno, quindi, Hudson si limitò a essere felice, ma solo per qualche giorno. Poi, quando la gravidanza era ormai arrivata alla quattordicesima settimana, entrò nello studio di Emma e lasciò planare sulla sua scrivania una spessa busta bianca. «Scusa» le disse, con quella sua voce profonda e sempre così ragionevole. «Dovevo farlo. Pensaci su e fammi sapere se hai qualcosa da dirmi». Se ne andò prima che Emma aprisse la busta, ma in fondo sapeva già di che cosa doveva trattarsi. Non restò delusa. Erano degli altri test sulla sua conta spermatica. Erano sempre a zero, come i precedenti. Nel referto, il laboratorio escludeva nel modo più assoluto che Hudson potesse generare un figlio. Emma sospirò. Lo amava, ma avvertiva anche un senso di tradimento. Perché ovviamente Hudson non si fidava di lei, non fino in fondo. E per quanto il suo atteggiamento non fosse incomprensibile, la feriva lo stesso. La cosa più ridicola era che Emma sapeva quando era successo. L’ultimo lockdown era iniziato da una settimana e ormai da un po’ Hudson aveva ricominciato a cercarla con rinnovato desiderio. Avevano scopato sul letto, e in cucina, e sul pavimento della sala. Hudson aveva imparato i punti in cui a Emma piaceva essere leccata ora, perché i gusti cambiano con l’età. Quattro anni prima, prima di sposarsi, prima di vivere insieme, durante il periodo degli ormoni impazziti e del sesso a tutte le ore, a Emma piaceva sentire la sua lingua attorno al buchetto della fica. Le piaceva il modo in cui lui irrigidiva la lingua e la penetrava dolcemente lì. Quattro anni più tardi le piaceva ancora, ma preferiva che lui si accanisse sul suo clitoride. Che lo succhiasse e lo mordicchiasse, che lo stimolasse con la lingua mentre la penetrava con le dita. E aveva iniziato a piacerle anche dietro, cosa che un tempo la imbarazzava un po’. Le piaceva sentirsi leccare anche lì, le piaceva quando lui usava due dita davanti a uno dietro. E le labbra tra le labbra e sul clitoride, certo. Hudson aveva imparato da capo. E lei aveva imparato da capo come dare piacere a lui. A quarant’anni Hudson era diventato più complicato, più cerebrale. A Emma andava benissimo. La sera in cui era rimasta incinta avevano scopato due volte, entrambe le volte a letto. La prima volta lei si era messa carponi, anzi, prostrata. Hudson l’aveva infilzata con forza, in ginocchio dietro di lei, il cazzo che le cozzava sulla cervice a ogni penetrazione. Quel pizzico di dolore aveva fatto godere forte Emma, l’aveva spinta a incitarlo con frasi volgari che in un altro contesto sarebbero state ridicole. Hudson l’aveva allargata anche dietro usando due dita, le aveva detto che voleva scoparla nel culo – sue precise parole – ma poi non l’aveva fatto. La seconda volta erano un po’ assonnati. Prima si erano leccati a lungo. Emma ricordava ancora il sapore del suo uccello, quella sera, perché tra una manche e l’altra non era passato dal bagno, e quindi sapeva ancora di lei. Quando erano stati a un passo dall’orgasmo, Hudson le era salito sulla schiena e l’aveva penetrata. Emma aveva stretto le cosce, appiattita contro il materasso, e lui aveva uggiolato di piacere. L’attrito era stato bestiale. Quando avevano finito Emma aveva la fica in fiamme. Era sicuro che la volta buona fosse una delle due per via del sogno che aveva fatto quella notte. Era successo mentre Hudson si faceva la doccia, perché quando si era svegliata lui si stava rimettendo a letto tutto profumato di bagnoschiuma. Lei invece si era addormentata e aveva sognato. Nel sogno era lì, a letto. Non riusciva a muoversi, ma non aveva paura. Sopra di lei c’era un uomo dai capelli scuri e sfilati. Un uomo... irreale, nella sua bellezza perfetta. Fisico da modello di intimo e lineamenti squisiti, regolari. Gli occhi allungati e brillanti. L’uomo era sopra di lei, Emma era paralizzata. Non riusciva neanche a muovere la testa. Sentiva che lui le apriva le cosce, che le piegava le ginocchia e la metteva in una posizione da puerpera. I suoi occhi la percorrevano e l’eccitazione di Emma cresceva di colpo. Iniziava a godere forte prima ancora di essere penetrata. Ma comunque la penetrazione c’era. Lui le entrava dentro e Emma ne percepiva ogni millimetro. Grosso, duro, largo. Il suo sesso si contraeva forte attorno a quel palo. L’uomo si muoveva con calma, senza strappi, continuando a guardarla con quegli occhi che sembravano ipnotizzarla. Emma godeva e gemeva. Ferma immobile, se non proprio per il sesso, che si contraeva con forza. L’uomo che aveva sopra accelerava e spalancava la bocca. Emma vedeva qualcosa sbattere dietro di lui. Sbattere come... ali, ali scure da pipistrello, il suo corpo che all’improvviso le appariva nero ossidiana, gli occhi con la sclera bianco-luminescente e le iridi di fiamme giallo-arancioni. Un demone. Dio, forse da piccola aveva guardato troppi cartoni animati, perché comunque lo trovava bellissimo. Il movimento potente delle ali, i denti scoperti in una smorfia di godimento... per lei era sesso puro. Puro desiderio. Il suo orgasmo era stato forte, davvero forte. Era stato come una scossa elettrica che le aveva attraversato il corpo, indurendole i capezzoli fino al dolore, facendola sobbalzare e contrarre attorno alla sua asta. Il sesso che pulsava, il piacere come un morso. Dopo, per un istante il demone, di nuovo in forma umana, l’aveva guardata con curiosità. L’attimo successivo si era svegliata. Si era resa conto di avere le gambe nella stessa posizione scomposta in cui erano scivolate alla fine dell’amplesso onirico e di aver il sesso caldo, pieno di umori e rilassato come dopo un orgasmo. Era venuta nel sonno? Non ne era sicura. Di lì a qualche minuto Hudson era tornato a letto, profumato di bagno schiuma e ancora umido per la doccia. Ripensandoci, Emma era sicura che fosse successo quella sera, ma non aveva nessuna intenzione di dirglielo. Hudson si sarebbe solo infastidito per quella sua convinzione irrazionale, lui che voleva sempre una spiegazione chiara di tutto. Quello che gli disse più tardi quella sera – freddissima – fu quindi che avrebbe fatto un test di paternità. Visto che non si fidava di lei. Visto che era così convinto di essere stato tradito. Non aggiunse che ora era lei a sentirsi tradita. Quell’equivoco sarebbe presto stato chiarito e Hudson si sarebbe scusato. E avrebbe imparato la lezione. Quante illusioni si faceva.

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