«Non sono un cavallo!» protestai. Gli occhi divennero una fessura. «E che cosa saresti, un uomo?» Mandò un servo a medicarmi, e fui condotto alle scuderie. Fu uno strano periodo, quello. Un periodo felice, tutto sommato. Dividevo il mio alloggio con una dozzina di stalloni, e nel giardino traboccante di piante esotiche c’erano pavoni e pappagalli, e un lago e un’enorme piscina. Per non parlare dei servitori, almeno una trentina: senza dubbio il signor Julius era uno degli uomini più ricchi di Tèmplide. Ogni giorno suo nipote Soterius veniva a prendermi, e mentre passeggiavamo per il giardino io gli insegnavo i nomi dei fiori, degli alberi e delle pietre, e le mie canzoni e le leggende del mio popolo. Di notte lo portavo nell’angolo più buio e gli mostravo le stelle, e gli dicevo di cos