IV. Rivista e bivacco – Nuovi amici, ed un invito in campagna
Non pochi autori hanno una certa ripugnanza, non so se più ridicola o disonesta, a riconoscere le fonti alle quali attingono le loro migliori informazioni. Noi non facciamo che studiarci di compiere onorevolmente i doveri che ci sono imposti dalla nostra qualità di editori; e qualunque ambizione avremmo potuto sentire in altre congiunture nel far valere un titolo alla diretta paternità di queste avventure, l’amore che portiamo alla verità c’impedisce di far valere ogni altro merito che non sia quello della loro giudiziosa disposizione ed esposizione fedele. Le carte del Circolo Pickwick sono le nostre sorgenti, e noi possiamo essere paragonati ad una compagnia di esplorazione. I lavori altrui ci hanno preparato un grandioso serbatoio di fatti importanti. Noi non facciamo che distenderli, e comunicarli via via per un canale limpido e piano, al mondo assetato di notizie pickwickiane.
Animati da questo spirito e fermi nel nostro proposito di riconoscerci debitori delle autorità che abbiamo consultato, diciamo francamente che al libro di appunti del signor Snodgrass dobbiamo i particolari riferiti in questo capitolo e nel seguente; particolari che – sgravata così la nostra coscienza – verremo ora esponendo senza commenti ulteriori.
L’intiera popolazione di Rochester e delle città circonvicine si levò di buon’ora dai suoi letti il giorno appresso, in uno stato d’insolita confusione e di eccitamento. Una grande rivista militare doveva aver luogo. Una mezza dozzina di reggimenti avrebbero manovrato sotto gli occhi aquilini del comandante in capo. S’erano costruite delle fortificazioni temporanee, la cittadella doveva essere attaccata e presa, ed in ultimo si sarebbe messo fuoco ad una mina.
Il signor Pickwick, come il lettore avrà potuto argomentare dal breve estratto recato più su della sua descrizione di Chatham, era un ammiratore entusiasta dell’esercito. Nessun altro spettacolo gli sarebbe giunto più gradito di questo; e nient’altro avrebbe potuto così bene accordarsi coi sentimenti dei suoi compagni. In conseguenza furono subito in piedi, e si avviarono al teatro dell’azione verso il quale si versava già da tutte le parti un nugolo di gente.
L’aspetto generale del campo mostrava chiaramente che la cerimonia imminente era delle più grandiose ed importanti. C’erano qua e là delle sentinelle per guardare il terreno riservato alle truppe, e sulle batterie parecchi domestici stavano di guardia ai posti per le signore. Dei sergenti correvano su e giù, con sotto il braccio registri rilegati in cartapecora, e il colonnello Bulder, a cavallo, in grande uniforme, galoppava ora da una parte ed ora dall’altra, e faceva rinculare il cavallo fra la calca dei curiosi, e lo facea volteggiare e corvettare, e gridava in modo allarmatissimo, con una voce terribile e strozzata, rosso come un tacchino, senza nessuna ragione plausibile. Degli ufficiali correvano avanti e indietro, prima comunicando col colonnello Bulder, poi dando ordini ai sergenti, e poi scappando in fretta; e perfino i semplici soldati guardavano di sotto al loro lucido cuoiame con un’aria di misteriosa solennità, che dimostrava abbastanza la specialità dell’occasione.
Il signor Pickwick e i suoi tre compagni presero posto nella prima fila della folla, e pazientemente stettero ad aspettare che le manovre incominciassero. La folla cresceva a tutti i momenti; e gli sforzi ch’essi dovevano fare, per non perdere la posizione guadagnata, li tennero sufficientemente occupati nelle due ore che seguirono. Una volta, per una subita spinta dalla parte di dietro, il signor Pickwick si trovava lanciato parecchi metri in avanti con una fretta ed una elasticità tutt’altro che conformi alla gravità del suo contegno; un’altra volta, gli spettatori erano pregati a dare indietro, ed allora, per avvalorare la preghiera, il calcio di un fucile cadeva sui piedi del signor Pickwick o gli veniva puntato in petto. Poi un gruppo di capi ameni a sinistra, dopo essersi spinti in massa da una parte come se qualcuno spingesse loro, ed avere spremuto il signor Snodgrass fino al grado estremo della tortura, gli domandavano in cortesia “che cos’è che lo faceva spingere”, e quando il signor Winkle avea sfogato la sua indignazione per questo assalto non provocato, una persona da dietro gli calcava il cappello sugli occhi pregandolo che gli facesse la finezza di mettersi la testa in saccoccia. Questi, ed altri tratti di spirito in azione, aggiunti all’assenza inesplicabile del signor Tupman (che era scomparso di botto e non era più reperibile), rendevano in complesso la loro situazione piuttosto incomoda che piacevole o desiderabile.
Alla fine corse fra la folla quel sordo mormorio che suole annunziare l’arrivo di una qualunque cosa aspettata. Tutti gli occhi si volsero dalla parte del forte. Pochi momenti di ansiosa aspettazione, e subito si videro sventolare delle bandiere, e luccicare delle armi ai raggi del sole: colonna su colonna si versarono sul campo. Le truppe fecero alto e si ordinarono; il grido del comando corse lungo le file; si udì un fragore generale di moschetti, quando si presentarono le armi, e il comandante in capo, accompagnato dal colonnello Bulder e da molti ufficiali, galoppò lungo la fronte. Le bande militari dettero dentro; i cavalli si alzarono su due piedi, rincularono, dimenarono le code in tutte le direzioni; i cani latrarono, la folla levò le alte grida, le truppe stettero ferme, e dall’una e dell’altra parte fin dove l’occhio poteva giungere non si vide che una estesa prospettiva di tuniche rosse e di calzoni bianchi, fissi ed immobili.
Il signor Pickwick era stato occupato a tenersi ritto e a strigarsi, quasi miracolosamente, dalle gambe dei cavalli, da non aver agio per osservare la scena che gli stava davanti fino a che non ebbe preso l’aspetto che abbiamo appunto descritto. Quando gli riuscì finalmente di star fermo sulle gambe, il piacere e la soddisfazione che lo invasero non ebbero limiti.
– Ci può essere niente di più bello? – domandò egli al signor Winkle.
– Niente, – rispose questi, il quale per un quarto d’ora avea tenuto un omicciattolo sui piedi.
– È uno spettacolo veramente nobile e brillante, – disse il signor Snodgrass, nel cui seno erompeva una subita fiamma di poesia, – il vedere i bravi difensori della patria schierati in bell’uniforme davanti ai pacifici cittadini; coi volti raggianti, non già di bellicosa ferocia, ma di gentilezza civile; cogli occhi fiammeggianti, non già del fuoco distruttore della rapina e della vendetta, ma della dolce luce dell’umanità e dell’intelligenza.
Il signor Pickwick entrò pienamente nello spirito di questo elogio, ma non potette farvi eco; perchè la dolce luce dell’intelligenza splendeva piuttosto debolmente negli occhi dei guerrieri, essendo proprio in quel punto dato il comanda di fisil: sicchè non poteva veder altro lo spettatore che parecchie migliaia di occhi spalancati e vacui, affatto spogliati di ogni qualunque espressione.
– Siamo in una magnifica posizione, – disse il signor Pickwick, guardandosi intorno. La folla s’era a poco a poco diradata ed essi erano rimasti quasi soli. – Magnifica! – esclamarono ad una voce Snodgrass e Winkle.
– O che fanno adesso? – domandò il signor Pickwick, aggiustandosi gli occhiali.
– Credo.... mi pare, – disse il signor Winkle mutando di colore, – mi pare che stiano per far fuoco.
– Eh via, che dite! – esclamò in fretta il signor Pickwick.
– Ma.... davvero lo credo anch’io, – aggiunse il signor Snodgrass, preso da una certa agitazione.
– Impossibile, – replicò il signor Pickwick. Ma aveva appena pronunciata questa parola, quando tutti i sei reggimenti abbassarono i fucili come se non avessero che una sola mira, e fecero la più terribile e spaventosa scarica, che mai abbia scosso la terra fin nel suo centro o un gentiluomo attempato fuori del suo.
Fu appunto in questa critica posizione, esposto ad un fuoco di fila di cartuccie e stretto dalle varie evoluzioni delle truppe di cui un novello corpo era già sceso in campo dalla parte opposta, che il signor Pickwick spiegò quella perfetta calma e padronanza di sé, che sono le qualità insite di un animo grande. Egli afferrò il signor Winkle pel braccio, e ponendosi tra lui e il signor Snodgrass, li pregò vivamente di ricordarsi che, oltre alla eventualità di essere assordati dal fracasso, non c’era in effetto altro pericolo da temere in seguito di quella scarica.
– Ma.... ma supposto che qualche soldato abbia, per una svista, caricato a palla, – notò il signor Winkle, pallido alla sua stessa supposizione – Ho udito una specie di sibilo per l’aria, proprio adesso, vicino all’orecchio.
– Non sarebbe bene che ci gettassimo faccia a terra – disse il signor Snodgrass.
– No, no, oramai è passata, – rispose il signor Pickwick. Poteva tremare il suo labbro, poteva impallidire la sua guancia, ma non una sola espressione di paura o di sospetto sfuggiva dalla bocca di quest’uomo immortale.
Il signor Pickwick aveva ragione. Il fuoco cessò; ma non ancora aveva egli finito di congratularsi dell’accuratezza del suo modo di vedere, che un rapido movimento fu visibile nella linea: la voce roca del comando la percorse tutta, e prima che alcuno della brigata potesse formarsi una qualunque idea della novella manovra, l’intiera massa dei sei reggimenti, baionette in canna, caricò a passo accelerato proprio verso il punto preciso che il signor Pickwick e i suoi compagni occupavano.
L’uomo è mortale, questo si sa; e vi è un punto oltre il quale non può andare il coraggio. Il signor Pickwick guardò per qualche istante attraverso gli occhiali alla massa compatta che s’avanzava; e poi, senza più, volse le spalle e.... non diremo fuggì – in primo luogo perchè la parola è ignobile, e in secondo, perchè la figura del signor Pickwick non si adattava per nessun verso a questa maniera di ritirata – e si allontanò al trotto, con quel tanto di rapidità che gli consentivano le gambe; la quale nondimeno fu bastevole a non farlo accorto pienamente della sua critica posizione, se non quando era già troppo tardi.
Le truppe venute testè in campo dal lato opposto, che aveano gettato il signor Pickwick in una certa perplessità erano appunto destinate a respingere il simulacro di attacco dei finti assalitori della cittadella; e la conseguenza fu questa che il signor Pickwick e i suoi compagni si trovarono subitamente rinchiusi fra due linee di sterminata lunghezza; l’una che s’avanzava a passo accelerato, l’altra che aspettava a piè fermo ed in atto ostile l’urto nemico.
– Ohi! – gridarono gli ufficiali della linea che s’avanzava.
– Levatevi di mezzo! – gridarono gli ufficiali dell’altra linea.
– Dove dobbiamo andare? – esclamarono gli agitati Pickwickiani.
– Ohi, ohi, ohi! – fu la sola risposta. Vi fu un momento di gran confusione, di vertigine, un rumore pesante di passi, una confusione violenta, delle risa soffocate – e i sei reggimenti erano già lontani un cinquecento metri, e le suole degli stivali del signor Pickwick erano levate in aria.
I signori Snodgrass e Winkle avevano ciascuno eseguito uno svelto capitombolo, quando il primo oggetto che colpì gli occhi del secondo, stando ancora seduto per terra e cessando di frenare con un suo fazzoletto di seta gialla tutta la rubiconda vitalità che gli usciva dal naso, fu appunto il suo venerato condottiero ad una certa distanza che correva dietro il proprio cappello, il quale se n’andava allegramente saltellando nella lontana prospettiva.
Pochi momenti vi sono nella vita di un uomo, nei quali sia così ridevole il suo imbarazzo e così scarsa in altri la commiserazione, come quando egli si trova ad inseguire il suo cappello. È indispensabile, in questa operazione del ricuperare un cappello volato via, una forte dose di freddezza e un grado speciale di giudizio. Non bisogna essere frettoloso, nè precipitarvisi sopra; nè d’altra parte si deve cadere nell’estremo contrario e rischiare di perderlo a dirittura. Il miglior mezzo è questo: di tener dietro dolcemente all’oggetto che si ha in mira, di essere vigile e cauto, di attendere il destro, avanzarlo di qualche passo, far poi una subita diversione, afferrarlo, e cacciarselo in capo solidamente: e tutto questo, sorridendo sempre con una certa grazia, come se la cosa vi paresse il giuoco più piacevole di questo mondo.
Spirava un bel venticello, ed il cappello del signor Pickwick se n’andava rotolando e balzando allegramente. Soffiava il vento e soffiava il signor Pickwick, e il cappello seguitava a balzare e a rotolare come un pesce vivace nella corrente; ed avrebbe seguitato chi sa fin dove la sua corsa se non fosse stato provvidenzialmente arrestato, proprio nel punto che il signor Pickwick lo abbandonava al suo fato.
Il signor Pickwick, dicevamo, era completamente stremo di forze e stava per rinunciare alla sua caccia, quando il cappello fu sbattuto con alquanta violenza contro la ruota di una carrozza, che stava in riga con un’altra mezza dozzina di veicoli sul punto verso il quale i passi di lui erano diretti. Il signor Pickwick, scorgendo il suo vantaggio, si slanciò di botto, assicurò la sua proprietà, se la piantò in capo e sostò per riprender fiato. Non era stato così mezzo minuto, quando udì il suo nome pronunciato alto da una voce, che subito riconobbe per quella del signor Tupman, e alzando gli occhi fu colpito da una vista che lo colmò di sorpresa e di soddisfazione.