“Poi si avvicinò ancora di più ed aggiunse con voce bassa, e tremante:
“– Jem, ella è il mio spirito maligno; un demonio. Zitto! Io ne son certo. S’ella fosse una donna, da quanto tempo sarebbe morta! Nessuna donna avrebbe potuto sopportar quello che ha sopportato lei!
“Io fremetti pensando alla lunga serie di disprezzi e di crudeltà di cui un tal uomo doveva essere colpevole per conservarne tale idea. Non potetti rispondere. Quale speranza, quale consolazione dare ad un essere così abietto?
“Restai là più di due ore, durante le quali egli si volse cento volte da una parte e dall’altra, abbandonando le braccia a dritta e a manca, e mormorando esclamazioni di pena e d’impazienza. Alla fine cadde in quello stato d’abbandono imperfetto quando l’anima erra penosamente di posto in posto, da scena a scena, senz’aiuto della ragione ma senza poter liberarsi d’un vago sentimento delle sofferenze presenti. Giudicando allora che il suo male non si aggraverebbe lì per lì, lo lasciai, promettendo a sua moglie di tornare la sera seguente e di passar la notte presso di lui, se fosse stato necessario.
“Tenni la promessa. Le ventiquattr’ore trascorse avevano prodotto in lui uno spaventevole cambiamento. Gli occhi, profondamente incavati, brillavano d’un lampo orribile; le labbra erano secche e screpolate; la pelle luccicava, arida e scottante; in fine si vedeva su quel viso un’espressione d’ansietà feroce, che indicava ancor meglio il danno della malattia e che pareva non appartener più alla terra. La febbre lo divorava.
“Presi la seggiola su cui m’ero seduto la sera innanzi. Io sapeva ch’egli era moribondo: l’avevo inteso dal medico. Restai là delle lunghe ore di notte, tendendo l’orecchio a suoni capaci di commovere le anime più dure. Erano le fantasie misteriose dell’agonia.
“Vidi le sue scarne membra, che poche ore prima si contorcevano per divertire la gaia folla, contorcersi fra le t*****e d’una febbre ardente. Intesi il riso acuto del pagliaccio mischiarsi al rantolo del moribondo.
“Gli è ben commovente seguire il pensiero d’un infermo che si finge tra le scene ordinarie della vita, tra le sue occupazioni d’un giorno, mentre il suo corpo ora è steso senza forza e senza moto innanzi a’ vostri occhi. Ma questa impressione è cento volte più forte quando quelle occupazioni sono interamente opposte ad ogni idea grave e religiosa. Il teatro e la taverna erano i principali mezzi da svagare quell’infelice. Nel delirio egli credeva di dover recitare una parte quella notte stessa, ch’era tardi e che doveva uscir di casa lì per lì.
“ – Perchè lo rattenevano? Perchè gl’impedirebbero di partire? Avrebbe perduto il salario! Bisognava uscire! No, no! lo rattenevano!
“Nascondeva il viso fra le mani ardenti e gemeva sulla sua debolezza e sulla crudeltà de’ suoi persecutori, Dopo un momento, intonava un ritornello da baccanti.
“D’un tratto si levò sul letto, stese le membra di scheletro, e si atteggiò in una posa grottesca. Era sulla scena: recitava. – Un po’ di silenzio ancora, e mormorò un altro ritornello.
“Era giunto alla fine! Quanto era soffocante la sala! Egli era stato ammalato, molto ammalato; ma adesso si sentiva bene, era contento!
“– Riempite il bicchiere!... Chi me lo strappa dai denti?
“Era lo stesso persecutore che l’inseguiva.
“Ricadde sul cuscino e gettò de’ sordi gemiti.
“Dopo un breve intervallo, si trovò errante in un labirinto inestricabile di camere oscure, le cui volte erano così basse che gli bisognava talora trascinarsi carponi per avanzare. Tutto era buio minaccioso; e da qualunque parte si voltasse, trovava pel cammino ostacoli spaventosi. Rettili immondi strisciavano intorno a lui; gli occhi luccicanti dardeggiavano fiamme in mezzo a tenebre palpabili che lo circondavano; le mura, a vôlte, l’aria stessa era avvelenata da insetti schifosi. D’improvviso le vôlte si espandono e diventano d’una grandezza maravigliosa; spettri orribili riddano da ogni parte, in mezzo ai quali egli vedeva apparire visi conosciuti, resi deformi da smorfie e contorsioni terribili. Que’ fantasmi s’impadronirono di lui: gli bruciarono le carni con ferri roventi; gli strinsero delle funi intorno alle tempie, sino a farne spicciar sangue, e lo costrinsero a dibattersi violentemente per isfuggire alla morte che l’invadeva.
“Alla fine d’uno di questi parossismi, durante i quali avevo avuto un gran da fare per ritenerlo in letto, egli si abbandonò sfinito e cadde in una specie di assopimento. Stanco per le veglie e lo sforzo, avevo chiuso gli occhi da qualche minuto, quando intesi battermi violentemente sulla spalla; mi svegliai. Egli si era levato e seduto sul letto. Il viso era cambiato in guisa spaventosa; tuttavia il delirio era cessato, poichè certamente egli mi riconosceva. Il bambino, intimorito per sì gran tratta dalle fantasticherie del babbo, corse a lui gridando con terrore; ma la madre lo afferrò per le braccia d’un lampo, temendo che John non lo ferisse nella violenza de’ suoi delirii; poi, notando il cambiamento de’ suoi lineamenti, restò spaventata e immobile a piè del letto. Tuttavia egli stringeva convulsivamente la mia spalla; e battendosi con l’altra mano il petto, faceva orribili sforzi per parlare; ma invano. Stese le braccia verso sua moglie e il bambino; le labbra bianche gli si agitarono, ma non produssero che un rantolo affannoso, un gemito soffocato; gli occhi brillarono ancora un istante, poi ricadde all’indietro... Morto.”
Sarebbe motivo per noi di grande soddisfazione il poter riferire qui l’opinione del signor Pickwick intorno all’aneddoto precedente. E l’avremmo senz’altro presentata ai lettori, se non fosse stato per una disgraziatissima congiuntura
Il signor Pickwick avea posato sulla tavola il bicchiere che, durante le ultime sentenze del racconto, avea tenuto in mano; e proprio in quel punto s’era determinato a parlare – abbiamo anzi l’autorità del libro di appunti del signor Snodgrass per attestare ch’egli aveva aperta la bocca – quando il cameriere si mostrò sulla soglia, annunziando:
– Dei signori, signore.
È da congetturare che il signor Pickwick fosse in procinto di dar vita ad alcune osservazioni che avrebbero illuminato il mondo se non il Tamigi, quando così bruscamente fu interrotto; poichè egli si volse con una severa occhiata al cameriere, e poi guardò intorno a tutti come per prender conto dei nuovi venuti.
– Oh! – disse il signor Winkle alzandosi, – degli amici miei; fateli passare. Persone amabilissime, – aggiunse poi quando il cameriere fu andato via, – ufficiali del 97°, di cui ho fatto stamane la conoscenza in un modo piuttosto strano. Vi piaceranno molto.
L’equanimità del signor Pickwick rivenne subito a galla. Il cameriere tornò, e tre gentiluomini entrarono dopo di lui.
– Il luogotenente Tappleton, – disse il signor Winkle facendo le debite presentazioni – il luogotenente Tappleton, il signor Pickwick; il dottor Payne, il signor Pickwick; il signor Snodgrass lo conoscete già da stamane; il mio amico Tupman, il dottor Payne; il dottor Slammer, il signor Pickwick, il signor Tupman, il dottor Slam...
Qui il signor Winkle si fermò di botto; perchè una forte emozione era visibile sul volto così del signor Tupman, come del dottore.
– Ho già altra volta incontrato questo signore, – disse il dottore con enfasi.
– Davvero? – esclamò il signor Winkle.
– Ed anche... anche quell’individuo lì, se non m’inganno, – riprese il dottore, abbassando un’occhiata indagatrice sullo sconosciuto dall’abito verde. – Mi pare di aver fatto ieri sera a cotesto individuo un invito molto pressante, che egli trovò opportuno di declinare. – Così dicendo il dottore guardò sdegnosamente allo sconosciuto, e disse alcune parole all’orecchio del suo amico luogotenente Tappleton.
– Davvero! – disse questi quando il dottore ebbe parlato.
– Proprio, sul serio, – rispose il dottor Slammer.
– Dovete senz’altro prenderlo a calci adesso adesso, – borbottò il proprietario dello sgabello con grande importanza.
– Chetatevi, Payne, – venne su il luogotenente. – Permettete che io vi domandi, signore, – disse poi volgendosi al signor Pickwick, il quale non si raccapezzava a questa scena sconvenientissima, – permettete che io vi domandi, signore, se quell’individuo appartiene alla vostra brigata?
– No, signore, – rispose il signor Pickwick, – non è che un nostro commensale.
– È socio anch’egli del vostro Circolo? – domandò ancora il luogotenente.
– Certamente no, – rispose il signor Pickwick.
– E non porta mai l’uniforme del Circolo?
– No, mai! – rispose lo stupito signor Pickwick.
Il luogotenente Tappleton si voltò di nuovo al dottor Slammer, con una leggiera scrollatina di spalle, come per significare un suo dubbio sull’accuratezza della memoria dell’amico suo. Il piccolo dottore pareva esasperato ma confuso; e il signor Payne fissava con uno sguardo pieno di ferocia la serena fisionomia dell’inconscio signor Pickwick.
– Signore, – esclamò il dottore, volgendosi di botto al signor Tupman in un certo tono che fece trasalire questo degno uomo così visibilmente come se una mano maligna gli avesse ficcato uno spillo nel polpaccio della gamba, – siete stato al ballo quassù, ieri sera?
Il signor Tupman balbettò un debolissimo sì, senza togliere un sol momento gli occhi dal signor Pickwick.
– Quella persona lì vi accompagnava, – disse il dottore additando lo sconosciuto sempre impassibile.
Il signor Tupman ammise il fatto.
– Ora, signore, – disse il dottore allo sconosciuto, – vi domando ancora una volta, in presenza di questi signori, se vi piace darmi il vostro biglietto ed esser trattato da gentiluomo, o se volete mettermi nella necessità di castigarvi qui con le mie proprie mani?
– Un momento, signore, – disse il signor Pickwick; – davvero io non posso permettere che questa faccenda vada più oltre senza qualche spiegazione. A voi, Tupman, esponete i particolari del fatto.
Il signor Tupman, con tanta solennità apostrofato, espose il fatto in brevi parole; toccò appena dell’abito preso a prestito; si fermò non poco a far notare come la cosa fosse avvenuta dopo desinare; conchiuse con alcune parole di pentimento per conto proprio; e lasciò lo sconosciuto a sbrigarsene il meglio che potesse.
Egli era, a quanto pareva, sul punto di farlo, quando il luogotenente Tappleton, che in questo mentre l’aveva osservato con attenta curiosità, domandò con tono di grande disprezzo:
– Non vi ho già veduto a teatro, signore?
– Certamente, – rispose tranquillamente lo sconosciuto.
– È un commediante, – disse il luogotenente con disprezzo, volgendosi al dottor Slammer. – Recita nella commedia che gli ufficiali del 52° mettono su domani sera al teatro di Rochester. Non potete andare oltre in questo affare, Slammer, impossibile!
– Assolutamente! – disse il dignitoso signor Payne.
– Son dolente di avervi messo in questa disgraziata situazione, – disse il luogotenente Tappleton indirizzandosi al signor Pickwick; – permettetemi però di aggiungere che il miglior modo di evitare che si rinnovino di queste scene, è di essere più guardingo nella scelta dei vostri compagni. Buona sera, signore! – e il luogotenente voltò le spalle ed uscì dalla camera.
– E permettetemi di dirvi, signore, – disse l’irascibile dottor Payne, – che se io fossi stato nei panni di Tappleton, o in quelli di Slammer, vi avrei rotto il naso, signore, nonchè il naso di tutti quanti voi, uno per uno. Sicuro, proprio così. Mi chiamo Payne, signore; dottor Payne del 43°. Buona sera, signore.
E conchiuso così il suo discorso e pronunciate in una chiave molto alta le ultime tre parole, il dottor Payne seguì con passo maestoso le pedate del suo amico, e si tirò dietro il dottor Slammer, il quale non disse verbo, ma si contentò di annichilire la brigata con una semplice occhiata
Durante tutte queste provocazioni, uno stordimento maraviglioso ed una rabbia crescente aveano gonfiato il nobile seno del signor Pickwick sino al punto di fargli quasi scoppiare la sottoveste. Restò come inchiodato al suolo, guardando nel vuoto, e non fu richiamato a se stesso che dal rumore che fece la porta chiudendosi. Si slanciò con le furie nel viso e le fiamme negli occhi. Avea già posto la mano sulla serratura; un altro minuto, e quella stessa mano avrebbe afferrato alla gola il dottor Payne del 43°, se il signor Snodgrass trattenendo per la falda del soprabito il suo riverito condottiero non lo avesse a forza tirato indietro.
– Trattenetelo, per carità! – gridò il signor Snodgrass, – Winkle, Tupman, trattenetelo! Egli non deve mettere a repentaglio la sua nobile esistenza per una causa come questa.
– Lasciatemi! – disse il signor Pickwick.
– Tenetelo fermo! – gridò il signor Snodgrass; e mediante gli sforzi combinati di tutta la brigata, il signor Pickwick fu sprofondato in una poltrona
– Lasciatelo stare, – disse lo sconosciuto dall’abito verde. – Un sorso di ponce. Stomaco leonino, vecchio arzillo, bravo. Giù! bevanda impareggiabile.
Avendo prima assaggiato la bontà della bevanda preparata dall’uomo-cataletto, lo sconosciuto accostò il bicchiere alle labbra del signor Pickwick, e vuotò da sè in un batter d’occhio il resto del contenuto.
Vi fu una breve pausa. L’acquavite nell’acqua avea fatto il suo effetto; l’amabile fisionomia del signor Pickwick tornava a splendere dell’usata sua luce.
– Non sono degni della vostra attenzione, – disse l’uomo-cataletto.
– Avete ragione, signore, – rispose il signor Pickwick, – non ne sono degni; mi vergogno anzi di essermi lasciato trasportare dal calore dei miei sentimenti. Accostatevi alla tavola, signore.
L’uomo lugubre obbedì: di nuovo si fece circolo intorno alla tavola, e il buon accordo fu ristabilito. Un residuo d’irritazione faceva capolino di tratto in tratto negli occhi del signor Winkle, dovuto probabilmente al prestito temporaneo dell’uniforme, benchè non si possa ragionevolmente supporre che una circostanza di così poco conto avesse acceso un sentimento di sdegno, anche passeggiero, in un seno pickwickiano. Meno questa nuvoletta, il buon umore tornò a regnare, e la serata fu chiusa con la medesima cordialità con la quale era stata aperta.