In una carrozza scoperta, dalla quale, a motivo della folla erano stati staccati i cavalli, stavano in piedi un vecchio e grosso signore in soprabito turchino e bottoni di metallo, calzoni di velluto e stivali a tromba, due signorine in piume e sciarpe, un giovanotto innamorato, a quanto pareva, di una delle due signorine in piume e sciarpe, una signora d’incerta età, probabilmente zia delle medesime, e il signor Tupman, così tranquillo e disinvolto come se avesse fatto parte della famiglia dai primi momenti della sua infanzia. Dietro la carrozza era strettamente legata una canestra di vaste dimensioni – una di quelle canestre che per una vaga associazione di idee non mancano mai di destare in una mente contemplativa visioni di polli rifreddi, lingue e bottiglie di vino – e a cassetta sedeva, in uno stato di profonda sonnolenza, un ragazzo grasso e rubicondo, che un arguto osservatore avrebbe subito riconosciuto pel dispensiere ufficiale del contenuto della canestra suddetta quando il tempo opportuno per la distribuzione di quello fosse arrivato.
Il signor Pickwick avea gettato un rapido sguardo su questi oggetti interessanti, quando fu di nuovo chiamato dal fedele discepolo.
– Pickwick, Pickwick! – gridò il signor Tupman, – salite qui, salite.
– Venite, signore, montate, vi prego, – disse il signore grosso. – Joe! maledetto ragazzaccio, s’è rimesso a dormire. Joe, abbassa il predellino.
Il ragazzo grasso discese lentamente dalla sua serpe, abbassò il predellino, e si fece da lato tenendo aperto lo sportello. I signori Snodgrass e Winkle arrivavano in questo momento.
– C’è posto per tutti, signori miei, – disse il signore dagli stivaloni. – Due dentro e uno in serpe. Joe, tirati da parte per uno di questi signori. Andiamo, su! – e il grosso signore stese il braccio e tirò su a forza prima il signor Pickwick e poi il signor Snodgrass. Il signor Winkle montò in serpe, il ragazzo grasso gli si inerpicò a fianco ed immediatamente si riaddormentò.
– Or bene, signori, – riprese il vecchio signore, – contentissimo di vedervi. Forse non vi ricordate di me, ma io vi conosco benissimo. Ho passato parecchie sere al vostro Circolo l’inverno scorso. Ho colto qui stamani il signor Tupman e m’ha fatto tanto piacere di vederlo. E così, come state? Avete la faccia della buona salute, perbacco!
Il signor Pickwick espresse le sue grazie e ricambiò al vecchio signore la sua stretta di mano.
– Bravissimo! e voi, signore, come state? (volgendosi al signor Snodgrass con paterna sollecitudine) Egregiamente, eh? bravo, bravo. E voi, signore? (al signor Winkle). Benissimo, tanto piacere di sentire che state bene. Tanto tanto piacere. Le mie figlie, signori, le mie ragazze; ed ecco qua mia sorella, la signorina Rachele Wardle. È signorina e non è signorina; eh, che vi pare?
E il grosso signore, ridendo di tutto cuore, ficcò scherzosamente il gomito fra le costole del signor Pickwick.
– Via, via, fratello! – disse la signorina Wardle con un sorriso supplichevole.
– È la verità, – riprese il grosso signore, – e nessuno può negarla. Scusate, signori; vi presento il mio amico signor Trundle. Ed ora che vi conoscete tutti, stiamo allegri e senza complimenti, e vediamo che si fa adesso; ecco quel che dico io.
E il vecchio signore si mise gli occhiali, e il signor Pickwick sfoderò il suo cannocchiale, e tutti stettero in piedi nella carrozza, guardando l’uno di sopra le spalle dell’altro alle evoluzioni militari.
Mirabili evoluzioni erano queste. Una fila tirava di sopra alle teste di un’altra fila e scappava via; e poi l’altra fila tirava di sopra alle teste di un’altra fila, e scappava via alla sua volta; e poi si formavano quadrati con gli ufficiali nel centro; e poi si scendeva nelle trincee da una parte con apposite scale, e si ascendeva dall’altra parte col medesimo mezzo, e si abbattevano barricate di canestre, e la condotta generale delle truppe era delle più coraggiose che si possano immaginare. Sulle batterie i cannonieri ficcavano in enormi cannoni strofinacci immani e pestelli giganteschi, e vi era tale preparazione per caricarli e tanto fracasso quando sparavano, che l’aria intorno risuonava delle alte grida delle signore. Le signorine Wardle erano così spaventate, poverine, che il signor Trundle fu assolutamente obbligato a sostenerne una, mentre il signor Snodgrass sosteneva l’altra; e la sorella del signor Wardle fu presa da un tale attacco di nervi, che il signor Tupman riconobbe l’urgente necessità di cingerle con un braccio la vita per non farsela cadere addosso. Tutti erano eccitati, meno il ragazzo grasso, il quale se la dormiva saporitamente come se il tuonar del cannone fosse stata la sua ninnanna.
– Joe, Joe! – gridò il vecchio signore, quando la cittadella fu presa, e assedianti e assediati sedettero insieme a desinare. – Maledetto ragazzo, s’è addormentato di nuovo. Fatemi la finezza di pizzicarlo, signore; alla gamba, sapete; non c’è altro per destarlo; così, grazie. Apri la canestra, Joe.
Il ragazzo grasso, che in effetto era stato scosso dalla compressione di una parte della sua gamba fra l’indice e il pollice del signor Winkle, discese di nuovo dalla cassetta, e si mise a sciogliere la canestra con maggiore sveltezza che dalla sua prima indolenza non si potesse aspettare.
– Ora, ci dobbiamo un po’ stringere, – disse il signore grasso. E dopo molti scherzi sullo spremere delle braccia delle signore, e molti rossori alla giocosa proposta che le signore si mettessero a sedere sulle ginocchia degli uomini, tutta la brigata fu insaccata nella carrozza; e il signore grasso procedette a distribuire il contenuto della canestra, pigliandolo dalle mani del ragazzo grasso ch’era montato apposta di dietro.
– Adesso, Joe, coltelli e forchette.
I coltelli e le forchette furono distribuiti e le signore e i signori di dentro, e il signor Wardle a cassetta, furono tutti favoriti di questi utili strumenti.
– I piatti, Joe, i piatti.
E il medesimo processo fu seguito nella distribuzione delle maioliche.
– Adesso, Joe, i polli. Maledetto ragazzo, s’è addormentato da capo. Joe, Joe! – (Vari colpi sulla testa con un bastone, e il ragazzo grasso, con qualche difficoltà, si scosse dalla sua letargia). – Via, date qua i commestibili.
C’era qualche cosa nel suono di quest’ultima parola, che valse a destare completamente il ragazzo dormiglione. Balzò in piedi; e i suoi occhi imbambolati, mezzo affondati nelle guance paffute, si accesero di orrida luce fissandosi sul cibo, via via che lo tirava fuori dalla canestra.
– Su, svelto, – disse il signor Wardle, vedendo il ragazzaccio che se ne stava in muta contemplazione sopra un cappone dal quale sembrava assolutamente inabile a separarsi. Il ragazzo sospirò profondamente e, dando un’occhiata tenera a quella simpatica grassezza, lo consegnò di mala voglia al suo padrone.
– Bravo, così, e svelto. Adesso la lingua; il pasticcio. Bada al vitello e al prosciutto; occhio ai gamberi, togli l’insalata dal tovagliolo, dà qua il condimento.
Tali furono gli ordini che uscirono uno sull’altro dalla bocca del signor Wardle, mentre egli passava nella carrozza le varie vivande descritte, e metteva piatti nelle mani di tutti e sulle ginocchia di tutti, in numero infinito.
– Delizioso, eh? – domandò poi quando si dette mano all’opera di distruzione.
– Deliziosissimo! – esclamò il signor Winkle, che scalcava un pollo a cassetta.
– Un bicchiere di vino?
– Obbligatissimo, con piacere.
– Non è meglio che vi pigliate una bottiglia per voi?
– Troppo buono, grazie.
– Joe!
– Sissignore. (Non dormiva questa volta, essendo riuscito in quel punto a sottrarre un pasticcetto di vitello).
– Una bottiglia di vino al signore in serpe. Al piacere del nostro incontro, signore.
– Grazie.
Il signor Winkle vuotò il bicchiere e si posò la bottiglia accanto.
– Vorreste farmi il piacere?... – disse il signor Trundle al signor Winkle.
– Volentierissimo, – rispose il signor Winkle al signor Trundle. E trincarono insieme, e poi bevvero tutti, non escluse le signore.
– Come fa la vezzosa quella cara Emilia col signore forestiero! – bisbigliò all’orecchio del fratello Wardle la zia ragazza con vera invidia di zia ragazza.
– Oh, so di molto io! – disse il vecchio signore. – Cosa naturalissima, mi pare. Signor Pickwick, un po’ di vino?
Il signor Pickwick, immerso in una accurata investigazione delle viscere del pasticcio, non se lo fece dire la seconda volta.
– Emilia mia, – disse la zia zitella con un’aria di protezione, – non parlate così forte, cara.
– Dio buono, zia!
– La zia e il vecchietto la vorrebbero tutta per sè, – bisbigliò la signorina Isabella Wardle all’orecchio della sorella Emilia. Le due signorine risero di cuore, e la zia si sforzò di fare il viso amabile, ma non vi riuscì.
– Hanno tanta vivacità coteste ragazze! – disse la signorina Wardle al signor Tupman con tuono gentilmente pietoso, come se la vivacità fosse merce da contrabbando e il possederla senza una licenza in tutta regola fosse criminoso.
– Oh, sicuro che ne hanno! – rispose il signor Tupman, non dando quella precisa risposta che era aspettata – È un vero piacere.
– Eh, eh! – fece la signorina Wardle con una sua tosserella di dubbio.
– Permettete? – disse il signor Tupman, con la sua voce più insinuante, toccando con una mano il polso dell’incantevole Rachele, e con l’altra alzando la bottiglia. – Permettete?
– Oh, vi pare!
Il signor Tupman aveva una cert’aria molto efficace; e la signorina Rachele manifestò il suo timore che ci avessero ad essere altre scariche, nel qual caso, naturalmente, avrebbe di nuovo avuto bisogno di essere sorretta.
– Vi paiono graziose le mie care nipoti? domandò basso al signor Tupman la zia affettuosa.
– Mi parrebbero, se non fosse presente la zia, – rispose prontamente il Pickwickiano con un tenero sguardo
– Oh, cattivo! Ma davvero, se avessero la carnagione un tantino più chiara, non vi pare che sarebbero carine... al lume di candela?
– Sì, credo, – rispose il signor Tupman con aria indifferente.
– Ah, briccone! capisco quel che stavate per dire.
– Che cosa? – domandò il signor Tupman, il quale non stava veramente per dir niente.
– Stavate per dire che Isabella si curva un poco, non lo negate, via! Ebbene, sì, avete ragione; e certamente se c’è cosa che renda brutta una ragazza è questo difetto del curvarsi. Glielo dico sempre io, che quando si farà più grande, sarà orribile. Il fatto è che siete un birbone!
Il signor Tupman non aveva obbiezioni a buscarsi una riputazione a così buon mercato; sicchè fece un viso pieno d’intelligenza e sbozzò un sorriso misterioso.
– Che sorriso ironico! – esclamò la signorina Rachele; – davvero che voi mi fate una gran paura.
– Io!
– Oh, non potete nascondermi niente, sapete. Io capisco benissimo che cosa vuol dire quel sorriso.
– Che cosa? – domandò il signor Tupman, che non lo sapeva lui stesso nemmen per ombra.
– Vuol dire, – disse l’amabile zia abbassando più la voce, – vuol dire che il curvarsi d’Isabella non vi pare così brutto come la prontezza di Emilia. Così è, non c’è che dire! Non vi potete figurare che pena mi fa qualche volta; arrivo a piangerne per ore ed ore. Quel caro uomo di mio fratello è così buono, così ingenuo, non vede mai nulla; se per poco se n’accorgesse, son certa che gli farebbe tanto male. Vorrei poter pensare che si tratti della sola apparenza, lo spero proprio! – (E qui l’amorosa zia emise un profondo sospiro e crollò la testa in aria desolata).
– Scommetto che la zia parla di noi, – bisbigliò la signorina Emilia alla sorella – Ne sono sicurissima; ha l’aria così maligna!
– Credi? – disse Isabella. – Zia, zia, cara!
– Sì, amore.
– Ho tanta paura che vi pigliate un’infreddatura: mettetevi un fazzoletto di seta sulla testa; abbiatevi cura, vi prego; considerate la vostra età!
Per meritata che fosse questa rappresaglia, era certamente la più fiera vendetta che si potesse escogitare. Nè c’è da indovinare in che forma di risposta si sarebbe sfogata l’indignazione della zia, se il signor Wardle non avesse involontariamente mutato il discorso, chiamando Joe con tutta la forza dei suoi polmoni.
– Maledetto ragazzo, s’è addormentato di nuovo!
– Davvero, un ragazzo straordinario, – disse il signor Pickwick; – dorme sempre a questo modo?
– Se dorme! – esclamò il vecchio signore. – Va per una commissione e dorme, serve a tavola e dorme.
– Strano davvero!
– Altro che strano! Io sono superbo di questo ragazzo; non lo darei per tutto l’oro del mondo. Perbacco, è una curiosità, capite! Joe, via questa roba, e dà qua un’altra bottiglia Joe!
Il ragazzo grasso si scosse, aprì gli occhi, ingoiò il pezzo di pasticcio che teneva in bocca nel punto che s’era addormito, e lentamente eseguì gli ordini del padrone, contemplando con aria cupida e molle i rimasugli del banchetto nel levare i piatti e rimetterli nella canestra. La novella bottiglia fu stappata e vuotata; la canestra fu legata al posto di prima; il ragazzo rimontò in serpe, gli occhiali e il cannocchiale furono aggiustati di nuovo, e le evoluzioni militari ricominciarono. Vi fu un gran buscherio di botte col relativo spavento delle signore, e poi, con soddisfazione generale, una mina scoppiò; e scoppiata che fu la mina, i militari si ritirarono e la brigata dei nostri amici seguì l’esempio dei militari.
– Sicchè, – disse il vecchio signore, conchiudendo con una buona stretta di mano una conversazione a sbalzi fatta col signor Pickwick durante l’ultima parte delle manovre, – sicchè, badiamo, vi farete veder tutti domani.
– Senza meno, – rispose il signor Pickwick.
– Avete l’indirizzo?
– Fattoria di Dingley Dell, – lesse il signor Pickwick nel suo libro d’appunti.
– Precisamente. E non vi lascio per una settimana, sapete; e fatevi il conto che dovete vedere tutto quanto c’è da vedere. Se siete venuti qui per un po’ di vita campagnuola, ve ne darò finchè volete. Joe, maledetto ragazzo, s’è addormentato! Joe, dà una mano a Tom per attaccare i cavalli.
I cavalli furono attaccati, il cocchiere montò in serpe, il ragazzo grasso gli si appollaiò accanto, molti saluti si scambiarono, e la carrozza partì al trotto. Mentre i Pickwickiani si voltavano per darle un’ultima occhiata, i raggi del sole morente spandevano una luce rosata sui bei visi che la occupavano e cadevano in pieno sulle forme opulenti del ragazzo. Il quale aveva il mento sprofondato nel petto, e, tanto per mutare, dormiva.