III. Una nuova conoscenza – Storia del commediante – Una ingrata interruzione ed uno spiacevole incontro
Il signor Pickwick era stato in una certa apprensione per l’insolita assenza dei suoi due amici, nè aveva punto contribuito a rassicurarlo la loro misteriosa condotta di tutta la mattina. Si levò dunque con grandissimo piacere per salutarli, quando li vide entrare; e con vivo interesse s’informò della cagione che li avea tenuti lontani. In risposta alle sue domande su questo punto, il signor Snodgrass si disponeva a dare una storica relazione delle cose or ora narrate, quando s’ebbe ad arrestare di botto osservando che non solo erano presenti il signor Tupman e il compagno di viaggio del giorno innanzi, ma un altro forestiero di aspetto non meno notevole. Era un uomo che i pensieri ed i guai parevano avere invecchiato; dei lunghi capelli neri gli cadevano in disordine fino a metà del viso e faceano spiccare singolarmente degli occhi cupi ed infossati ed una faccia sparuta. Lo splendore e l’acutezza di quegli occhi erano quasi fuori del naturale; gli zigomi sporgevano; e le mascelle erano così larghe e pronunciate da far sospettare ch’egli, per una contrazione muscolare, assorbisse la carne dalle guance, se la bocca semiaperta e l’espressione impassibile non avessero dimostrato esser quello il suo aspetto ordinario. Portava attorno al collo una gran cravatta verde, le cui larghe estremità gli pendevano sul petto, e che si mostrava ad intervalli di sotto agli occhielli logori della sottoveste. Un lungo soprabito nero lo copriva; e di sotto un par di calzoni larghi di fustagno e delle grosse scarpe decrepite.
Su questa persona dallo strano aspetto l’occhio del signor Winkle si fermò, e il signor Pickwick fu pronto a presentarla, dicendo:
– Un amico del nostro amico qui. Abbiamo scoperto stamane che il nostro amico avea relazioni col teatro di qua, benchè non gli piaccia di farlo sapere a molti, e questo signore appartiene appunto all’arte drammatica. Egli si apparecchiava a favorirci un aneddoto di palcoscenico, quando voi siete entrato.
– Quanti ne volete degli aneddoti, – disse lo sconosciuto del giorno innanzi, avvicinandosi al signor Winkle, e parlando in tono basso e confidenziale. – Un bel tipo, fa le fatiche più grosse, non è attore, uomo strano, ogni sorta di disgrazie, Jemmy faccia da cataletto, così lo chiamano nell’arte.
Il signor Winkle e ll signor Snodgrass s’inchinarono cortesemente a questo signor Jemmy, e ordinato del ponce, ad imitazione del resto della compagnia, presero i loro posti intorno alla tavola.
– Ed ora, signore, – disse il signor Pickwick, – volete favorirmi il racconto ch’eravate sul punto di incominciare?
Il lugubre personaggio tirò fuori dalla tasca un rotolo molto sudicio di carta, e volgendosi al signor Snodgrass, che avea già posto mano al suo libro degli appunti, domandò con voce cupa, perfettamente consona all’aspetto:
– Siete voi il poeta?
– Ma.... così, scrivo qualche cosuccia, – rispose il signor Snodgrass, piuttosto imbarazzato da quella domanda direttagli a bruciapelo.
– Ah! la poesia è per la vita quel che sono i lumi o la musica per la scena. Strappate a questa i suoi falsi ornamenti ed all’altra le sue illusioni, e fatemi la finezza di dirmi quel che ci resta di reale e che ci possa premere.
– Verissimo, signore, – rispose il signor Snodgrass.
– Stare di qua dalla ribalta, – riprese a dire l’uomo lugubre, – è come lo stare a sedere ad una solennità di corte, ammirando le vesti di seta e la folla gaudente e sfarzosa; stare al di là, sulle scene, significa essere la gente che fabbrica quella vistosa ricchezza, gente sconosciuta e non curata, e lasciata a se stessa perchè nuoti od affoghi, viva o muoia di fame, al beneplacito della fortuna.
– Certamente, – disse il signor Snodgrass, il quale sentiva la necessità di dir qualche cosa, visto che l’occhio infossato di quel singolare individuo si fissava specialmente sopra di lui.
– Avanti, Jemmy, – disse il viaggiatore spagnuolo, niente brontolii, parla forte, svelto, silenzio.
– Volete prendere un altro bicchiere, prima d’incominciare? – chiese il signor Pickwick.
L’uomo-cataletto non si mostrò sordo all’invito, e dopo aver lentamente vuotato metà del suo bicchiere, svolse il rotolo di carta sudicia e un po’ leggendo, un po’ narrando, prese ad esporre il seguente incidente, che noi troviamo registrato negli Atti del Circolo sotto il titolo di Storia del commediante.
Storia del commediante
“Non c’è nulla di meraviglioso nel racconto che vi farò – disse l’uomo lugubre; – e nemmeno di straordinario. La miseria e le malattie son cose tanto comuni, in molte classi sociali, che non possono meritare maggior attenzione che non si soglia dare a’ casi quotidiani della vita umana. Ho buttato giù queste noterelle, poichè per molti anni ne ho conosciuto il protagonista. L’ho seguito passo passo nella sua discesa nell’abisso sino al punto in cui cadde nel primo stadio della miseria, dalla quale non si sollevò più mai.
“Quest’uomo adunque era un mimo, e, come tutte le genti di tal razza, un ubbriacone inveterato. Ne’ bei giorni della sua vita, prima che il vizio e i malanni lo avessero indebolito, riscuoteva un buon salario; e se fosse vissuto con ordine e prudenza, avrebbe potuto serbarlo ancora per qualche anno; per qualche anno soltanto, poichè questa sorta di gente muoiono per tempo, o perdono almeno di buon’ora la forza fisica di cui abusano e che è l’unico merito loro. Egli si lasciò abbrutire così presto che fu impossibile di servirsene nelle parti in cui era veramente utile nel teatro. La taverna aveva per lui un’attrattiva alla quale non sapeva resistere. Le malattie e la povertà lo attendevano certamente con la morte, se avesse continuato in cotesta vita; e tuttavia egli andò avanti sempre allo stesso modo, e si può capire quel che ne seguì. Non trovò scritture e mancò di pane.
“Chiunque è un po’ addentro nelle faccende teatrali sa qual nuvolo di cenciosi, di miserabili s’aggiri intorno ad un palcoscenico. Non sono attori regolarmente scritturati, ma comparse, giocolieri, pagliacci, e via dicendo, che si pigliano come a nolo in una pantomima o per una scena orientale, e poi son mandati via, fino a che qualche altro dramma spettacoloso non renda utili di nuovo i loro servigi.
“A questa vitaccia s’avea dovuto dare il nostro uomo, e così, pigliando il suo posto tutte le sere in una di coteste baracche, si buscò un po’ di spiccioli da potere alimentare le sue antiche inclinazioni. Ma anche questa risorsa gli venne subito meno. Le sue sregolatezze erano troppo frequenti, sicchè gli tolsero quel magro boccone ch’ei riusciva a strappare seralmente, e lo ridussero alla estrema miseria. Solo di tanto in tanto qualche suo compagno s’induceva a fargli un prestito da nulla, o qualche infimo teatro trovava d’occuparlo alla meno peggio. Tanto per mutare, anche questi guadagni erano spesi come una volta.
“Verso questo tempo, quando già egli avea vissuto per più d’un anno senza che si sapesse di che cosa, lo incontrai sulle scene di uno dei teatrini di là dal Tamigi, pel quale io aveva una piccola scrittura. Da parecchio tempo lo avevo perduto di vista, perchè io aveva fatto un giro per le provincie, ed egli era andato bighellonando pei trivi di Londra. Mi ero già vestito per andar via e traversavo appunto la scena, quando mi sentii picchiar sulla spalla. Non dimenticherò mai il senso di ripulsione che mi produsse la sua presenza. Era vestito da pagliaccio per la pantomima. Gli spettri della Danza dei Morti, le più spaventose figure che un abile pennello abbia mai tracciate sulla tela, erano nulla a petto a lui. Il corpo scheletrito e le gambe malferme, che la vistosità del costume facea spiccare singolarmente, gli occhi vitrei che orrendamente contrastavano con lo strato di bianco di cui la faccia era spalmata; la testa adornata di fronzoli, tremante per paralisi; le lunghe mani ossute tinte di calce; – tutto gli dava un aspetto ributtante, eccezionale, di cui nessuna descrizione potrebbe dare una giusta idea, o che anche adesso mi mette i brividi al solo pensarci. Avea la voce cupa e tremula. Mi tirò in disparte, e con parole tronche mi contò una serie interminabile di malanni e di privazioni, chiusa, come al solito, dalla urgente domanda che gli prestassi qualche cosa. Gli posi pochi spiccioli in mano, e nell’uscire che fece dal teatro, udii lo scoppio di risa che accoglieva il suo primo capitombolo sulla scena.
“Poche sere appresso, un ragazzo mi pose in mano un sudicio pezzetto di carta, sul quale erano scribacchiate poche parole con la matita, le quali dicevano che il mio uomo stava assai male, e mi pregava che dopo la recita andassi da lui, non mi ricordo più in che via, non molto distante dal teatro. Dissi che sarei andato, non appena sbrigato; e, calato che fu il sipario, mi avviai.
“Era tardi, perchè avevo recitato nell’ultima commedia e siccome era stata una serata a beneficio, lo spettacolo s’era protratto più del solito. Era una notte scura e fredda, con un vento umido e sottile che spingeva la pioggia contro i vetri delle finestre. In quei vicoli angusti e poco frequentati s’erano formate molte pozzanghere; e siccome molti di quei meschini lampioni ad olio erano stati spenti dalla violenza del vento, la passeggiata era non solo poco piacevole, ma anche pericolosa. Per buona sorte, avevo imbroccato la via, e dopo poca difficoltà riuscii a trovar la casa che mi era stata indicata – un deposito di carbon fossile, con sopra un sol piano, dove in una cameretta giaceva l’oggetto delle mie ricerche.
“Una donna dall’aspetto miserabile, la moglie del commediante, mi ricevette sulle scale, mi disse ch’egli s’era appena assopito, ed avendomi introdotto pian pianino, mi fece sedere su una sedia presso al suo letto. Egli aveva la testa volta contro il muro, e siccome non s’accorse lì per lì della mia presenza, ebbi tempo di osservare il luogo ove mi trovava.
“L’infermo giaceva sopra due poveri scanni. Dei lembi laceri di una vecchia tenda erano sospesi a capo del letto, come un riparo dal vento, il quale nondimeno entrava d’ogni parte in quella camera desolata, e ad ogni istante agitava la pesante cortina. Sur una graticola arrugginita e sconnessa bruciava lentamente della polvere di carbon fossile. Accanto, sur una vecchia tavola a tre piedi, v’erano parecchie boccette; uno specchio rotto e qualche altro utensile. Un fanciullo dormiva sopra un materasso steso per terra, e la madre gli sedeva accanto. Alcuni piatti, qualche tazza e certe scodelle ingombravano una coppia di scansie; di sopra erano appiccati de’ fioretti con un paio di scarpe da teatro, e questi oggetti componevano il solo mobilio della stanza, senza contare tre fagottini di cenci gettati a casaccio in un canto.
“Mentre ch’io considerava questa scena di desolazione, e notava la respirazione stentata e i febbrili soprassalti del miserabile commediante, egli si voltava e rivoltava senza posa per trovare una positura men dolorosa. Una delle sue mani uscì dal letto e mi toccò; egli trasalì e mi guardò con occhi truci.
“– John, – gli disse la moglie, – è il signor Hutley che avete fatto chiamare stasera, vi ricordate?
“– Ah! – diss’egli passandosi la mano sulla fronte: è Hutley! Hutley! vediamo.
“Per qualche secondo parve sforzarsi di riunir le idee; poi, afferrandomi per le mani, esclamò:
“– Oh, non mi lasciate, amico mio! Ella mi assassinerà! Ne son certo.
“– È da molto tempo in questo stato? – domandai a quella donna, che piangeva.
“– Da ieri sera, signore. John, John, non mi riconoscete più?
“Dicendo queste parole, si chinava sul letto, ma egli gridò con un impeto di paura:
“– Non la lasciate avvicinare! Respingetela! Non posso vedermela accanto!
“Così parlando, la guardava con occhi smarriti e colmi di mortale avversione, poi mi disse all’orecchio:
“– Io l’ho battuta, Jem. Io l’ho battuta ieri ed altre volte ancora! Ora che son debole e senz’aiuto, ella m’ucciderà; così farà, questo è certo. Se come me e tanto spesso l’aveste intesa gemere e gridare, voi non ne dubitereste. Allontanatela!
Abbandonò la mia mano, e ricadde sul cuscino.
“Io comprendeva bene di che si trattava. Se avessi potuto dubitare un solo minuto, mi sarebbe bastato, per comprenderlo, un colpo d’occhio gettato sul pallido viso, sulle forme stecchite della povera moglie.
“– Fareste meglio a celarvi in disparte, – dissi all’infelice. – Voi non potete fargli del bene; forse sarà più calmo, se non vi vede.
“Ella si pose in un punto da non esser vista.
“In capo a qualche secondo, egli aperse gli occhi e si guardò intorno ansiosamente, domandando:
“– Se n’è andata?
“– Sì, sì, – gli dissi, – non vi farà male.
“– Vi dirò di che si tratta, – riprese egli con voce rauca. – Ella mi fa male! V’è qualche cosa negli occhi di lei che mi empie il cuore di paura e mi rende pazzo. Tutta la notte passata i suoi occhioni fissi e il suo pallido viso mi sono stati d’innanzi. Io mi volgeva e lei pure. Quando mi svegliavo d’un tratto, ella era là, vicina al mio letto e mi guardava.