– Naturalmente, – disse il signor Wardle, – fra i nostri amici noi comprendiamo il signor... – e guardò al forestiero.
– Jingle, – suggerì subito questi pigliando la palla al balzo. – Jingle, Alfredo Jingle di Casapersa...
– Col massimo piacere, – disse il signor Pickwick.
– Ed anch’io, – disse il signor Alfredo Jingle, mettendosi da una parte a braccetto del signor Pickwick, dall’altra del signor Wardle, e susurrando in tutta confidenza all’orecchio del primo:
– Pranzo squisito – freddo ma eccellente – una mezza occhiata stamane in cucina – polli, pasticci, ogni sorta di cose – buoni ragazzi questi qui – persone per bene – sicuro.
Non essendovi altri preliminari da aggiustare, la brigata si sparse per la città in piccoli gruppi di due a tre; e di là ad un quarto d’ora tutti si trovavano seduti nella gran sala dell’albergo del Leone turchino. Il signor Dumkins assunse il seggio presidenziale, e il signor Luffey l’ufficio di vicepresidente.
Vi fu un alto chiacchierio, un grande acciottolio di scodelle e un frastuono corrispondente di coltelli e forchette; un continuo affaccendarsi di tre massicci camerieri ed una rapida sparizione delle vivande più o meno sostanziose; al quale movimento clamoroso e imbrogliato il faceto signor Jingle contribuiva dal canto suo come una mezza dozzina di uomini ordinarii. Quando ciascuno ebbe mangiato quel più che poteva, si levò la tovaglia e si portarono in tavola frutta, bottiglie e bicchieri; e i camerieri sparecchiarono, o in altri termini si ritirarono per appropriarsi definitivamente tutti quegli avanzi di vivande e bevande sui quali potevano giungere a metter le mani.
In mezzo al brio generale e alle conversazioni, vi era un omicciattolo con una sua cera di Non-mi-dite-niente-o-vi-contraddico, il quale se ne stava tranquillissimo, girando di tratto in tratto un’occhiata attorno quando la conversazione languiva, come se deliberasse dentro di sè di dire qualche cosa di molto massiccio, e rompendo ad ogni poco in una tosserella d’inesprimibile gravità. Finalmente, in un momento di relativo silenzio, l’omicciattolo gridò con voce altissima e solenne:
– Signor Luffey!
Tutti si chetarono e si chiusero nel più profondo silenzio, quando la persona così apostrofata rispose:
– Signore!
– Bramo, signore, indirizzarvi poche parole, se volete pregare questi signori di empire i loro bicchieri.
Il signor Jingle con aria di protezione ordinò: udite, udite! grido che fu ripetuto dagli altri commensali. Riempiti i bicchieri, il vicepresidente assunse una cera intelligente e di viva attenzione, e disse:
– La parola è al signor Staple!
– Signore, – prese a dire l’omicciattolo, alzandosi, – desidero rivolgere a voi le cose che ho da dire, non già al nostro degno presidente, perchè il nostro degno presidente forma in qualche modo, e potrei anzi dire in gran parte, il soggetto di quanto ho da dire e potrei anzi dire da... da...
– Provare, – suggerì il signor Jingle.
– Precisamente, da provare, – riprese l’omicciattolo; ringrazio il mio onorevole amico, se egli mi perrnette di dargli questo nome (quattro udite, uno dei quali veniva certo dal signor Jingle), pel cortese suggerimento. Signore, io sono un Dellese, un Dingley-Dellese (applausi). Io non posso menomamente vantare alcun titolo all’onore di appartenere alla cittadinanza di Muggleton; nè, lasciate, signore, ch’io lo dica aperto, nè quest’onore lo ambisco; e vi dirò il perchè, signore (udite). Molto volentieri io riconosco a Muggleton tutti quegli onori e quei titoli che di pieno diritto le toccano; sono in troppo numero e troppo notorii perchè sia mestieri ch’io li faccia valere o li compendii. Ma mentre, o signore, noi ricordiamo che Muggleton ha dato i natali a Dumkins e a Podder, non dimentichiamo che Dingley Dell può andar superba di un Luffey e di uno Struggles (Grandi acclamazioni). Non vorrei si pensasse ch’io voglia in alcun modo scemar la fama ed i meriti di quei primi. Io, signore, invidio loro in questa occasione la ricchezza dei loro sentimenti (Applausi). Tutti i componenti questa nobile assemblea non ignorano certo la risposta data da un grand’uomo, il quale faceva sua casa di una botte, all’imperatore Alessandro: “Se non fossi Diogene” disse quell’uomo “vorrei essere Alessandro”. Io posso ben pensare che questi signori dicano anch’essi: “Se non fossi Dumkins vorrei essere Luffey; se non fossi Podder vorrei essere Struggles!” (Entusiasmo). Ma, signori di Muggleton, è forse soltanto pel giuoco delle boccie che i vostri concittadini vanno famosi? Non avete mai udito accoppiare il nome di Dumkins col coraggio? non avete mai imparato ad unire il nome di Podder con la proprietà? (Grandi applausi). Non siete mai stati ridotti, sia pure per un momento, quando avete lottato pei vostri diritti, per le vostre libertà, pei vostri privilegi, non siete stati, dico, ridotti all’abbattimento o alla disperazione? E, quando tanta iattura vi ha stretti, non è stato forse il nome di Dumkins che vi ha riacceso nel seno le fiamme che s’erano spente; e non è forse bastata una sola parola di lui a farle brillare di più splendida luce? (Applausi fragorosi). Signori, io v’invito ad acclamare con un grido di evviva i nomi congiunti in un solo di Dumkins e Podder!”
Qui tacque l’omicciattolo, e la brigata scoppiò in un vocìo e in un frastuono di pugni sulla tavola, che durò con brevi soste per tutto il resto della serata. Altri brindisi furono portati. Il signor Luffey e il signor Struggles, il signor Pickwick e il signor Jingle furono, ciascuno alla sua volta, argomento di sperticati elogi; e ciascuno rese per quell’onore le maggiori azioni di grazie.
Entusiasti come siamo della nobile causa alla quale ci siamo dedicati, avremmo ora provato un sentimento d’ineffabile orgoglio e la coscienza di aver meritata quella immortalità della quale siamo privi, se avessimo potuto porre almeno un abbozzo di questi brindisi e discorsi sotto gli occhi dei nostri avidi lettori. Il signor Snodgrass, come al solito, prese un gran numero di note, dalle quali avremmo potuto attingere le più utili ed autorevoli informazioni, se la calda eloquenza delle parole o l’influenza febbrile del vino non avesse fatta così malferma la mano del nostro amico, da rendere quasi inintelligibile il suo carattere e senza quasi il suo stile. A furia di pazienti investigazioni, siamo nondimeno riusciti a decifrare alcuni caratteri che hanno una pallida rassomiglianza coi nomi degli oratori; ed arriviamo anche a discernere la trascrizione di una canzone (cantata probabilmente dal signor Jingle), nella quale le parole nappi scintillanti, rubino, brillanti e vino sono ripetute a brevi intervalli. Ci pare anche di poter decifrare proprio in coda alle note, qualche indistinta allusione a polli arrosto; e poi le parole rifreddo e senza vengono appresso; ma poichè qualunque ipotesi potessimo fondarvi sopra non potrebbe avere che un valore puramente congetturale, non ci sentiamo disposti ad abbandonarci ad alcuna delle considerazioni cui esse darebbero origine.
Torneremo dunque al signor Tupman; aggiungendo soltanto che, pochi minuti prima della mezzanotte, l’assemblea degli eletti di Dingley Dell e di Muggleton fu udita cantare con grande enfasi e passione la bella e patetica aria nazionale:
Non si va a casa prima di giorno,
Se prima il giorno non fa ritorno;
Se non si vede spuntare il giorno
Non si ritorna a casa un corno.