VII. In che modo il signor Winkle, invece di tirare al piccione e di uccidere la cornacchia, tirò alla cornacchia e ferì il piccione. Come Dingley Dell se la vide con Muggleton e come Muggleton mangiò a spese di Dingley Dell; con altre materie istruttive ed interessanti.
Le faticose avventure della giornata, o anche l’azione soporifera del racconto del prete, potettero tanto sulle disposizioni poco vigili del signor Pickwick, che, in meno di cinque minuti dopo essere stato menato nella sua comoda camera da letto, egli cadde in un sonno profondo e senza sogni, dal quale lo destarono i raggi del sole mattutino i quali dovettero montare fin sul letto come per rimproverarlo. Il signor Pickwick non era mica un poltrone, sicchè balzò subito come un bellicoso guerriero fuori della sua tenda... di lenzuola.
– Bel paese, bel paese! – esclamò con un sospiro entusiastico aprendo la persiana. – E chi potrebbe più vivere per aver sott’occhio giorno per giorno tetti e lavagne, dopo avere una volta sola sentito l’influenza di una scena come questa? chi potrebbe sopportare l’esistenza in un paese dove non ci fossero altre vacche che quelle dipinte sui boccali; nè altro grano che quello ammontato nei granai; nè altro segno della presenza del dio Pane che i panini e le ciambelle? Chi potrebbe consentire a vivere la sua vita in un tal luogo? chi, domando io?
E avendo così interrogato la solitudine, com’è costume di tutti i grandi uomini in simili congiunture, il signor Pickwick pose il capo fuori della finestra e girò un’occhiata all’intorno.
Si elevava fino all’altezza della finestra la fragranza acre dei covoni di fieno; i cento profumi del giardino sottostante impregnavano l’aria; i prati verdeggianti s’ingemmavano di rugiada e una gemma tremolava alle foglie degli alberi appena crollate dal vento; e gli uccelli cantavano come se su ciascuna di quelle gemme attingessero l’ispirazione al loro canto. Il signor Pickwick si sprofondò in una dolce ed appassionata meditazione.
– Ohè! – si sentì ad un tratto suonare all’orecchio.
Guardò a destra, e non vide nessuno; volse gli occhi a sinistra e poi gli spinse avanti nella prospettiva; gli spalancò verso il cielo, ma lassù non s’aveva bisogno di lui; e allora egli fece quel che una persona volgare avrebbe fatto alla prima, – guardò nel giardino e riconobbe il signor Wardle.
– Come si va? – domandò l’allegro signore, cui già il piacere che si apparecchiava a godere mozzava il fiato. – Bella giornata, eh? Piacere di vedervi così presto in piedi. Via, scendete, alla svelta. Vi aspetto qui.
Il signor Pickwick non se lo fece dire due volte. Dieci minuti gli bastarono per dare un’ultima mano alla sua toilette, e allo spirar di quelli si trovò al fianco del suo ospite.
– Ohè! – esclamò alla sua volta il signor Pickwick, vedendo che il suo compagno era armato di schioppo, e che un altro schioppo stava coricato sull’erba. – Che si fa qui?
– Il vostro amico ed io, – rispose il signor Wardle, – si va un po’ attorno prima della colazione per tirare alle cornacchie. È un buon tiratore, eh?
– Così gli ho inteso dire, – rispose il signor Pickwick, – ma non l’ho mai visto tirare a niente.
– Bene, almeno venisse subito. Joe! – Joe!
Il ragazzo grasso, il quale sotto l’azione eccitante del mattino non pareva addormentato che per tre quarti e una frazione, emerse dalla casa.
– Va su a chiamare quel signore, e digli che ci troverà nel boschetto, me e il signor Pickwick. Accompagnalo fin qui, hai inteso?
Il ragazzo si mosse per eseguire la sua commissione; e il signor Wardle, portando i due fucili come un novello Robinson Crusoe, si avviò fuori del giardino.
– Questo qui è il posto, – disse poi, fermandosi in un viale dopo pochi minuti di cammino.
L’avvertimento era inutile, poichè l’assiduo gracchiare delle inconscie cornacchie indicava sufficientemente il loro domicilio.
Il signor Wardle posò un fucile per terra e caricò l’altro.
– Eccoli qua – disse il signor Pickwick; ed apparvero in effetto nella lontananza le forme dei signori Tupman, Snodgrass e Winkle. Il ragazzo grasso, non essendo ben sicuro quale di quei signori dovesse chiamare, avea pensato con singolare acume e per evitare ogni sorta di equivoci, di chiamarli tutti.
– Venite, venite! – gridò il vecchio signore al signor Winkle; – un bravo tiratore della vostra fatta avrebbe dovuto essere in piedi da un pezzo, anche per una misera caccia come questa qui.
Il signor Winkle rispose con un sorriso forzato, e prese il fucile che stava a terra con una espressione come avrebbe potuto essere quella di una filosofica cornacchia, impressionata dal triste presentimento di una morte violenta. Poteva bene essere astuzia, ma rassomigliava molto alla perplessità.
Il signor Wardle fece un cenno del capo; e due monelli laceri, che aveano seguita fino a quel posto la brigata, incominciarono subito ad arrampicarsi sopra due di quegli alberi.
– Che fanno mo quei ragazzacci? – domandò il signor Pickwick. Una certa paura lo prendeva; imperocchè egli non era ben certo che la disgraziata condizione agricola, intorno alla quale tante cose aveva inteso a dire, non avesse spinto i ragazzi dei contadini a buscarsi una sussistenza precaria e pericolosa offrendo se stessi a bersaglio dei cacciatori inesperti.
– Servono per levare la caccia, – rispose ridendo il signor Wardle.
– Per levare...?
– Via, per spaventare le cornacchie.
– Ah! questo è tutto?
– Siete soddisfatto?
– Perfettamente.
– Benissimo. Volete che incominci?
– Se vi piace, – disse il signor Winkle, lietissimo di qualunque dilazione.
– Tiratevi da parte. A noi!
Uno dei ragazzi gridò e scosse un ramo che aveva un nido attaccato. Una mezza dozzina di cornacchini in animato chiaccherio sbucarono per domandare di che si trattasse. Il vecchio signore per tutta risposta fece fuoco. Un uccello cadde e il resto volò via.
– Raccattalo, Joe, – disse il signor Wardle.
Il ragazzo si avanzò e un’ombra di sorriso gli sfiorò la faccia. Visioni indistinte di pasticci di cornacchie si disegnarono nella sua pigra immaginazione. Preso che ebbe l’uccello, rise a dirittura. Era grasso.
– Ora a voi signor Winkle, – disse l’ospite, tornando a caricare lo schioppo. – Fate fuoco.
Il signor Winkle si avanzò e spianò il fucile. Il signor Pickwick e i suoi amici involontariamente si fecero da parte e si rannicchiarono, per paura di quella pericolosa caduta di cornacchie, che senza dubbio sarebbe stata occasionata dalla canna micidiale del loro amico.
Vi fu una pausa solenne – un grido – uno sbatter d’ali – un colpettino secco.
– Ohè! – fece il vecchio signore.
– Non va? – domandò il signor Pickwick.
– Non ha preso fuoco, – disse il signor Winkle, il quale, a motivo forse del disappunto, era pallidissimo.
– È strano, – disse il vecchio signor Wardle prendendo il fucile. – Non me l’hanno mai fatta. Ma perbacco! non ci vedo segno di capsula.
– Per l’anima mia! – esclamò il signor Winkle, – mi sono scordato della capsula.
Fu riparato alla leggiera omissione. Il signor Pickwick tornò ad accoccolarsi. Il signor Winkle si avanzò con aria risoluta; e il signor Tupman sporse il capo di dietro ad un albero. Il ragazzo gridò: quattro uccelli volarono, il signor Winkle fece fuoco. Si udì uno strido angoscioso che parve di uomo, non di cornacchia. Il signor Tupman avea salvata la vita ad un numero infinito d’innocui uccelletti, ricevendo nel braccio sinistro una porzione della carica.
Sarebbe impossibile descrivere la confusione che ne seguì. Dire come il signor Pickwick nella prima sua furia chiamasse il signor Winkle: – Sciagurato! – come il signor Tupman giacesse disteso al suolo, col signor Winkle, livido di terrore, inginocchiato al suo fianco; – come il signor Tupman invocasse nel suo delirio un nome di donna, e poi aprisse un occhio, e poi l’altro, e poi ricadesse supino e li chiudesse tutti e due; – tutto ciò non si potrebbe riferire parte a parte, come del pari sarebbe impossibile descrivere acconciamente in che modo l’infelice s’andò ripigliando, come gli fu fasciato il braccio coi fazzoletti da naso, e come finalmente fu portato a casa passo passo sulle braccia pietose degli amici suoi.
Le signore stavano aspettando sulla porta del giardino l’arrivo dei cacciatori e l’ora della colazione. La zia ragazza comparve; sbozzò un suo sorriso e fece loro cenno che studiassero il passo. Si capiva subito che non sapeva nulla del disastro. Poverina! Tante volte l’ignoranza è una vera benedizione del cielo.
– Che cosa è? – esclamò, quando furono più vicini, Isabella Wardle. – Che ha il povero vecchietto?
La zia ragazza non fece caso della malignità della nipote, o pensò che si trattasse del signor Pickwick. Agli occhi di lei Tracy Tupman era un giovanotto; ella guardava agli anni di quel caro uomo attraverso ad un cannocchiale rovesciato.
– Non vi spaventate, – gridò il vecchio ospite per rassicurare le figliuole.
La piccola brigata s’era così stretta intorno al signor Tupman che non si poteva ancora ben discernere la natura dell’accidente.
– Non vi spaventate, – ripetette il signor Wardle.
– Che c’è, che c’è? – gridarono le signore.
– Il signor Tupman s’e fatto un po’ male; non c’è altro che questo.
La zia ragazza mise un acutissimo grido, diè in uno scoppio di risa isteriche, e cadde fra le braccia delle due nipoti.
– Gettatele dell’acqua fredda sulla faccia, – disse il signor Wardle.
– No, no, – bisbigliò la zia ragazza; – mi sento meglio adesso. Emilia, Bella, un chirurgo! È ferito? È morto? È... ah, ah, ah! – E qui la zia ragazza diè in uno scoppio numero due di risa isteriche, variate da qualche strillo.
– Calmatevi, – pregò il signor Tupman, commosso fino alle lagrime da tanta simpatia per le sue sofferenze. – Cara, cara signora, calmatevi.
– È la sua voce! – esclamò la zia ragazza; e forti sintomi di uno scoppio numero tre si svilupparono immediatamente.
– Non vi agitate, ve ne prego, cara signora, – disse con tenera voce il signor Tupman. – È una cosa da nulla, ve lo giuro.
– Dunque non siete morto! – esclamò l’isterica signora. – Oh, ditemi che non siete morto!
– Non fate la sciocca, Rachele, – venne su il signor Wardle con una certa durezza che s’accordava poco al carattere poetico della scena. – Che diavolo significa ch’egli dica di non esser morto?
– No, no, non lo sono, – rispose il signor Tupman. – Non ho bisogno di altro aiuto che del vostro. Lasciate che mi appoggi al vostro braccio, – aggiunse poi in un bisbiglio, – oh, signorina Rachele!
L’agitata donna si avanzò ed offrì il suo braccio. Entrarono nella sala da pranzo. Il signor Tracy Tupman impresse dolcemente le labbra sulla mano di lei e cadde a sedere sul canapè.
– Vi sentite debole? – domandò l’ansiosa Rachele.
– No, non è niente. Starò meglio di qui a poco.
E chiuse gli occhi.
– Dorme, – mormorò la zia ragazza. (Gli organi visuali del ferito erano chiusi da circa venti secondi). – Caro, caro signor Tupman!
Il signor Tupman si rizzò di scatto, esclamando:
– Oh, ripetete quelle parole, ripetetele!
La signora trasalì.
– Voi non le avete udite, no! – disse arrossendo.
– Oh sì, le ho udite! – rispose il signor Tupman. – Ripetetele. Se vi preme la mia guarigione, ripetetele.
– Zitto, per carità! Mio fratello.
Il signor Tracy Tupman riprese la sua prima posizione; e il signor Wardle, accompagnato da un chirurgo entrò nella camera.
Il braccio fu esaminato, la ferita fasciata e giudicata di pochissimo conto; e così, sollevati gli animi di tutti, si pensò, con la gioia ch’era tornata su tutti i volti, di sollevare gli stomachi. Il solo signor Pickwick se ne stava serio e silenzioso. Il dubbio e la diffidenza gli si leggevano in viso. La sua fiducia nel signor Winkle avea ricevuto una scossa – una fiera scossa – da quanto era accaduto in quella mattina.
– Siete un buon giocatore di cricket? – domandò il signor Wardle al disgraziato cacciatore.
In qualunque altra occasione, il signor Winkle avrebbe risposto affermativamente. Ma sentì questa volta la delicatezza della sua posizione e modestamente rispose di no.
– E voi, signore? – domandò il signor Snodgrass.
– Una volta lo era, – rispose l’ospite; – ma oramai ci ho rinunziato. Appartengo al Circolo di qua, ma non piglio parte al giuoco.
– Credo che oggi appunto abbia luogo la grande sfida, – disse il signor Pickwick.
– Precisamente. Avreste piacere di assistervi, mi figuro.
– Io, signore, – rispose il signor Pickwick, – assisto con soddisfazione ad ogni sorta di esercizii che non siano pericolosi, e nei quali la poca capacità di certa gente non metta a repentaglio la vita umana.
Il signor Pickwick tacque e dardeggiò una occhiata severa sul signor Winkle, che se ne sentì accapponar la pelle. Il grand’uomo, dopo alquanti minuti, volse gli occhi in altra parte, ed aggiunse:
– È prudenza lasciare il nostro amico ferito alle cure delle signore?