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Non c’era un confine netto tre le Terre del Sole e le Terre Oscure. Il clima diventava freddo e nebbioso, il sentiero sprofondava in una sorta di palude, gli alberi diventavano progressivamente più secchi e contorti. Poi, dopo varie miglia di terreno disagevole, il sentiero risaliva sulla terra ferma e attraverso la nebbia si percepiva chiaramente che era notte.
Il sole non sorgeva mai, sulle Terre Oscure. Quelle lande e i suoi abitanti erano maledetti da otto secoli. La paura strisciante che April aveva provato nell’attraversare le paludi nebbiose si trasformò in panico. Quando si era inoltrata tra gli alberi contorti era la tarda mattinata. Potevano essere passate due ore al massimo, ed era riemersa a notte fonda.
Una cosa era sapere qualcosa, un’altra era viverla.
La prima reazione fu di terrore, sì.
Ma poi, lentamente, i suoi occhi si abituarono al buio e vide che non c’era nulla di particolarmente spaventoso. Sopra di lei il cielo brillava di stelle, davanti a lei il sentiero si snodava tra una campagna brulla e ondulata. Sebbene fossero i primi giorni di maggio, l’aria era fredda, invernale, gli alberi spogli, il terreno nudo.
Poi, pian piano, il paesaggio cambiava di nuovo.
La campagna si faceva meno arida, ordinatamente produttiva. I campi erano fiancheggiati da bracieri fiammeggianti che provvedevano all’illuminazione, le colture erano pallide, con foglie e frutti chiari, quasi bianchi, e ogni pianta sembrava essere curata con attenzione dai contadini.
Ad April era stato detto che ogni specie vegetale delle Terre Oscure nasceva e cresceva grazie alla magia. Ogni anno, al momento della semina, il Principe della Notte si svuotava di ogni energia per far germogliare i semi. Poi, nei mesi successivi, i Maghi Neri mantenevano le piante in vita con periodiche iniezioni di magia, mentre il principe si rimetteva.
April non sapeva se fosse vero, tuttavia ne dubitava. Hendrich poteva essere il consigliere del suo re, un uomo saggio e un praticante di magia dall’indubbio talento, tuttavia April pensava delle Terre Oscure quello che pensavano tutti: ovvero che si reggessero sulla magia nera.
Un antico re aveva fatto un patto con qualche divinità maligna per ottenere il trono e da allora le sue terre giacevano nelle Tenebre. Così era stato durante i regni di ogni re, da ottocento anni a quella parte. Per questo gli abitanti delle Terre del Sole si tenevano alla larga dal confine tra i due regni: in uno governava la Natura, nell’altro no. Non c’era nulla di naturale nella notte eterna che avvolgeva le Terre Oscure.
Peggio ancora, si diceva che gli abitanti del regno notturno approfittassero delle ore di buio delle Terre del Sole per entrare non visti e bere il sangue del bestiame e dei lattanti. Ogni fattoria sul confine aveva cani grossi e cattivi a fare la guardia, cani addestrati ad azzannare chiunque si avvicinasse dopo il tramonto.
Dove passava la strada, soldati di guardia. Nelle campagne, soldati di guardia e cani. Così proteggevano il confine.
Ma sul lato notturno non c’era anima viva. Non un soldato, non una dogana, nulla.
April cavalcò tra le campagne, seguendo la strada acciottolata che correva verso il Castello della Notte, la residenza reale. Si fermò a dormire a lato della via.
Quando arrivò nei pressi di Borgo Incantato in giro non c’era nessuno, segno che era notte anche nel paese della notte eterna, e la strada che aveva seguito per tre giorni sembrava quasi risplendere, sotto la luce della luna. Intorno a lei, le ordinate coltivazioni erano illuminate e scaldate dai fuochi perpetuamente accesi. Non c’era sottobosco, non c’erano erbacce, il terreno, al di là delle piante coltivate, era ricco e marrone come se fosse stato appena dissodato.
April spronò il suo cavallo, ansiosa di giungere a Borgo Incantato il prima possibile.
Era raro che un abitante delle Terre del Sole entrasse nel territorio della notte, così le guardie alla porta della città non riuscirono a nascondere la sorpresa. April provò un lieve disgusto per la loro pelle candida, priva della minima sfumatura di colore.
E loro sembrarono attoniti, quasi spaventati, nel vedere la sua carnagione dorata.
Sbrigativa, lei mostrò la sua bolla e chiese di entrare.
«Dove sei diretta, signora?» le chiese una delle guardie. Era un uomo alto e robusto, con capelli chiari e occhi azzurri. L’uniforme nera e grigia, coperta da un giustacuore di metallo brunito non faceva che mettere ancor più in evidenza il suo pallore cadaverico, illuminato in modo sinistro dalla luce guizzante della torcia conficcata sulla punta della sua lancia.
«Dal tuo re» replicò lei, secca. In realtà, interiormente, rabbrividiva. Non solo per il freddo, ma anche per l’inquietudine di essere circondata da esseri notturni e malvagi.
Sebbene Hendrich l’avesse bollata come una superstizione dei contadini al confine, April non era sicura che non bevessero il sangue della gente.
Sua nonna le aveva raccontato innumerevoli storie di viandanti che perdevano la via e si avvicinavano troppo ai confini di tenebre, per essere ritrovati sul ciglio della strada il giorno successivo, senza una goccia di sangue.
Forse erano solo storie per intrattenere una bambina, per farle emettere gridolini di paura deliziata.
In ogni caso, rifletté, entrando al passo nel Borgo Incantato, non poteva tirarsi indietro. La sua missione era vitale. Per quanto fosse spaventata, l’avrebbe portata a termine.
Nella città, malgrado l’ora tarda (secondo April dovevano essere circa le nove di sera, ma ovviamente non ne era sicura), ferveva ancora la vita.
Esseri pallidi e inquietanti percorrevano le strette strade acciottolate, impegnati in mille piccole attività quotidiane. Due ubriachi cantavano a squarciagola vicino a un pozzo. Dei bambini si inseguivano strillando.
Accanto a ogni porta e a ogni finestra, e a tutti gli angoli dei vicoli, erano fissate delle torce, che riempivano le strade di luce guizzante e ombre agitate. L’odore di pece intrideva l’aria.
April, mantenendo il cavallo al passo, puntò in direzione dell’enorme sagoma scura del Castello della Notte. Si teneva il cappuccio ben calato sul viso, in modo da non essere riconosciuta al primo sguardo, e cercava di guardarsi attorno il meno possibile.
Il castello sorgeva su una collina al centro della città, e la collina era completamente circondata dal fiume Inchiostro, che tagliava il Borgo Incantato in due parti.
Quattro ponti di pietra, alti e arcuati, collegavano il castello al paese. Fu qui che April venne fermata per la seconda volta, e per la seconda volta esibì la bolla.
Fu fatta passare in silenzio, ma una guardia le prese le redini e guidò lei e il suo cavallo all’interno.
Il Castello della Notte era alto e imponente, ottagonale, dai bastioni fortificati e aguzzi. Otto alti torrioni sorvegliavano la città da ogni lato e il mastio centrale era ancora più alto e imponente.
Un’ulteriore torretta superava in altezza qualsiasi altro punto del castello, ed era una sottile e aguzza protuberanza su un torrione. April la notò perché attraverso la finestra più alta filtrava un lucore dorato, sicuramente un effetto dell’illuminazione interna.
La guardia, tesa e silenziosa, la accompagnò attraverso una delle porte del castello. Era sormontata da una minacciosa grata di ferro e sembrava sul punto di chiudersi sulla tua testa.
In una piccola corte interna, un servitore prese in consegna il suo cavallo e le fu chiesto se voleva rinfrescarsi dal viaggio. April replicò che voleva essere ricevuta immediatamente dal re, per una questione della massima urgenza. Consegnò le proprie credenziali. Le fu chiesto di attendere in un atrio dalle pareti coperte di arazzi. April notò che la lavorazione era raffinatissima, malgrado i soggetti le restassero oscuri.
Non dovette, tuttavia, attendere molto.
Un paggio le annunciò che sarebbe stata ricevuta subito e le fece strada fino al mastio attraverso stretti corridoi e basse volte.
April strinse i pugni per nascondere che le tremavano le mani. Nessuno la conosceva, lì. Aveva con sé la lettera di un regnante che nelle Terre Oscure non aveva mai messo piede. Non sapeva neppure il nome del Re della Notte.
Se quella gente era terribile come i racconti di sua nonna, avrebbero potuto farla prigioniera o ucciderla. Chi mai sarebbe andato a liberarla?
Forse per la prima volta da quando era partita, prese coscienza che avrebbe potuto morire in quella notte senza fine, che avrebbe potuto non rivedere più suo padre, le sue sorelle, i suoi nipoti.
Ma era troppo tardi per cedere al terrore, poteva solo andare avanti e sperare per il meglio.
Finora nessuno l’aveva minacciata.
La sala delle udienze private era piuttosto piccola e rivestita di tappeti e stoffe preziose. Era illuminata da lanterne di vetro che emettevano una luce chiara e ferma.
Il trono del re era sulla sommità di tre gradini, affiancato da altre due massicce sedie di legno intarsiato.
April si prostrò davanti al re e rimase con la fronte a terra finché non sentì dire: «Alzati, April di Lenn e spiegaci perché hai affrontato un sì lungo viaggio per parlare con noi».
April si sollevò. A parlare era stato un uomo molto anziano, che stava abbarbicato sul suo trono come un vecchio lichene bianco. Il Re della Notte, sicuramente.
Oltre alla pelle candida, anche i suoi lunghi capelli e la barba erano bianchi. Era di età molto avanzata, questo si vedeva a occhio nudo, e molto magro, anche sotto i lussuosi abiti di velluto rosso.
Al suo fianco, su uno degli scranni, sedeva un uomo sulla trentina, sul cui viso si leggevano tracce di parentela con il re. Era snello ma non ossuto, con capelli neri lunghi e folti e occhi di uno strano colore tra il grigio e il nero che ad April ricordava l’antracite. Era vestito con eleganza, tutto in nero. Sedeva puntellandosi il mento con una mano, ma sembrava seguire ogni dettaglio.
«Vostra maestà, il mio signore, Re Avetis di Lenn vi porge attraverso di me i suoi saluti e vi augura pace e prosperità».
«Lo stesso facciamo noi» rispose il re, in tono gentile.
«Sono qui per scongiurare a suo nome il vostro aiuto, maestà».
«Lo supponevo. Non si vedono molto spesso abitanti delle vostre terre, da queste parti. Diciamo pure mai» borbottò il vecchio re, sporgendosi appena in avanti. «Che cosa chiede, dunque, Lenn?» Anche il cavaliere in nero sul secondo scranno si tese in avanti.
April guardò il sovrano intensamente, ignorando l’altro uomo. «La Gemma della Sera, vostra maestà… ve la chiede in prestito».
Il re corrugò la fronte. Le sue sopracciglia cespugliose e candide si aggrottarono, mettendo in ombra gli occhi. L’uomo che gli sedeva accanto inclinò la testa da una parte e la fissò con espressione indecifrabile.
«Suppongo ci siano motivi più che validi per questa richiesta» disse, intervenendo nella discussione senza nessun imbarazzo.
Ad April era stato ordinato di parlare solo con il re, ma immaginò di poter fare un’eccezione.
«Per le sue proprietà taumaturgiche» disse, omettendo il titolo dell’uomo in nero. Tornò a guardare il re. «L’erede al trono, il giovane principe Sephir, ha contratto una malattia sconosciuta. La Gemma della Sera è la nostra unica speranza».
Il re annuì lentamente.
«Sta a voi fissare il prezzo per questo prestito, maestà» aggiunse April, cauta. «Il mio re mi incarica di riferirvi che qualunque cosa in suo possesso è vostra e che qualunque favore vi sarà accordato, per la vita del giovane principe».
Quello che non riferì fu che, se loro non cooperavano, il suo re la invitava a trovare un’altra soluzione. Non importava quale.
«Molto generoso da parte sua» mormorò il vecchio sovrano «ma non intendo avvantaggiarmi della mala sorte di un infante». April vi lesse un rimprovero e sperò che quella non fosse la fine delle contrattazioni.
Ma il re raddrizzò la grande testa canuta e continuò: «La tua richiesta è accolta, April. Mio figlio verrà con te».
Lei aggrottò la fronte, ma il re si stava già alzando, con un’energia insospettabile a prima vista, e stava lasciando la sala.
Quindi così era stato deciso e lei non aveva nessun potere contrattuale. Be’, poteva andar peggio. Potevano non concedere il loro aiuto. Invece mandavano con lei un guardiano per assicurarsi che il prezioso oggetto magico tornasse a casa e per... chissà quali altri motivi, sicuramente. Ma, davvero, le cose avrebbero potuto mettersi molto peggio. Potevano ancora farlo. Poteva essere una trappola di qualche tipo. In ogni caso April non aveva voce in capitolo.
«Serve uno stregone per controllare la Gemma della Sera».
April si voltò di scatto. Era stato l’uomo in nero a parlare. Si stava a sua volta alzando dallo scranno, in modo molto meno pimpante del vecchio re, e la guardava con seri occhi color ferro.
April chinò la testa. «Lo ignoravo, mio signore».
«Alzati. Ti consiglio di rinfrescarti, se vuoi, come immagino, partire in questa metà della notte». Sollevò una mano e pochi istanti dopo alla porta ci fu un paggio.
«Sì, altezza?» chiese, con un inchino.
«Io e questa donna partiamo tra poche ore. Mostrale dove rinfrescarsi e fa in modo che il suo cavallo sia sostituito. E…» il paggio lo ascoltava con la massima attenzione «…di’ agli imbecilli qua fuori che si è trattata di un semplice invio di saluti da parte di un regno vicino, nient’altro».
Poi si voltò e uscì a sua volta dalla stanza, senza che April avesse pensato di inchinarsi di nuovo. Ora aveva le prove che sarebbe stata scortata dal Principe della Notte in persona.
Rifletté, mentre mangiava. Due guardie la tenevano d’occhio come se una ragazza in abiti maschili potesse essere una minaccia letale. Il re si era dimostrato accomodante. Fin troppo in fretta. E le aveva affibbiato un accompagnatore non voluto.
Che servisse uno stregone per usare la Gemma della Sera era ragionevole. E forse Hendrich, il mago di re Avetis, non avrebbe saputo farlo. Ma davvero era necessario che la seguisse lo stregone più potente delle Terre Oscure? L’erede al trono? Non era un po’ bizzarro? Non lasciava intuire un disegno diverso, forse ostile?
In ogni caso April non poteva rifiutarsi, non poteva muovere obiezioni. La Gemma della Sera era davvero l’ultima speranza del principino e il principino era l’unico possibile successore di Avetis, secondo le loro leggi. Che restasse in vita era essenziale per la pace di Lenn.
April finì di spazzolare il cibo che aveva nel piatto. Fino a quel momento aveva mangiato solo le sue scorte, ma di fronte a un invito non aveva potuto rifiutare le loro pietanze. Avevano uno strano modo di pizzicare il palato, forse perché erano imbevute della magia che aveva fatto crescere le materie prime. Era una sensazione curiosa, non del tutto sgradevole.
Finito di mangiare, si rivolse a una delle guardie.
«Una domanda che forse vi sembrerà strana» disse, raccogliendo il coraggio. «Il principe... come si chiama?»
Il soldato le rivolse una lunga occhiata scettica. «Starrag, naturalmente. Nell’antica lingua significa...»
«Corvo, certo» lo precedette lei.
«Già. Starrag Ó hAlluráin, dove hAlluráin...»
«È il nome del clan. Tutto chiaro. Grazie».
Il soldato le lanciò un’altra occhiata scettica, ma non commentò. «Se avete finito...»
April lo seguì verso l’ennesimo corridoio.
Si era risciacquata alla meglio dalla polvere del viaggio e aveva accettato una provvista di carne essiccata e delle strane pagnotte del luogo.
Il suo cavallo era stato sostituito da un lucido baio dall’aspetto scattante, che scalpitava per partire.
Non poteva fare a meno di continuare a trovare strana quell’ospitalità inattesa, da parte di vicini così poco stimati. Chiedere aiuto al Re della Notte, April lo sapeva, era stata l’ultima ratio di Avetis. Aveva provato con ogni guaritore, stregone e ciarlatano delle Terre del Sole, prima di mandare lei nelle Terre Oscure.
Tutto le sembrava estremamente sospetto.
Si era scervellata sul possibile motivo (il motivo vero) della decisione del re canuto e non era riuscita ad afferralo. Non poteva far altro che fidarsi, ma la sua fiducia sarebbe stata venata da un’abbondante e prudente dose di sospetto.
Mentre stava ancora una volta riflettendo su questo, nella corte deserta entrò un nuovo cavaliere. Montava uno stallone nero dall’aria feroce e vestiva interamente dello stesso colore. Il suo viso bianco sembrava sospeso nell’oscurità. Il Principe Starrag.
Spronò la bestia con colpo di tacchi gentile e si affiancò a lei. April salì sul suo cavallo in silenzio, dopo essersi inchinata.
Il Principe Starrag mosse una mano e nell’aria ci fu una curiosa vibrazione. April si sentì attraversare da un brivido freddo.
«Che cosa...»
«Meglio non farsi notare» rispose lui, serio ed ermetico.
Spronò la sua cavalcatura e prese la strada per la terraferma senza una parola. April lo seguì, la mente invasa da mille pensieri, nessuno dei quali improntato all’ottimismo.