3.
Intorno alle nove si rimisero i vestiti, ancora mezzi umidi, e si sdraiarono sull’ammasso di felci che doveva fungere da letto. Beth alimentò il fuoco per bene, anche se sapeva che non sarebbe durato fino all’alba.
«Ma perché dovrà fare così freddo?» si lamentò Myers.
«Per punirci dei tuoi peccati» ironizzò lei.
«Preferisco la prigione, grazie tante. Avanti, procediamo con il piano di imbozzolamento. Da che lato vuoi stare?»
«Se per te fa niente preferirei con la schiena verso il fuoco».
«Per me è okay. Questa notte mettiamoci a cucchiaio però».
Beth rise. «Ormai ci stiamo facendo tutto il kamasutra» disse, mentre lui si sdraiava su un fianco davanti a lei. Gli circondò la vita con un braccio, incastrando le gambe dietro alle sue gambe.
Lui sbuffò. «Se continua così arriveremo davvero a far sesso per riscaldarci. Non c’è niente da ridere. Ti consiglio di spostare quella mano un po’ più in su, se non vuoi essere disturbata mentre dormi».
«Oh? Erano le tue parti basse?»
Myers rise amaramente. «Nessun segno di vita da quelle parti, ti assicuro. No, era il mio stomaco: da qualche ora emette brontolii al nono grado della scala Richter».
«Se è per questo anche il mio».
Lui si voltò appena e le fece un sorrisetto dispettoso. «È già qualcosa».
Beth aveva appoggiato la faccia sulle felci e si era addormentata al suono del respiro leggero di Myers. Si era svegliata intorno alle cinque del mattino, tremando come una foglia.
Il fuoco si era spento come sapeva che sarebbe successo, ma le braci erano ancora accese. Mise altra legna e soffiò finché non iniziò a crepitare la fiamma.
Obbiettivamente, aveva ancora freddo. L’aria era umida e tagliente come un rasoio e il cielo iniziava a scolorare.
«Vieni qua» borbottò Myers, mezzo addormentato. Allargò un lembo del suo maglione. Beth ci infilò la testa dentro e la fece uscire dal buco del collo, allargandolo tutto. Incastrò le braccia sui fianchi di Myers, ma poi decise di rigirarsi. Per riuscirci fece un discreto casino, e il maglione si allargò ancora di più.
Alla fine si sistemò su un fianco, con lui dietro, le sue braccia che la avvolgevano, i piedi stretti ai suoi.
Sentì che lui le spostava i capelli e posava la testa sul suo collo. Il suo respiro le faceva venire la pelle d’oca.
«Hai ancora freddo?» bisbigliò Myers.
«No» sussurrò lei.
«Hai la pelle d’oca, sul collo».
«Ora mi passa».
Lui si accomodò meglio contro il suo collo, abbracciandola.
«Non se fai così, però!»
«Così come?»
«Così che ti strofini!»
Lui sbuffò. «Guarda che lo strofinamento è il metodo migliore per produrre calore» replicò, strofinandole una mano sull’esterno di una gamba.
«Sì, be’, non farlo».
«Surgelerò immobile».
Il silenzio calò per qualche minuto.
«Mi stai respirando in un orecchio» disse poi lei.
Myers sbuffò. «Non posso farci niente. È il tuo orecchio che è lì».
«Mi fai venire la pelle d’oca…»
«Neanche fossi l’abominevole uomo delle nevi. Sono quasi sicuro che il mio respiro sia caldo».
«Non è quello…» pigolò lei.
Un altro attimo di silenzio, questa volta imbarazzato.
«Non avresti dovuto dirlo» sentenziò Myers.
Altro silenzio.
«No, non avrei dovuto dirlo».
Silenzio.
«Probabilmente è l’ipotermia. Sai, tipo…»
«Ghiacciolo?»
«Ecco. Qualcosa del genere».
Lungo silenzio.
«Mi hai… ehm, mi hai baciata sul collo?»
«Non proprio».
«Ah. Quindi adesso non mi hai toccato una tetta».
«No, quello l’ho fatto».
«Un errore?»
«Non direi. Tu non ti stai strofinando, suppongo».
«Ehm. Non saprei cosa dirti».
«Io sì. Se ti volti te lo dico meglio».
Non erano di sicuro nella situazione ideale per grandi prodezze erotiche. Beth voltò la testa e lui la baciò: Mentre lo faceva le slacciò i pantaloni e ne tirò giù proprio il minimo indispensabile. Armeggiò anche che la chiusura dei propri pantaloni e un istante dopo Beth sentì il suo membro tra le natiche. Sul momento ne ebbe un’impressione molto generica. Era tutto molto scomodo e affrettato.
Si piegò un pochino in avanti per consentirgli di raggiungerla meglio e Myers riuscì a incastrarsi tra le sue cosce e a metterle dentro la punta.
«Cristo» ansimò, scivolandole dentro del tutto. Beth si sentì riempire. Ne percepì le dimensioni e la consistenza. Myers iniziò a muoversi e anche lei lo fece, stringendolo con i muscoli pelvici. Lui le palpò un seno senza osare sollevare nessuno dei vestiti che la coprivano. L’aria era così fredda. I piedi e le dita delle mani di Beth erano freddi e rigidi. L’unica fonte di calore e di piacere era quella: Myers che le entrava dentro veloce e un po’ brusco, stringendole un seno sopra due strati di maglioni. Poi sembrò rendersi conto che doveva aiutarla un po’ di più, perché nessuno viene facilmente, quando ha i piedi congelati e lo stomaco vuoto. La sua mano scese e si infilò tra le cosce di lei, cercando di raggiungere il clitoride. Data la posizione, non riusciva ad arrivarci bene. Beth allargò leggermente le gambe. Questo portò a due risultati immediati. Per prima cosa, Myers riuscì a massaggiare la zona del suo clitoride, procurandole fitte di piacere quasi dolorose. Secondariamente, riuscì ad arrivare fino in fondo, penetrandola del tutto.
Fu come trovarsi infilzata da un paletto.
Beth si rese conto di essere fradicia, tra le gambe. Myers scivolava dentro di lei, arrivandole fino alla cervice.
«Hoffman... fossi in te concluderei» ansimò lui.
Beth concluse davvero. Emise un gemito soffocato, mentre lui continuava a muoversi a scatti al suo interno, strofinandole il bacino contro il sedere a ogni affondo. Il piacere la fece sobbalzare e poi diventò fastidioso, mentre lui continuava.
Poco dopo, tuttavia, lo sentì emettere un vago vocalizzo e percepì i movimenti secchi e profondi di un uomo che sta eiaculando. Rimase ancora dentro di lei, abbracciato a lei, ansimante. Poi scivolò fuori e si tirò su i pantaloni, mentre anche Beth faceva altrettanto.
Beth chiuse gli occhi, finalmente al caldo, e si addormentò.
Mattina. Luce, sole, canto degli uccellini, borbottio di stomaci. Il borbottio degli stomaci causò il risveglio improvviso di Beth.
Si rigirò nel maglione di Myers, felice di essere finalmente al caldo.
Anche Myers si svegliò, infelice per tutta una serie di ragioni. La prima delle quali che stava per andare in prigione. Certo: c’erano gli uccellini, il sole e… gli uccellini?
Si sfilò lentamente da dentro il maglione.
«Che cosa…»
«Shh».
Myers si avvicinò con passo furtivo agli uccellini, che cinguettavano dolcemente sulle rive dello stagno. Adocchiò quello che gli sembrava il più grosso e gli piombò sopra.
Di solito gli uccellini non stanno lì a farsi prendere, ma questo non doveva essere molto sveglio, e poi Myers aveva molta, molta fame. Per lui prendere l’uccellino era una questione fondamentale.
Gli altri uccellini si alzarono in volo, smettendo di cantare.
Myers si raddrizzò, si spolverò le ginocchia dei pantaloni e tirò il collo all’uccellino. Il quale morì.
Beth aveva guardato tutta la scena con gli occhi sgranati, seduta sulle felci. «Cielo…» mormorò.
Myers guardò la sua preda. Poi deglutì a vuoto.
Lei allungò un dito verso di lui, o forse verso il volatile.
«Sì: un altro delitto pesa sulla mia coscienza. Aggiungilo alla lista».
Anche Beth deglutì.
«Se mi dai un pezzo di quel volatile ti faccio avere uno sconto di pena di cinque anni. Non sto scherzando» disse.
Myers si sedette e riattizzò il fuoco. «Affare fatto».
Infilzò l’uccelletto su uno stecco e lo piazzò sulle fiamme.
Sogghignò leggermente. «Sei una contrattatrice davvero scadente. Te l’avrei dato lo stesso».
«Sarei arrivata fino a dieci anni» replicò lei.
Le piume dell’uccello presero fuoco, rilasciando un odore pungente e sgradevole. A entrambi, però sembrò paradisiaco. Beth grattò via le penne bruciate con uno stecco e l’animale, adesso più o meno nudo, fu messo di nuovo sulle fiamme.
«Senti… ti dispiacerebbe ridarmi il mio maglione?» disse Myers, quando l’operazione fu compiuta.
Al momento aveva addosso una maglietta a maniche lunghe di cotone. Armani, ma pur sempre di cotone.
«Oh, scusa. Hai ragione».
Beth si sfilò il maglione e glielo passò. Lui fu lesto a indossarlo. Visto che ci avevano dormito in due era diventato troppo grande, ma Myers non parve farci caso.
Guardava l’uccello sul fuoco con aria intenta, famelica.
Beth, invece, osservò il suo profilo.
Il naso era leggermente aquilino, affilato, la fronte alta e gli zigomi pronunciati. Le labbra erano sottili e pallide come il resto del lungo viso, ciò nonostante nell’ambiente criminale era conosciuto come un uomo non solo capace di stendere i propri nemici, ma di fare lo stesso anche con un certo numero di amiche, e in tutt’altro senso.
Beth ricordava che tra i bassi ranghi, dei quali lei aveva fatto parte per sei mesi come infiltrata, circolavano un bel po’ di storielle piccanti sul suo conto.
Le altre storie che circolavano, in compenso, erano da far accapponare la pelle.
Dicevano che il suo trattamento di elezione per gli infiltrati fosse di farli appendere a testa in giù finché non morivano di emorragia cerebrale. Poi venivano lasciati in bella vista, in modo che la polizia se li riprendesse subito.
Si mormorava che quando aveva mosso guerra a Ramon Regolar per il controllo di Los Angeles Sud avesse fatto uccidere non meno di trenta persone. In quanto a Ramon era stato “ospite” in casa sua per due giorni, prima di morire.
Lo chiamavano il principe della cocaina, perché sopra di lui c’era solo Miguel Ezquerra, che controllava l’intera California meridionale, ed era il re incontrastato. Beth sapeva che attraverso la sua cattura l’FBI e la DEA volevano mettere le mani su Ezquerra, ma dubitava sinceramente che ce l’avrebbero fatta.
In sei mesi si era resa conto che Myers era quel tipo di criminale che non fa accordi con le autorità, a cui non interessano i programmi di protezione testimoni, e che sa che in carcere avrà comunque qualcuno che lavora per lui. Beth sapeva anche che gli avrebbero dato il carcere duro, più o meno come sapeva che alla fine non sarebbe stato così duro, per lui.
Era il problema con i narcotrafficanti. Non li abbattevi mai del tutto. Distruggevi la loro rete e quella rispuntava da capo un paio di mesi più tardi, praticamente identica.
I vecchi boss continuavano a trattare i loro affari dalle prigioni, i nuovi boss alzavano la testa e c’era un po’ di spargimento di sangue.
Rispetto ad altri del suo calibro Myers era diventato famoso per le sue operazioni di precisione chirurgica. Non aveva mai scatenato un conflitto a fuoco in un parco giochi o in una stazione dei treni. I suoi avversari venivano tolti di mezzo uno per uno, in privato.
Rispetto ad altri boss, Myers aveva anche un approccio diverso alla gestione della sua attività. Più imprenditoriale, più moderno.
Teneva le redini strettamente in mano e i suoi luogotenenti erano famosi per essere efficienti, distaccati e fedeli.
Non si faceva della coca che trattava e non aveva vizi che potessero costituire punti deboli. Non manteneva attricette e non pasticciava con l’industria cinematografica.
Conosceva quelli che lavoravano per lui uno per uno.
E, in quel momento, stava arrostendo un volatile di razza ignota, accucciato sui calcagni e con le maniche rimboccate.
«A che cosa pensi?» le chiese lui, in quel momento.
«Niente».
Myers sorrise. «Non è vero».
Beth si alzò e si stiracchiò.
«Okay. Stavo pensando che ieri stavi comprando sei milioni di cocaina e adesso stai arrostendo la quaglia, lì».
Myers si accigliò. «Non credo che sia una quaglia».
«Dicevo tanto per dire».
«Io invece mi chiedo che fine abbia fatto la mia cocaina».
Beth lanciò un rametto nel fuoco.
«Ormai sarà stata bruciata».
Myers rimase in silenzio.
«Non credi che sia stata bruciata?» disse Beth.
«Mi chiedo…» rispose lui, lentamente, «…perché i tuoi amici se la siano svignata così alla svelta».
Si voltò verso di lei e le lanciò un’occhiata intensa. «Mi chiedo anche se fosse previsto che qualcuno uscisse vivo dalla Infotech».
Beth andò a sedersi accanto a lui, vicino al fuoco.
«Spiegati meglio».
Myers guardò le fiamme come se si aspettasse da un momento all’altro che provassero a morderlo.