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1.
Non sono molti quelli che farebbero il mio lavoro. Rende parecchio, ma servono nervi d’acciaio, molta diplomazia e un cuore di pietra.
Serve anche un certo aspetto, un certo portamento e un certo guardaroba.
Personalmente, ho una cabina armadio solo per i vestiti professionali. È divisa in tre sezioni: la prima per i vestiti da sera, da mezza sera e da donna d’affari, la seconda per la lingerie, la terza per i vestiti da camera da letto, diciamo.
Quella notte, per andare alla cena di gala di una nota associazione di beneficenza, mi infilai un elegante lungo di Chanel, blu scuro, molto sobrio. Il mio cliente era il noto produttore di un canale televisivo privato, meglio non fare nomi.
Era un cliente affezionato da anni e mi aveva portato a diverse cene eleganti. Credo che tutti i suoi conoscenti sapessero che ero una professionista, anche quelli che non mi avevano provata di persona. Nessuno ne era scandalizzato, mentre lo sarebbero stati se al mio posto ci fosse stata un’altra ragazza.
Non sono l’unica ad avere uno status così particolare, ma certo sono una delle poche.
Alcuni mi definirebbero una escort top-level.
Lavoro tramite un’agenzia di lusso, per una clientela selezionata, nella massima riservatezza. Non conta quanto sia importante l’uomo che paga, nessuno di loro ha il mio numero personale.
In cambio di una cifra decisamente alta, ottiene una donna elegante, dalla conversazione brillante, dalla discrezione assoluta e priva di complicazioni.
Una donna che non ti manderà in bianco, dalla quale sai che cosa aspettarti.
Quindi... quella sera era la sera di Richard, chiamiamolo così. Richard era un signore quasi calvo sulla cinquantina, dai fianchi morbidi e dal viso mite.
Per lui indossai il mio vestito da sera Chanel, una parure di ametiste piuttosto pregiata, dei sandali Jimmy Choo argentati e un corsetto di raso blu in tinta con il vestito.
Se conoscevo un po’ il mio cliente (e lo conoscevo) non avrei nemmeno dovuto sfilarmi il corsetto.
Sarebbe venuto leccando i miei sandali.
Non è il sesso il punto focale della mia professione.
I miei clienti non hanno bisogno di me, per scopare. Hanno bisogno di me per esibire una donna favolosa in società e per non sentirsi giudicati in camera da letto, qualsiasi siano le loro performance e i loro gusti.
Vengo incontro alla maggior parte delle originalità meno originali, con qualche eccezione ben nota a tutti, ma specialmente faccio sentire desiderati i miei partner della serata.
Richard mi passò a prendere alle sette e mezza al mio appartamento professionale nel nuovo East End. Scese dalla sua Aston Martin per aprirmi la portiera. Mi baciò sulle guance e mi disse:
«Stasera sei radiosa, Eve».
Eve è il nome che uso con i miei clienti. Eve Rossini. Eve è un nome d’arte, ma Rossini è il mio vero cognome. Niente di particolarmente sexy, come vedete.
Si rimise al volante e ripartì. «In realtà, sarà una serata micidiale» mi spiegò, proseguendo verso il centro. «Al nostro tavolo c’è Yvonne Smith-Taylor, quella vecchia strega, e suo marito Kevin...»
Capite da soli che questi non sono i loro veri nomi. In ogni caso si trattava dell’ultima discendente di una famiglia di industriali e dell’uomo che aveva inspiegabilmente sposato solo per ingiuriarlo tutto il tempo. Mai stato mio cliente, tra l’altro. Forse gli piaceva.
«...poi Sarah Burns e John Miridian. Capisci che non potevo affrontare questa prova da solo... » ridacchiò.
«Sei troppo educato» dissi io. «Avresti potuto farti spostare, se avessi voluto».
In realtà, probabilmente non era vero. Probabilmente Richard non aveva il peso specifico necessario per poter pretendere alcunché, a una serata del genere. Ma fargli credere che lo credevo non mi costava niente.
Lui sorrise soddisfatto, mentre borbottava: «Non penso proprio».
«Sarah Burns e John Miridian sono insieme?» chiesi io, per evitare gaffe.
Richard rise. «Dio, no. Anzi, ti volevo parlare di John. È da salvare quanto me. Inoltre, per la mia rete è uno sponsor importante».
Gli sorrisi. «Farò il possibile per metterlo a suo agio, ma questa serata è tua, lo sai».
Lui ne sembrò felice. «Sei sempre così carina».
Con quello che pagava, che fossi carina era il minimo. Non glielo ricordai. A certi clienti piace pensare che siamo amici e preferiscono dimenticare la cifra stratosferica che hanno versato all’agenzia che mi fa da intermediaria.
«È facile essere carini, con te» risposi, quindi.
Lui ne fu soddisfatto.
E un cliente soddisfatto è un cliente che ritorna.
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Il tavolo era davvero un incubo, su questo Richard aveva ragione. Sarah Burns ebbe il coraggio di far notare che con quello che costava un posto a sedere le portate non erano all’altezza, dimenticando completamente che si trattava di una cena di beneficenza, quindi il punto era quello di spendere dei soldi in cambio di una buona azione. O, almeno, della nomea di benefattrice.
Tra l’altro, il cibo era tutt’altro che malvagio. Erano microscopiche porzioni attentamente preparate da uno chef internazionale, ognuna un microcosmo di sapori perfettamente bilanciati.
Questo fu, in sostanza, quello che le fece notare Richard, un po’ infastidito.
John Miridian sopportava stoicamente. Era l’unico, a quel tavolo, che avrebbe potuto davvero farsi spostare, ma evidentemente non l’aveva fatto per educazione.
Era il CEO di una grossa società energetica. In un certo senso, le mie bollette della luce contribuivano al suo (faraonico, si mormorava) stipendio.
«Sono perfettamente bilanciati, concordo» commentò, con un sorriso cortese, cercando di appianare la discussione, «ma certo bisogna coglierne il bilanciamento al primo boccone».
Sarah Burns rise un po’ troppo forte. Aveva anche bevuto un po’ troppo forte, a mio avviso.
«Quindi ci ricordano anche che non tutte le distrazioni devono per forza essere fatali» sorrisi io.
Richard rise. «Molto giusto».
«Nel senso?» chiese Yvonne Smith-Taylor.
Sorrisi anche a lei. «Abbiamo solo un boccone per cogliere il mix unico che abbiamo nel piatto, ma se lo buttiamo giù distrattamente non è poi così grave».
«Oh, molto profondo» borbottò Sarah Burns.
Era una di quelle donne. Di quelle che mi odiano. Sono quelle che pensano che noi professioniste non vediamo l’ora di portar loro via il marito, senza rendersi conto che molte di noi sono la ragione per cui il marito resta. Le accetto con filosofia.
Risi. «Sì, ha ragione. Buttarla sul qualunquismo è stata una mossa imperdonabile».
«Mh-mh. Forse, dato il contesto, dovremmo discutere di profonde tematiche sociali» disse Miridian.
«Peccato che una raccolta fondi per la lotta all’AIDS offra come unico argomento pertinente le malattie sessualmente trasmissibili e non dubito che la signora Smith-Taylor lo considererebbe inappropriato».
La signora Smith-Taylor, nominata, emise un lieve grugnito. «Naturale, da quando non ho più la minima possibilità di contrarne una». Era stata spiritosa, ma rovinò tutto puntando il manico della forchetta nella mia direzione. «Però lei dovrebbe stare in guardia, signorina Rossini».
Richard tossicchiò, imbarazzato, Sarah Burns sghignazzò. «Credo che lo faccia» mormorò.
«Assolutamente» sorrisi io. Quello che non capivano è che non puoi innervosire una professionista.
John Miridian mi lanciò un’occhiata perplessa e poi spostò lo sguardo su Richard. Dovette farsi due conti e giungere a una soluzione, perché non aprì bocca.
«Propongo di parlare male del governo e farla finita» intervenne il signor Smith-Taylor, aprendo la bocca per la prima volta.
Si rivelò immediatamente un filone ricco e congeniale a tutti. O meglio, a tutti tranne che a me.
Avere come clienti o ex-clienti tre dei ministri in carica mi impediva praticamente di spiccicare parola, se non per dire banalità.
Dopo un po’ mi resi conto che Miridian mi osservava con un certo interesse. Non sembrava il tipo del mio cliente, quindi immaginai che si stesse semplicemente facendo delle domande sulla mia scarsa partecipazione al discorso.
Più tardi appresi con stupore che mi sbagliavo.
Richard si accostò a me con espressione colpevole.
«Eve, ho fatto una cazzata» mi sussurrò.
Gli sorrisi. «Oh, via. Sentiamo».
«Miridian mi ha chiesto da dove spuntavi e io gli ho detto che, insomma, eri un’amica...»
«Sì?» lo incoraggiai a continuare.
«Non... ecco, non so come dirtelo. Si è offerto di rilevare l’ultima parte della serata. È un grosso investitore. Non so che pesci prendere».
Tipico. Avrei voluto sospirare, ma mi limitai a guardarlo con espressione bonaria. Non gli chiesi che cosa gli avesse risposto. Era abbastanza evidente che mi avesse “passata di mano”.
«Be’, suppongo che tu non abbia molta scelta» sorrisi. «Sembra la classica situazione da cui è difficile tirarsi fuori».
«Quindi non... non ti dispiacerebbe?» chiese, in perfetta cattiva fede.
«I miei piani erano diversi, ma se è un investitore importante per la tua rete...» dissi. Salvare capra e cavoli: la mia specialità.
«Molto importante. Ti ringrazio, Eve. E ti sarò grato per sempre, lo giuro».
«Oh, via» sorrisi io. «Ci incontreremo in un’altra occasione».
Lo baciai sulle guance e cercai con lo sguardo John Miridian. Lui mi fece un cenno di saluto con la mano.
Mi diressi da quella parte.
«Quindi...» gli sorrisi, andandogli incontro. Come avrete capito, sorrido un sacco. Sono sorrisi appena accennati, naturalmente. A nessuno piace avere accanto un’oca giuliva.
«Il suo discorso sulle distrazioni non fatali» disse lui.
«Sì?».
Si strinse nelle spalle. «Carpe diem. Avevo voglia di scopare».
Risi. L’aveva detto in tono perfettamente educato. «Sono al suo servizio».
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L’addetto alle auto gli riportò la sua BMW ibrida e io salii a bordo. Mi allacciai la cintura di sicurezza. Non ero particolarmente felice del cambio di programma, ma non perché Richard fosse una meraviglia. Semplicemente, non mi piace cambiare partner a metà di una serata. Dà nell’occhio.
Miridian, poi, non era il mio cliente tipo, come ho già detto.
Non era un insicuro ed era di aspetto gradevole. Alcuni lo avrebbero definito affascinante, con i capelli più sale che pepe e il volto patrizio.
«Possiamo darci del tu, suppongo» disse, mentre ci dirigevamo verso l’area a ovest del centro.
«Certo, se ti fa piacere» risposi io. «Richard ti ha spiegato le regole del gioco?».
«Regole del gioco» ripeté lui. «Qualcosa che non posso fare?».
Di nuovo, ebbi voglia di sospirare. Se Richard voleva proprio farmi da agente, avrebbe almeno potuto farlo bene.
«Cose che non faccio io, più che altro. Niente sesso non protetto, mi sembra ovvio» elencai.
«Niente oltre il b**m soft. Niente pissing. Niente coprofilia. Se dico “no”, è “no”, in ogni caso».
Miridian inarcò le sopracciglia, perplesso. «Ho solo voglia di scopare. È una vita, che non scopo».
Sorrisi. «Per questo ti ho elencato tutti i miei limiti. Non sembri uno che non scopa da una vita».
Lui rise educatamente. «Non ho qualche strana perversione. Ho solo la libido azzerata. Ma hai un profilo molto interessante, così stasera ho provato un lieve fremito e ho pensato di vedere se mi avrebbe portato da qualche parte. Nel caso, suppongo che non sarò il tuo primo cliente a non avere un’erezione. Potrebbe persino essere preferibile. Non ti ho chiesto se avevi un posto tuo. Sto andando semplicemente a casa mia».
«Dove vuoi tu» risposi. «E le mie preferenze sono diverse da quelle della maggior parte delle persone. Ma amo il mio lavoro e amo che i miei clienti siano soddisfatti, di questo non dubitare. Non lo faccio per pagare le bollette». Sorrisi lievemente. «Anche se le p**o, comprese quelle della luce».
Il mio scherzo sembrò rilassarlo un po’.
«Posso farti una domanda personale?» chiese.
«Sentiamo» non mi sbilanciai io. Iniziavo a farmi un quadro. Era evidente che a questo signore bisognava lasciare un po’ di corda, dato che c’era la possibilità che finissimo la serata abbracciati con lui che piangeva. Non sarebbe stata la prima volta. D’altronde, c’era anche la possibilità che non succedesse. Ero abituata a non dare nulla per scontato.
«Quanti anni hai?».
Risi lievemente. «Non è poi questa domanda così personale. Ne ho trentaquattro».
«E non fai questo lavoro per pagare le bollette».
«No, non più. Avrei potuto smettere diversi anni fa. Mi piace, te l’ho detto».
«Okay» disse lui, decidendo di non indagare oltre.
Si fermò davanti al cancello battuto di una grossa residenza recintata. Lo aprì usando un telecomando e proseguì attorno al perimetro dell’edificio, lungo una stradina privata. Usò un altro telecomando per aprire la porta basculante di un garage.
«È un po’ strano» disse. «Non l’ho mai fatto».
«Alla tua età... vergogna» risi io. Gli sfiorai una spalla. «Bisogna assolutamente provare».
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Lo seguii nella sua camera da letto, che era al primo piano. La sua casa era grande e ben arredata, ma non terribilmente di design come quelle di alcune persone che avevo conosciuto.
Sembrava il posto in cui qualcuno viveva. C’era persino un gatto, che Miridian prese in braccio e accarezzò sotto al mento, prima di lasciarlo andare.
Salimmo in camera da letto.
Anche questa era una bella stanza, con i mobili di legno bianco e le tende nei toni dell’arancio.
Accese un’abat-jour e spense la luce principale. Mi guardò.
«Non so bene come comportarmi. In questo momento non sono esattamente sicuro di aver fatto una scelta intelligente» disse.
Gli girai attorno e lo aiutai a sfilarsi la giacca dello smoking. «La mia proposta è che tu ti stenda sul letto e lasci fare a me. Se vuoi. In fondo, la professionista sono io».
Si strinse nelle spalle. «Okay» disse.
Si sedette sul letto e iniziò a slacciarsi una scarpa.