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Era stato confinato in un sarcofago. Per centocinquantatré anni aveva giaciuto al buio e al freddo, isolato dal resto del mondo, reso incapace di nuocere. Sepolto vivo, mai morto. Nessuno sapeva se fosse stato sveglio per tutto il tempo, se avesse dormito, sognato, se fosse caduto in uno stato di quasi-morte, se fosse spirato.
Nessuno conosceva l’esatto destino di Ardan.
Zovesdra e Ytmor guardarono il sarcofago al centro del cerchio sacro e sentirono un brivido correre lungo la propria schiena. Era un oggetto massiccio, un guscio di pietra che pesava diverse tonnellate, dalla forma sagomata circa come un corpo umano. E lì dentro... un corpo c’era, se i due maghi non sbagliavano di grosso. Sull’umanità di Ardan nessuno dei due era disposto a sbilanciarsi.
Ytmor si guardò attorno cercando di dimostrare una sicurezza che non provava. Il tempio sotterraneo di Silrak, dea dell’oscurità, era pieno degli iniziati. Ognuno di loro indossava un mantello nero che ne copriva le forme, mentre un cappuccio ne celava il volto.
Ytmor non aveva bisogno di nascondersi. Tutti potevano vedere la sua testa glabra scintillare alla luce incerta dei bracieri e tutti potevano vedere la profonda ruga di concentrazione sulla sua fronte.
«Possiamo iniziare?» chiese a Zovesdra.
Lei annuì. Sembrava molto padrona di sé, ma Ytmor sapeva che doveva essere nervosa quanto lui. Stavano per ridestare Ardan, il Figlio del Buio, il Signore della Notte... non era uno scherzo. Per quanto ne sapevano loro Ardan poteva aver perso completamente il senno, in centocinquantatré anni. Avrebbe potuto ridestarsi e distruggerli tutti, senza un motivo. Oppure avrebbe potuto ridestarsi e distruggerli tutti, perfettamente consapevole di quello che stava facendo.
«Fratelli, cominciamo!» gridò, rivolgendosi agli adepti.
Tra le loro fila corse un brivido di eccitazione e di paura.
Lo sguardo di Ytmor si spostò sull’altare, dove il Sacrificio aveva ormai smesso di piangere e di dimenarsi. La giovane ninfa - mezza ninfa, in realtà - si limitava a guardare il soffitto, inespressiva. Se fosse rassegnata o terrorizzata, Ytmor non era in grado di dirlo.
D’altronde, non aveva importanza. Era lì perché il loro Signore si nutrisse della sua vita e della sua potente magia, nient’altro.
Zovesdra gettò una manciata d’erba del buio nei bracieri, dai quali cominciò a uscire un denso fumo nero. Le colonne scure e i complessi bassorilievi sulle pareti del tempio scomparvero nel buio.
Ytmor iniziò a recitare l’antica formula e Zovesdra si unì immediatamente a lui. Erano parole che si credevano perse nel tempo. Lui le aveva riscoperte, come lui aveva individuato la cripta in cui era nascosto il sarcofago.
E ora, dopo tanto tempo, tanti sforzi e tante difficoltà, finalmente stavano per ridestare il loro Signore.
Che, a dirla tutta, avrebbe anche potuto essere morto.
Ytmor cercò di non pensare a quell’ipotesi. Senza Ardan erano perduti, fine del discorso. Ardan doveva essere ancora vivo e potente come un tempo. O, insomma, come si diceva che fosse. Erano serviti cento maghi bianchi per ridurlo all’impotenza e chiuderlo in quel sarcofago.
Ytmor sentì che le sue labbra si piegavano in un sorriso soddisfatto, mentre continuava a recitare: cento maghi bianchi per rinchiuderlo e un solo mago nero per liberarlo. Anche se bisognava ammettere che anche Zovesdra si era rivelata utile.
Portò a termine il primo incantesimo, attingendo all’energia degli adepti. Nell’oscurità iniziò a soffiare un vento gelido, che sembrava volerti strappare la pelle di dosso.
Poi si sentì un sonoro tonfo .
Lo strato di pietra del sarcofago si spezzò in due come una noce e le due metà ricaddero pesantemente al suolo, rivelando il secondo strato.
Ytmor non l’aveva mai visto, ne aveva solo letto. Era come dicevano. Un secondo sarcofago, di piombo, su cui erano rozzamente riprodotte le sembianze di un uomo. Rozzamente, ma in modo più dettagliato che sul sarcofago di pietra. Qua si distinguevano le mani intrecciate sulla pancia e si vedevano un naso, degli occhi, dei capelli lunghi e stilizzati.
Zovesdra gettò nei bracieri una manciata d’erba del fuoco e le pareti del tempio si illuminarono di bagliori rossastri e inquietanti.
Ytmor riprese a salmodiare. Il secondo incantesimo era più complesso del primo e richiedeva più energia. Attinse all’energia degli adepti e anche a quella di Zovesdra, che intonava l’incantesimo assieme a lui.
Quando ebbe finito si udì un terribile gemito, accompagnato da un vento caldo, rovente. Il sarcofago di piombo si crepò davanti ai suoi occhi e cadde a pezzi. Gli adepti mormorarono.
Ytmor guardò il terzo e ultimo sarcofago, di cui aveva letto solo vaghe descrizioni. Era di cristallo, lavorato finemente a ritrarre le fattezze di Ardan. Non era stato scolpito da una mano umana, ma dalla magia di chi l’aveva creato. Si vedevano i lineamenti severi e taglienti del volto, gli alti archi delle sopracciglia, gli occhi incassati, la linea dura della bocca. Si vedeva il corpo, coperto da una camicia, i pantaloni stretti, gli alti stivali e, sotto al corpo, il mantello su cui era steso.
La cosa più orribile, tuttavia, era che attraverso lo spesso strato di cristallo si scorgeva qualcosa. Qualcosa di bruno e indistinto... il corpo di Ardan.
Ytmor deglutì e si inumidì le labbra. Guardò Zovesdra e lei annuì. Gettò nei bracieri una manciata d’erba della luce, e sulle pareti del tempio tremolò una luce azzurrata, spettrale. Ytmor iniziò a recitare la terza e ultima parte dell’incantesimo.
Mentre parlava cominciò a sentirsi un rombo. Ytmor si rese conto che stava gridando, in modo che la sua voce sovrastasse quel suono imponente.
Ormai era debole, sfinito, e quelle ultime parole stavano risucchiando tutta la sua forza. Il rombo aumentò e aumentò, coprendo le sillabe finali dell’incantesimo.
Poi uno scricchiolio e un grido. Un grido sempre più potente e acuto, che sbriciolò il sarcofago, frantumandolo come un bicchiere di vetro.
L’essere che era stato rinchiuso per centocinquantatré anni sorse dai frammenti. Ytmor vide che era terribile. Il corpo di Ardan non era che uno scheletro ricoperto di pelle grigiastra, con poche ciocche di capelli sottili, che si sfaldavano mentre sorgeva. Anche delle sue vesti non era rimasto nulla o quasi. Le vide disfarsi e volare via come scaglie di cenere.
Zovesdra si inginocchiò davanti a quella visione terrificante e mormorò: «Bentornato, nostro Signore».
L’essere, la creatura di terrore che era Ardan, si voltò lentamente verso di lei. Ytmor ne vide lo sguardo lucente e vivo, ancor più orribile in quel corpo disfatto.
Non parlò. Allungò semplicemente una mano simile a un artiglio e la posò sulla testa di Zovesdra come se la stesse benedicendo. Per un attimo lei sembrò orgogliosa e felice.
Un attimo dopo era stata consumata del tutto da Ardan.
Ytmor vide il suo corpo disgregarsi come se fosse diventato di sabbia, mentre Ardan riviveva.
La carne ricrebbe sulle sue ossa, la pelle tornò pallida e viva, i denti smisero di sporgere come un ghigno da un teschio, i capelli si fecero folti e scuri, fluenti.
Fino a quel momento aveva fluttuato nell’aria. A quel punto, di nuovo intero, Ardan poso i piedi scalzi sul pavimento di pietra del tempio. I suoi occhi blu passarono in rassegna ciò che aveva intorno, la sua bocca si socchiuse e il suo petto si gonfiò nel primo respiro.
Ytmor cadde in ginocchio.
Temeva che Ardan avrebbe consumato anche la sua essenza come aveva fatto con quella di Zovesdra, ma se era così, era già morto. Non c’era fuga da un essere come quello.
Ardan continuò a guardarsi attorno, quasi spaesato, finché i suoi occhi non si posarono sull’altare e sulla mezza ninfa legata sopra.
La mezza ninfa ricominciò a piangere sottovoce, chiaramente terrorizzata.
Ardan si chinò sul suo viso, scrutandolo in silenzio. Sollevò una delle mani candide, dalle dita lunghe ed eleganti, ora, e le sfiorò uno zigomo. Emise un suono. Un suono sottile, simile a un sibilo ma più dolce. La mezza ninfa allargò gli occhi e smise di piangere.
Quello che accadde dopo lasciò Ytmor attonito.
Ardan salì sull’altare e si sdraiò sul corpo della mezza ninfa. Tutti lo videro iniziare a muoversi lentamente, con grazia spaventosa e con volontà implacabile. La mezza ninfa gemette di dolore, mentre il Signore della Notte la possedeva. Il viso di lui rimase impassibile, i suoi occhi non abbandonarono il viso del Sacrificio, mentre i suoi fianchi si muovevano e il suo membro le affondava dentro come un coltello.
Dopo un certo numero di minuti lo videro accelerare e concludere, umano e inumano allo stesso tempo. Chiuse gli occhi, mentre la mezza ninfa riprendeva a piangere.
Poi Ardan scivolò giù dall’altare, spezzò facilmente i legami che la intrappolavano e la sollevò tra le braccia, alzandone il corpo verso l’alto.
Le sue prime parole furono: «Mia Signora, il prezzo è stato pagato».
Lili si sentì rideporre sull’altare, non bruscamente, ma neppure con delicatezza. Si sentiva intorpidita e intontita, forse per via della paura. Tuttavia ricordava ciò che era appena successo. Si aspettava di morire, invece era stata presa senza tante cerimonie. Nemmeno senza particolare volontà di ferirla, in realtà, anche se ovviamente era ferita, a quel punto. Le bruciava tutto e, cosa più spaventosa, sentiva il seme di quell’essere lavorarle dentro. Lo sentiva perché era per metà una ninfa dei boschi... percepiva intimamente la propria natura.
Vide il rinato, il Figlio del Buio, guardarsi di nuovo attorno.
Individuò lo stregone che l’aveva ridestato, che era ancora in ginocchio, sudato e tremante.
«Tu» disse, con un cenno del mento, «alzati, portami degli abiti. Mi hai liberato da una prigionia secolare... credo che tu possa procurarmi anche qualcosa da mettermi addosso».
Lili si sentiva le palpebre pesanti e non riusciva più a seguire molto bene quello che stava succedendo. Provava un dolore sordo all’altezza della pancia e aveva freddo.
Lo sguardo del Signore della Notte continuava a spostarsi lentamente sulle figure incappucciate che li circondavano, inespressivo.
Lili si rese conto di stare scivolando nell’incoscienza.
Dopo ebbe solo delle vaghe impressioni. Qualcuno la sollevava e la avvolgeva in una coperta o qualcosa di simile. Veniva portata in braccio su per delle scale. Scale e scale senza fine. Vaghe luci oltre le sue palpebre chiuse. Quel dolore sordo e pulsante che non la abbandonava. Poi calore. Qualcosa di morbido sotto al corpo. Cuscini, forse un letto. Scivolò del tutto nel sonno.
Quando si risvegliò ebbe l’impressione che fosse passato diverso tempo.
Si rese conto di essere adagiata sui cuscini di una lettiga. Curiosamente, la lettiga era ferma, con le tende aperte, posata sul pavimento di una sala tetra e buia.
Ardan, il Signore della Notte, era seduto su un trono di legno scuro, intagliato in modo così squisito da sembrare una ragnatela. Ai suoi piedi era inginocchiato lo stregone che l’aveva liberato.
Lili ne udì le voci.
«Capisco» stava dicendo il Figlio del Buio.
«Ma ora che voi siete di nuovo alla nostra guida, mio signore, i loro eserciti si arresteranno e i loro maghi cesseranno di tormentarci, almeno per un po’» mormorò il mago, in un sussurro intriso di paura e di venerazione.
Il Signore della Notte si accarezzò il mento, pensieroso. Era vestito con un ricco abito di velluto nero con impunture d’argento. «Mh. Ma per quanto tempo, Ytmor?» Sospirò lievemente. «Bene, vedremo. È un mondo nuovo, per me. È stata... oh, è stata una lunga prigionia. Quanti anni?»
«Centocinquantatré, mio signore».
«Sì, molto lunga. E ora sono stanco, Ytmor. Tutte quelle... persone mi hanno stancato. La loro speranza, la loro paura... devo riposare».
Il mago piegò la testa. «Sì, mio signore. I vostri appartamenti sono pronti, così come i vostri servitori. Siamo tutti ai vostri ordini».
Il Figlio del Buio rise sottovoce. «Non servono tutte queste sviolinate. Accompagnami alle mie stanze. Fai in modo che venga portata anche la ninfa. Deve restare con me, finché non sarò sicuro che l’Oscura Madre sia soddisfatta di lei». Fece un gesto vago con una mano. «E portatele... non so... quello di cui può avere bisogno. Dei vestiti, del cibo. Anch’io voglio del cibo. Sono affamato».
Di nuovo lo stregone piegò la testa. «Subito, mio signore».
Il Figlio del Buio sospirò debolmente.
Lili capì perché si era ritrovata dentro a una lettiga coperta. Il Signore della Notte la voleva vicino a sé e quello era il modo più comodo per trasportare una donna tramortita. Venne spostata lungo dei corridoi scuri e silenziosi, oltre le porte degli appartamenti che sarebbero diventati quelli del Figlio del Buio.
Sentì lo stregone, Ytmor, spiegare come tutto fosse stato fatto per compiacere il loro signore. Lili guardò quelle stanze tetre eppure lussuose, mentre le attraversava sulla lettiga. Tappeti morbidi sul pavimento di legno scuro, mobili intarsiati, poltrone di raso e velluto e, nell’ultima stanza, un grande letto a baldacchino dalle tende cremisi.
«Portate qualcosa anche per lei. Non può dormire in una lettiga» sentì dire al Figlio del Buio. Era già la seconda volta che si preoccupava di dettagli pratici che la riguardavano. Lili si chiese se ne avrebbe mai saputo il motivo.
Ytmor si inchinò e si congedò e il Signore della Notte si andò a sedere su un divano, allungandosi su un fianco. Diversi servitori silenziosi e vestiti di scuro gli deposero davanti dei vassoi pieni di cibo.
«Anche a lei» disse lui, con un gesto stanco della mano.
I servitori posarono qualche vassoio anche fuori dalla lettiga.
Lili era affamata. Non appena quelli si allontanarono, allungò una mano e si impadronì di un melograno sugoso. Lo mangiò in fretta, per poi ingurgitare anche una fetta di carne e degli involtini dolci.
«Nessuno ti ruberà la cena» sentì la voce del Figlio del Buio.
Lili gli lanciò un’occhiata impaurita, bloccandosi a metà di un gesto. Lo vide portarsi al naso un gambo di sedano pieno di una crema chiara, annusarlo e poi iniziare a sbocconcellarlo.
Non sapeva se potesse rivolgergli la parola, così non lo fece. Annuì come a dire che aveva capito e iniziò a mangiare più lentamente.
Il Signore della Notte divorò tutto quello che aveva di fronte. Quando ebbe finito si alzò con un movimento aggraziato e andò ad accucciarsi di fronte alla lettiga. Scrutò Lili con occhi vagamente incuriositi.
«Chi sei tu?» chiese.
Lei deglutì. «Sono Lili Danim... Danim è il nome di mio padre, Veraim Danim».
«E tua madre?»
«Damtia, una ninfa del bosco».
Il Signore della Notte la guardò in silenzio per qualche istante. «Puoi uscire di lì, Lili figlia di Damtia? Questa posizione è scomoda». Lili lo vide rialzarsi e allontanarsi di un passo. Non poteva fare altro che obbedire, probabilmente, e comunque non voleva rimanere per sempre dentro a una lettiga.
Si avvolse la coperta attorno al corpo meglio che poteva e scivolò fuori. Mentre si alzava in piedi sentì una fitta al basso ventre che le ricordò che cosa era successo solo poche ore prima.
«Mh-mh. Molto meglio» commentò lui, tornando verso il divano. «Siediti, Lili».
Lei obbedì. Si sedette sul lato estremo del divano, tenendo fermo il bordo della coperta che la copriva.
Ardan inclinò la testa da un lato. «Immagino che non sia stato un inizio sfavillante» disse, inarcando le sopracciglia a esprimere rassegnazione. «Centocinquantatré anni chiuso in una tomba e le mie prime gesta non sono state molto simpatiche. Ma devi comprendere che coso, lì, lo stregone leccaculo, mi ha risvegliato, ma quella che mi ha ridato la carne è stata la dea. Dovevo pagarne il prezzo; in questi casi funziona così. Quindi...»
Sospirò lievemente, indicandola con un gesto stanco. «Hai il figlio dell’Oscura Madre, dentro. O lo avrai, è lo stesso. Sperando che Lei non faccia troppo la difficile. D’altronde, sei una mezza ninfa. Non è male. Temo di avere un certo numero di problemi più pressanti, al momento, ma non posso disinteressarmi della cosa, se non voglio ritrovarmi punto e a capo. Resterai vicino a me finché non sarò sicuro che la nostra amabile divinità sia soddisfatta. Devi stare in un bosco?»
Lili scosse la testa. Non pensò nemmeno di mentire. Era troppo spaventata. E che cos’era che aveva in grembo?
«Non... non è necessario. Sono una ninfa solo a metà, m-mio signore».
Lui non sembrò accorgersi della sua paura. Si allungò sul divano, stiracchiandosi le lunghe membra.
«E che cosa ci facevi nuda su un altare?» chiese. «Voglio dire... Ytmor-coso, lì, pensava che ti avrei uccisa... che era pur sempre una soluzione, solo che poi avrei dovuto ingravidare quell’altra tizia, che non mi sembrava esattamente dell’età giusta. Ma eri un sacrificio, no?»
Lili annuì, senza osare parlare.
«Ah, che idiozia. Una volta ti mettevano davanti al naso una candidata desiderosa di concepire il figlio della dea, non una prigioniera nemica terrorizzata e recalcitrante. Perché tu sei una prigioniera, eh?»
Lili si fece forza. «Sì, mio signore».
«Be’, di norma non faccio del male ai miei prigionieri. A meno che non li torturi o non li uccida, è ovvio». Si portò una mano alla fronte. «Mi sento la testa tutta strana. Ho sonno. Ti fa ancora male dove ti ho lacerata, Lili?»
Lei pensò in fretta a cosa rispondere. Quel tizio, quel... quell’ essere era appena risorto da una tomba. Era un’entità potentissima. Del male, dell’oscurità e delle tenebre. Era stato confinato per tenere il mondo al sicuro. Lili non voleva che si arrabbiasse con lei. Scosse la testa.
«Bugia» disse lui, con un sottile sorriso. «Se vuoi posso guarirti, ma se non vuoi non ci perderò il sonno stanotte».
Lei si limitò a guardarlo. Sapeva di essere sul punto di rimettersi a piangere, ma sapeva anche di doverlo evitare.
Ardan sembrò perdere la pazienza. Si alzò e le tese una mano. «Vieni. Guardiamo questo regno sotto assedio».
Tremando, Lili prese la sua mano. Si sentì tirare verso l’alto come se pesasse pochi grammi, poi il Figlio del Buio la condusse verso delle lunghe tende cremisi. Le scostò e aprì la porta che dava su un piccolo balcone.
Davanti a loro si estendeva Stonehill. La Rocca in cui erano sorgeva molto in alto, a strapiombo su un dirupo. Più in basso c’erano i tetti aguzzi e scuri della città, le alte mura e, in lontananza, la vallata e le montagne. Il sole era appena calato e il cielo era color indaco. Oltre il Passo di Dracmere nel cielo si alzavano delle colonne di fumo scuro.
«Mh, sì. Siete vicini, non è vero?»
«C-credo» ammise lei.
Ardan le rivolse un’occhiata sospettosa. «Perché porti il nome di tuo padre?»
Lei restò stupita dall’improvviso cambio di argomento, ma non era la prima volta che le facevano quella domanda, così si strinse nelle spalle. «Dopo una certa età sono cresciuta con lui. Ho preso il suo nome per rispettare le consuetudini dell’Alleanza dell’Est. E mio padre è un membro del Consiglio» aggiunse di sua spontanea volontà. Tanto, se Ardan non lo sapeva già gli sarebbe stato detto presto.
«Oh» sorrise lui, soddisfatto.
Si accarezzò il mento. «Sai che cosa ho fatto per centocinquantatré anni, bloccato in un aderente sarcofago di cristallo, e di piombo, e di pietra? Ti do un indizio: non ho ballato». Le rivolse un sorriso sarcastico. «Ma non ho neppure dormito. Magari. Ho pensato. E credo che tuo padre potrebbe diventare utile».
Lili rabbrividì, ma lui lasciò cadere il discorso. Guardò verso il basso, pensieroso, e finì per scuotere appena la testa.
Poi le andò alle spalle e le mise una mano sul collo. Lili si irrigidì. Ardan non se ne preoccupò. Infilò l’altra mano sotto alla coperta di lei e la posò a coppa sul suo sesso. «Mh, dunque. La guarigione non è esattamente il mio campo, ma...» Lili provò una calda sensazione di piacere. Si piegò in avanti, sospirando. La sensazione si allargò fino al suo interno, fino al suo grembo, dandole un giramento di testa. Ardan la sostenne con chiaro disinteresse, per poi allontanarsi.
Lili ricominciò a respirare normalmente. Era stato... incredibile. E ora non provava più alcun dolore.
«Non dovresti perdere tempo a preoccuparti di un possibile stupro» disse lui, scrutando la vallata. «Non è il mio genere di passatempo, quando non ho una divinità incazzata che mi strilla nel cervello. Ti consiglio di preoccuparti piuttosto di quello che farò a tutti i tuoi cari».
Tornò a guardarla. L’espressione di terribile concentrazione che aveva avuto poco prima ora dissolta in un sorriso divertito. «Inoltre, non vorrei sembrarti immodesto, ma posso distruggere tutta la valle con un colpo di ciglia, la gente di Stonehill mi venera come un dio e ho persino un corpo nuovo, giovane e gradevole: sono sicuro di poter raccattare qualcosa senza grandi sforzi».
Tornò dentro e Lili lo seguì.
«Ma non voglio. Ora voglio solo dormire. Dov’è il tuo letto? Non ho detto che dovevi avere un giaciglio?»
Schioccò le dita, innervosito, e un piccolo essere nero di fumo e ombra si materializzò accanto alla sua testa con uno sbuffo improvviso.
Lili emise un grido soffocato, ma Ardan sembrò felice di vedere quell’esserino malvagio. Gli accarezzò una guancia. «Ecco, piccolo amico. Trova un letto e portalo qua. Poi trova la testa del capo-valletto e mangiala pure». L’esserino scomparve con uno sbuffo.
«Oh, santi dei...» mormorò Lili, retrocedendo verso il balcone.
Ardan le lanciò un’occhiata perplessa. Schioccò di nuovo le dita e lo spiritello ricomparve. «Scusami, piccolo amico. Niente testa, mi dispiace. Fagli prendere un bello spavento e mangia la sua paura, va bene? Niente teste. Deve restare vivo... le donne incinte sono impressionabili».
Si voltò del tutto verso di lei e le mostrò il palmo delle mani, estenuato, come a dire: “Così va bene?”.
Poi si slacciò il farsetto e lo lanciò da un lato. «Sonno. Dormire».
Accanto al suo letto a baldacchino ci fu uno sbuffo di fumo e comparve un letto stretto e pesante, con la testiera a spirali.
«Grazie, piccolo amico» disse Ardan all’aria, mentre si sedeva sul suo letto e si sfilava uno stivale. «Quello è tuo. Controlla che non ci sia dentro niente... sai com’è».
Piuttosto sconvolta, Lili si avvicinò al nuovo letto. Sollevò prudentemente lenzuola e coperte, ma sembrava a posto. Sospirò di sollievo e scivolò dentro. Era morbido e meraviglioso. Forse si sarebbe svegliata e avrebbe scoperto che era stato tutto un incubo.
Chiuse gli occhi cercando di convincersi che sarebbe stato così.