2. IL GIOCATORE PROFESSIONISTA-2

2010 Words
- Quando arriva quel tizio? - domandò. - Dovete avere pazienza, Bud - ribatté Sir George. - Il nostro amico, il signor Soltykoff, è un gentiluomo un po’ originale e perde abbastanza tempo a bere. E, come sapete, chi si dedica alla bottiglia non bada molto alla puntualità, perciò è probabile che compaia con un certo ritardo. - Spero che si faccia vedere presto - disse Toady nervosamente. - Quell’uomo è pazzo da legare ad andarsene in giro per Monte Carlo con centomila sterline in tasca, tenuto conto che per queste strade si possono incontrare i peggiori soggetti i tutta Europa. -Non tutti - obiettò allegramente Sir George. - Ne conosco almeno tre che stanno comodamente seduti sulla veranda dell’albergo Monaco Palace. Però condivido la vostra apprensione - proseguì. - Sarebbe un peccato se, dopo aver tanto faticato a organizzare e programmare tutto, quel bel malloppo, che, secondo giustizia, dovrebbe finire nelle nostre tasche, cadesse nelle mani di qualche ladruncolo di bassa lega incapace di apprezzarne ii giusto valore e di impiegarlo in nodo adeguato. - Questa non l’ho capita - sbottò bruscamente Bud Kitson. - Io ero convinto che questo tizio fosse anche lui un socio, insomma, uno dei nostri. E invece, com’è la storia? Sir George lo guardò divertito. - La storia è molto semplice - cominciò a spiegare pazientemente. - Il signor Soltykoff è un uomo enormemente ricco; è un industriale di Mosca che finanzia alcuni dei nostri più interessanti progetti... ad alcuni dei quali - aggiunse ciondolando solennemente il capo - voi siete interessato in prima persona. Il fatto che sia un nostro socio non esclude che sia anche un babbeo. Sì, un babbeo - ripeté con soddisfazione Sir George - nonostante si stia parlando di uno dei più noti uomini d’affari dell’intera Russia, il quale, pur restando dietro le quinte, ha svolto un ruolo primario in alcune delle più ambigue operazioni finanziarie effettuate in Europa e nonostante la circostanza, ancora più interessante, che sia in procinto di acquistare, questa sera stessa o, al massimo, domani, il brevetto di un’invenzione che potrebbe renderlo uno degli uomini più ricchi del mondo. Forse non avete spiegato tutto questo all’amico Bud? - domandò e Wilton scosse il capo perché non aveva ritenuto necessario dare delle spiegazioni a colui che considerava poco più di un imbecille. Però qui si sbagliava. Bud Kitson, rapinatore di banche e uomo dalle maniere sbrigative era un delinquente di prim’ordine e aveva conosciuto quasi tutti gli istituti di pena del suo paese, ma non era un idiota. - Ora vi spiegherò tutto - disse Sir George, piegandosi sul tavolino e cominciando a parlare rapidamente. Era dotato di un’eloquenza sciolta e professionale, si esprimeva in modo preciso e aveva completamente abbandonato i soliti modi sfuggenti e beffardi. - Soltykoff è un industriale del vetro, forse il maggiore della Russia e, da anni, tenta invano di produrre del vetro flessibile, cioè lastre di vetro in grado di piegarsi senza rompersi, come se fossero un taglio di stoffa. Da almeno un secolo tutti i chimici industriali del mondo stanno cercando, senza successo, di risolvere i problemi tecnici per creare questo tipo di prodotto, ma Soltykoff è così fiducioso nella possibilità di ottenere quel materiale da proporre una pubblica offerta di venticinquemila sterline più i diritti di sfruttamento a favore dell’inventore in grado di produrre un vetro con tutti i requisiti da lui richiesti e, alla fine, sembra che abbia trovato l’uomo giusto. Di chi si tratti, io non lo so - precisò Sir George stringendosi nelle spalle - ma credo che viva da queste parti o a Nizza in modeste condizioni economiche. Sembra anche che siano state avviate delle trattative e che siano stati prodotti dei campioni di quel vetro e quindi Soltykoff è venuto qui, sulla Costa Azzurra, per concludere l’affare. Ora avete capito? Bud Kitson annuì. - È uno di quei russi munifici che non fanno un passo senza avere nel portafogli grosse somme di denaro - riprese Sir George. - Probabilmente sta girando con centomila sterline in tasca e con l’intenzione di pagare qualunque prezzo l’inventore possa chiedere, anziché trattare per ottenere il brevetto a un prezzo equo e realizzare un ragionevole risparmio. Ebbene - continuò lentamente, picchiettando con il dito sul tavolino di marmo per dare enfasi al suo discorso - non capita ogni giorno che la Divina Provvidenza mandi a dei poveracci come noi, già completamente privi di rispetto verso la proprietà, un uomo in possesso di centomila sterline in contanti o in banconote francesi, il che è la stessa cosa, visto che nessuno rileva mai i numeri di serie. Quindi non mi importa sapere se è un socio o un complice e qual è il suo ruolo rispetto a me, so solo che il denaro è tanto, buono e a portata di mano. Potremmo frequentarlo per anni, forse per decenni, e non trovare mai più un’occasione altrettanto favorevole dalla quale ricavare un così grande guadagno; inoltre - continuò scrollando le spalle - è sempre mezzo ubriaco, perciò non esiste alcun motivo per cui dovremmo rinunciare a trame un duplice vantaggio. - Che cosa intendete dire? - domandò Bud, abbassando la voce. - Se non ho capito male, praticamente gli facciamo la posta e lo ripuliamo prima che vada a comprare questo brevetto? - No - ribatté Sir George sorridendo. - Lasciamo che compri il suo brevetto. Non c’è motivo di derubare il povero inventore della giusta ricompensa per la sua perseveranza e ingegnosità. Ma, se sarà possibile, ci prenderemo quello che avanza. Mi capite, ora? - Chiaro - confermò Bud Kitson annuendo col capo. - E ora... - riprese il baronetto, ma un’occhiata di Toady Wilton gli fece interrompere la frase appena iniziata. Qualcuno stava risalendo i larghi gradini di marmo che conducevano alla veranda. Era un uomo sui quarantacinque anni dall’aspetto trascurato, con una lunga barba nera e il cranio calvo. Quest’ultima caratteristica era evidenziata dal fatto che teneva il cappello in mano e si tergeva la fronte con un fazzoletto ampio e dai colori vivaci. Improvvisamente mancò un gradino, inciampò e quasi cadde. Il baronetto e Toady Wilton si scambiarono un’occhiata di intesa; certamente Soltykoff, quel giorno, aveva iniziato le sue libagioni piuttosto presto. - Ah, eccovi qua! - esclamò. Il russo parlava inglese correttamente, con solo un lievissimo accento straniero. Infatti il padre, anch’egli un ricco industriale, lo aveva inviato in Inghilterra a compiere gli studi. - Mi fa davvero piacere vedervi. Così dicendo, abbracciò espansivamente il baronetto, e lo avrebbe anche baciato sulla guancia, secondo l’uso slavo, se lo schizzinoso Sir George non si fosse rapidamente ritratto. - Sì, lo so. Vi ho fatto aspettare - esordì giovialmente - ma ho incontrato molte avversità; oh, amico mio, se sapeste quanti problemi! Questa maledetta Monte Carlo è strapiena di gente, non riuscivo quasi a camminare per la strada e non avevo neppure a disposizione la mia automobile. E intanto pensavo tra me: i miei amici mi stanno aspettando e mi sentivo così avvilito perché non potevo essere da loro all’ora convenuta! Si intuiva una certa difficoltà a trovare i termini corretti perché, evidentemente, aveva poche opportunità di conversare nella pur familiare lingua inglese. Egli infatti non si recava a Londra per divertirsi e, come molti altri russi benestanti, preferiva le spumeggianti amenità di Parigi ai seriosi intrattenimenti della capitale britannica. - Inoltre, posso fermarmi solo per poco tempo - aggiunse - perché questa sera stessa devo recarmi a Nizza per un colloquio con il mio grande inventore. - Siete davvero un uomo straordinario! - esclamò Sir George con ammirazione. - Diavolo! Quando volete, voi russi siete capaci di dare dei punti agli uomini d’affari britannici e anche di batterli sul tempo. Soltykoff alzò le spalle. - Ci sono molte altre situazioni - obiettò asciutto - in cui gli inglesi possono darmi quelli che voi chiamate punti senza grande difficoltà. Non c’era alcun dubbio sul fatto che avesse bevuto parecchio, ma quell’uomo aveva l’innata capacità, tipica di diversi suoi compatrioti, di mantenere intatte le facoltà intellettive anche con una quantità di alcol in corpo tale da far stramazzare grossi bevitori di altri paesi. - Cominciavamo a essere preoccupati per voi, signor Soltykoff - disse Toady Wilton, sorridendo in un modo che voleva essere accattivante. - Voi preoccupato per me? E perché mai? - domandò il russo, sorpreso. - Il mio amico vuol solo farvi intendere che non è saggio, di questi tempi, andarsene in giro per questa città con le tasche piene di denaro - intervenne scherzosamente Sir George. Soltykoff scoppiò a ridere, batté le mani per chiamare un cameriere e ordinò una bottiglia grande di champagne dolce, facendo rabbrividire Sir George al pensiero di dover trangugiare un tipo di vino che lo disgustava in modo particolare. - Il mio denaro è qui - disse, aprendo il pesante soprabito e mostrando una grossa tasca cucita all’orlo interno. Sir George aveva già notato il rigonfiamento sul petto del soprabito e, intuendo quale fosse il contenuto, aveva tirato un bel sospiro di sollievo. - È qui - ripeté Soltykoff non senza orgoglio, poi estrasse un voluminoso portafogli e lo sbatté violentemente sul tavolo, rovesciando con assoluta indifferenza bicchieri e tazzine da caffè. Non mancò di scusarsi immediatamente per l’atto maldestro e poco urbano, ma Kitson, uomo che non mancava di un certo acume, notò che, malgrado la profusione di scuse e l’esibizione di sconcertato rammarico, la mano del russo non si era mai staccata dal portafogli scuro. - Questa sera - riprese - andrò a Nizza a trovare il mio amico. - Tutto è ormai sistemato ed entro domani sarò in possesso della formula chimica di un prodotto che farà meraviglie in tutto il mondo. Parlando si agitava e muoveva le mani freneticamente, mentre sul faccione gioviale si leggeva chiaramente la gioia di un’attesa ormai prossima alla conclusione. - Faremo strabiliare il mondo, amico mio - proseguì. - Vedrete! È un’invenzione eccezionale, la più significativa e interessante del nostro tempo. Capite quello che dico? Il mio inglese non è molto buono - si scusò - specialmente quando mi capita di bere un goccio di vino più del solito. - Non dovete scusarvi, signor Soltykoff - lo interruppe affabilmente il baronetto. - Non avrei mai creduto che voi, questa sera, aveste bevuto qualcosa. - Il russo scoppiò a ridere fragorosamente, poi ripose il portafogli nella tasca. - E invece ho tracannato parecchio - ribatté. - Tre bottiglie di champagne, perciò mi sento in uno stato che voi definireste di grande buonumore. Ma ora torniamo ai nostri affari. E, così dicendo, si assestò sulla sedia in modo da fronteggiare tutti e tre i suoi interlocutori. - Se non ho capito male, voi signori desiderate fare un grosso colpo alle corse dei cavalli. Voi pensate che sia possibile riuscirci e che si possa ricavarne una grossa somma di denaro. Io stesso sarò in Inghilterra per il vostro derby riservato ai puledri di tre anni e questo sarà certamente per me un grande piacere; ma io non vi chiedo - continuò, alzando pomposamente la mano con la dignità solenne degli ubriachi - non vi chiedo altre spiegazioni e non perché tema che in questo piano ci sia qualcosa di poco corretto. Mi basta che si possa ricavarne denaro e divertimento. Mi basta anche... - e si inchinò a Sir George - che voi siate un nobile gentiluomo britannico, quindi tutto è a posto. Mi offro di finanziare l’impresa... ditemi, a quanto ammonta il capitale necessario? - Avremo bisogno di almeno cinquemila sterline - disse Sir George. - Cinquemila sterline - ripeté Soltykoff pensoso – cioè cinquantamila rubli. Voi potete darmi delle garanzie, immagino? - La garanzia del mio nome - affermò solennemente Sir George. - È sufficiente - ammise il russo. - Cinquantamila rubli, avete detto; d’accordo! Li avrete domani. - Poi corrugò la fronte e restò per un attimo pensoso. - No, non domani - si corresse. - Partirò per Parigi questa notte stessa. Vi darò un assegno tratto sulla mia banca, il Crédit Lyonnais. Ho un conto aperto presso la sede centrale di Parigi.
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