1. LA DONNA IN NERO

1563 Words
1. LA DONNA IN NERO- Maledetta sfortuna! La voce roca dell’uomo risuonò seccamente, soverchiando il chiacchiericcio sommesso delle persone accalcate attorno al tavolo e i giocatori si guardarono intorno, assumendo un’espressione del viso incuriosita o indignata secondo il temperamento e l’umore di ciascuno di loro. Videro un uomo di circa cinquantacinque anni dal viso magro e scavato e con le guance coperte da un velo di barba grigia non rasata da almeno un paio di giorni che fissava il tappeto verde con i suoi occhi scuri che scintillavano febbrili e astiosi. Indossava un abito da sera sgualcito, il petto della camicia era scolorito e logoro e i pantaloni ricadevano flaccidi sopra le scarpe lucide ma consunte. Le mani, non molto pulite, tremavano visibilmente mentre, con un gesto di sconforto, le sollevava verso il viso e un tic nervoso alle labbra tradiva, senza ombra di dubbio, la sua assuefazione all’oppio. - Che sia maledetta Monte Carlo - continuò a imprecare con voce stridula e spezzata. - Mai avuto un briciolo di fortuna qui; andrò a spassarmela a Nizza, ecco dove andrò! Era la protesta esasperata di un uomo qualunque, ma il vestito che indossava era quello di un poveraccio e, in realtà, John Pentridge era un uomo qualunque e un poveraccio. Un impeccabile commesso si avvicinò con modi cortesi ma risoluti. - Il signore desidera forse rilassarsi per un po’ fuori dalla sala da gioco? - gli chiese educatamente. L’uomo lo guardò di traverso. - No, intendo restare qui - grugnì. - Vi siete presi il mio denaro. Che cosa volete di più? - Chiedo scusa, ma il signore disturba gli altri giocatori - ribatté, sempre educatamente il commesso, al quale, nel frattempo, si erano silenziosamente affiancati altri due colleghi. - Ho detto che voglio restare qui... tenete giù le mani! - urlò, ma i tre uscieri lo avevano già afferrato per le braccia e lo stavano spingendo con gentilezza e decisione verso la porta girevole della sala. Pentridge avrebbe voluto lottare e reagire, ma si rendeva conto che, nello stato di debolezza in cui versava, non sarebbe mai riuscito a tenere testa ai tre uomini. - Ritornerò domani - urlò, quasi, mentre veniva spinto verso la porta. - Ritornerò e vi pagherò. Posso comprarvi tutti! Ho un milione di franchi in tasca, come è vero che c’è Dio! Un milione... branco di ladri e di... Intanto erano arrivati davanti alla porta del salone e lì, improvvisamente, Pentridge si arrestò, volgendosi a fronteggiare i commessi. I tre pensarono che volesse fare ulteriore resistenza e si disposero a usare metodi ancor più sbrigativi, ma l’uomo abbassò inaspettatamente il tono della voce. - No, no, no! - ansimò spaventato. - No, vi prego... guardate là... quella donna! Per l’amor di Dio, non permettete che mi veda in questo stato! Parlava rapidamente, in francese, e, seguendo la direzione del suo sguardo, i tre commessi videro una ragazza che sostava, in piedi, ai centro del salone adiacente. Era giovane e bellissima, vestita in modo semplice ma raffinato con un elegante vestito nero di alta sartoria. Portava un cappello, anch’esso nero, ma nel suo abbigliamento non c’era nulla di triste o funereo, al contrario esprimeva una composta e signorile riservatezza. Era inconsueto vedere una donna così elegante già a quell’ora della sera e doveva essere appena arrivata con un’automobile perché reggeva ancora sul braccio un soprabito da viaggio. - Per favore, fatemi uscire da un’altra parte - implorava il poveraccio, dal cui viso era svanita ogni aggressività, lasciando il posto a un penoso stato di panico. Il capo dei commessi esitava. Vide che la ragazza veniva raggiunta da un uomo dai capelli grigi di statura piuttosto alta e, per un attimo, i due sembrarono intenzionati a dirigersi verso la sala da gioco. - Da questa parte - disse infine il commesso, impietosito dall’evidente stato di disperazione dell’uomo e lo condussero verso una porta laterale che immetteva in una sala più piccola, dalla quale uscirono sul piazzale antistante il Casinò. Il capo dei commessi si rivolse di nuovo a Pentridge con cortesia professionale: - Signore, sono spiacente di informarvi che la direzione vi invita a non farvi più vedere nel nostro Casinò. John Pentridge estrasse un fazzoletto sporco dalla tasca e si deterse la faccia stravolta. - E adesso siamo a posto - mormorò tra sé, senza badare alle parole del suo interlocutore. - Questa notte mi sbarazzerò di quelle carte. - Ora parlava da solo e in inglese. - Ecco, la mia è proprio una vita da cani - mugugnò consolato. - In ogni angolo d’Europa vengo sbattuto sulla strada... pfui! Poi si ricordò dei tre uomini che gli stavano ancora davanti. - Allons! Guardate qua, miei coraggiosi moschettieri! - esclamò sarcastico. - Tornerò domani e vi comprerò tutti... comprerò voi e anche il vostro stramaledetto Casinò, che il diavolo se lo porti! Dopo aver proferito questa oscura minaccia si allontanò barcollando, raggiunse il più ampio piazzale sottostante e scomparve tra la folla. Però qualcuno lo aveva notato. Un uomo più o meno della stessa età, malvestito quasi come lui lo seguì nel suo percorso in direzione di La Condamne e, quando una mano si posò sulla sua spalla, Pentridge si girò di scatto ringhiando un’imprecazione. - Salve, Penty! - disse una voce dal tono pacato e carezzevole. - Non vorrai lasciare nelle peste un vecchio socio... il povero Chummy, vero Penty? Non devi dimenticare un amico che ti ha sempre dato una mano con lealtà e sollecitudine. Pentridge si accigliò. - Oh, sei proprio tu? - chiese sprezzante. - Ebbene, che cosa vuoi? - La mia parte, Penty - ribatté l’altro, con il viso rugoso e avvizzito che risaltava alla luce del lampione come una scultura lignea, mentre gli occhietti mobili e vivaci ammiccavano malignamente. - Vecchio mio, io e te siamo stati per anni nella stessa barca, o sbaglio? - continuava a dire con quella voce melliflua e irritante. - Non siamo stati insieme a Oslo? Certo, non era come ai bei tempi di Melbourne, Penty... Dio Onnipotente! Ah, come vorrei trovarmi ancora nella cara vecchia Melbourne... ti ricordi quel giorno a Fleminton, quando Carbine vinse la coppa? - Ascoltami bene, Chummy - ribatté Pentridge affrontando con durezza il suo interlocutore, e la sua faccia era livida per la rabbia. - Visto che tu sei un vecchio rottame e io ti seguo a ruota, visto che entrambi viviamo in questo squallido continente solo perché non abbiamo mai avuto il coraggio e il buon senso di andarcene, ebbene, non ti devi permettere di venire da me a scroccare. Anni fa hai già avuto la parte che ti spettava della merce che portammo dall’Australia... tu hai avuto sempre la tua fetta per tutti i lavori che abbiamo fatto insieme... - Ma niente per il colpo grosso - corresse educatamente l’altro - niente per quello che tu chiamavi il brevetto. Ecco, Penty, tutto quello che io ho aspettato per anni. Sai, c’è un tizio qui, a Monte Carlo... un russo che sta spifferando ai quattro venti di una geniale invenzione che sarebbe in procinto di acquistare da qualcuno. Suvvia, Penty! Non è possibile che tu non ne sappia nulla - concluse in tono dimesso, quasi scusandosi. - È questo il malloppone che pretendo, perché io ho dato una mano quando si trattava di acchiapparlo. E se non fai il bravo, potrei andare subito, questa sera stessa - riprese poi con tono solenne - a trovare un certa giovane ragazzina appena arrivata qui a Monte Carlo e che tra un’ora tornerà a Marsiglia... ebbene, potrei andare da lei e... - Basta! - sibilò Pentridge, torcendo la faccia. - Muoviti, discuteremo di tutto, ma seguimi a una certa distanza. Non voglio che ci vedano insieme. Detto questo, condusse il vecchio socio, sempre tenendolo a distanza attraverso la folla, fino a un tranquillo quartiere di Monte Carlo, dove le ville dei ricconi immerse nel loro splendido e riposante isolamento permettevano una conversazione più tranquilla e discreta. Pentridge si infilò attraverso il cancello aperto di un’imponente e sontuosa abitazione. - Dove stai andando? L’uomo chiamato Chummy si ritrasse sospettoso. - Andiamo a fare una chiacchierata, oppure no? - lo incalzò Pentridge. - Ho un amico che abita qui. L’altro lo seguì riluttante lungo il vialetto che conduceva all’ingresso di una villa, fiancheggiato su entrambi i lati da una fitta macchia di tigli, mentre Pentridge tastava con le dita il piccolo e micidiale tirapugni che teneva sempre in tasca. - Ecco, io la vedo in questo modo... - esordì Chummy, in quel momento il suo interlocutore si voltò di scatto ringhiando come una belva feroce, e lo aggredì saltandogli gola. Pochi minuti più tardi Pentridge ripercorse furtivamente il vialetto, dirigendosi a buon passo verso il lungomare. Quando raggiunse la stazione, soddisfatto perché nessuno lo aveva visto in compagnia dell’amico di un tempo, il treno per Nizza si stava già muovendo e fece appena in tempo a saltare su una carrozza quasi vuota. Effettivamente Pentridge non aveva sbagliato i suoi calcoli perché, il mattino successivo, quando vennero scoperti i resti di colui che era stato un uomo, la polizia non poté avvalersi di alcun testimone e, in considerazione del fatto che un omicidio non è un bel biglietto da visita per la promozione pubblicitaria e turistica del minuscolo e ameno principato, l’inchiesta venne archiviata nella stessa giornata e Chummy Gordon da Melbourne altrettanto rapidamente seppellito.
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