2.

2681 Words
2. Ma la serata non era ancora finita. Servii altri tavoli e sopportai altre mani. Qualcuno puntava al culo, qualcuno alle tette, qualcuno, più raramente, dritto al primo premio, ma di solito si limitavano a palpare, accarezzare, toccare. Era difficile che provassero a infilarmi le dita dentro, anche se succedeva almeno un paio di volte a serata. Passò almeno un’ora, poi Tatjana mi disse di andare a sparecchiare nel separé. Pensavo che se ne fossero andati tutti, ma quando entrai trovai Dane seduto nell’angolo in cui era prima, in penombra. Aveva messo i piedi sul tavolino, tra i resti di cibo e i bicchieri, posizione che metteva in mostra le sue gambe lunghe e snelle nei jeans un po’ sdruciti e il calcio di una pistola che spuntava dalla sua cintura. Confesso che mi colpì di più il secondo dettaglio. «Cassidy. E poi?» mi chiese. «Stiger, signore». Iniziai a mettere sul vassoio la roba che dovevo portare via. Il suo sguardo serio e attento mi metteva profondamente a disagio, ma Tatjana non sarebbe stata felice se fossi tornata indietro senza sparecchiare. «Potresti farlo di mestiere». «C-che cosa?». «Bocchini. E anche tutto il resto. Sei molto più bella delle ragazze del Vegas... potresti farci un bel po’ di soldi». Strinsi le labbra, continuando a sparecchiare. «Ci penserò, signore». Lui rise e tolse i piedi dal tavolo. Si sporse verso di me, appoggiando i gomiti sulle ginocchia. «No, non lo vuoi fare. Puoi anche dirlo... sai che cosa me ne frega. Ma stanotte credo che non possa tirarti indietro». Deglutii e tornai a guardarlo. «In che senso...» Lui si alzò. Il mio naso arrivava alla sua spalla – e avevo otto centimetri di tacco. «Nel senso che ora appoggi quel vassoio, vai a prendere la borsa, il cappotto... nient’altro, per favore... e vieni via con me. Un paio d’ore, millecinquecento dollari. Non è male, no?». Che cacchio potevo rispondergli, in ogni caso? Non penso che “no” fosse una risposta contemplata. «V-va bene, signor Savard». «Datti una mossa. Ti aspetto all’uscita sul retro». +++ Salii sul sedile posteriore del SUV nero ancora in slip, reggiseno e autoreggenti, con il cappotto sotto braccio e la borsa in mano. Fuori ci dovevano essere due gradi e nei pochi metri tra l’uscita posteriore del Vegas e la macchina mi congelai fino al midollo. Uno dei gorilla di Dane chiuse lo sportello alle mie spalle, mentre Dane stesso chiudeva il suo. L’autista mise in moto e io guardai il gangster che mi aveva appena presa a noleggio, lo volessi o meno. Non sapevo che cosa aspettarmi, ma comunque ero rassegnata. «Vieni qua» disse lui. «Un ginocchio di qua, l’altro di là». Gli salii sopra a cavalcioni. Con le mani non sapevo che cosa fare, così gliele posai sulle spalle. «Va bene?» chiesi. «Non credo... di saperlo fare». «Non devi fare niente» disse lui. «Guardami». Spostai gli occhi nei suoi, anche se era difficile. Non avevo altra scelta e comunque i soldi mi servivano per un ottimo motivo, ma mi vergognavo lo stesso. E da ragazza ne avevo fatte di tutti i colori, ma non mi ero mai prostituita. Comunque... si cresce e si cambia, non dicono così? Guardai quegli occhi blu e pensierosi. Mi ricordava un predatore, non solo per il naso da leone e non unicamente perché sapevo che lo era davvero. Aveva lo sguardo riflessivo e distaccato del gatto che sta per saltare sul topo. Non per rabbia o per cattiveria, ma perché deve, è quello che fa, non ha mai contemplato altro. Anche Dane aveva quello sguardo, ma lo aveva sempre, che stesse per sbuzzarti o che stesse per toccarti le tette. In quel caso mi toccò le tette, con un lieve sorriso quasi beffardo. Lo fece al di sopra del reggiseno e un istante dopo capii il perché. «Se una volta arrivati a casa ti chiedessi di farti una doccia lo considereresti offensivo?». Fui io a rivolgergli un sorriso quasi beffardo, a quel punto. «No, signore, ma comunque mi sono già lavata dopo che il suo amico ha preso di mira le mie tette». Dane grugnì e mi fece scivolare le mani sotto al reggiseno. Mi palpò le mammelle e mi accarezzò delicatamente i capezzoli. Continuai a guardarlo, dato che gli piaceva così. Le sue mani erano grandi come pale, magre e muscolose, con le vene in rilievo e le unghie curate. Scivolarono lungo i miei fianchi, fermandosi sulle mie natiche. Le strinsero e le separarono... mi tirarono verso di sé, in modo che il suo bacino fosse sotto la mia fica. «Strusciati» disse. Ci provai. Provai a strofinargli il sesso sul pacco e i seni sul viso. Lui mi baciò una spalla e mi tirò gli slip verso l’alto, fino a incastrarmeli tra le natiche e tra le grandi labbra. «Posso farti quello che voglio? O c’è qualcosa che davvero non sopporti?». «Non... lo so, signore. Se può fare... se può non farmi... troppo male, ecco». Lui rise. «Non ti farò male. Non mi piace fare male alle donne, quando scopo». «O-okay». «Quello che volevo dire è: c’è qualcosa che ti disgusta o ti ripugna ideologicamente? Succhiare cazzi no, si è visto. Farsela leccare?». Scossi la testa. «Qualche posizione? A pecora, a smorzacandela, prostrata, a carriola?». «N-non penso». «Posso pisciarti in faccia?». Abbassai lo sguardo. «Devo... berla?». Lui si mise di nuovo a ridere. «No, stavo scherzando. Ora mettiti il cappotto». +++ Del suo appartamento vidi solo il corridoio, la stanza da letto e il bagno. Appena entrati mi portò subito in camera, così non vidi altro che un corridoio con dei quadri astratti e la sua camera, dal letto molto grande e coperto da un piumino candido. Una vetrata dava sulla zona sud di St. Martin, subito prima del centro città, e in lontananza, tra i palazzi, si vedeva il fiume. «Spogliati» mi disse, sedendosi sul letto. Iniziò a slacciarsi una scarpa. Mi liberai del completo, degli stivaletti e degli autoreggenti. Restai nuda davanti a lui e lasciai che mi guardasse. Non capii se gli piacessi davvero o se per lui fossi una specie di capriccio. Prima mi aveva definito “bella”, quindi forse gli piacevo. In realtà sono sempre stata carina, mai bella. Ho le tette piuttosto piccole, ma tonde e sode, le gambe lunghe e un po’ troppo magre, con le ginocchia sporgenti. Ho un gran bel culo, dei capelli lucidi e dai riccioli scuri, gli occhi verdi-castani e il naso un po’ all’insù. «Sul serio, puoi farti una doccia, se vuoi». Annuii e lui mi indicò la porta del bagno. Cercai di fare presto. Ci misi un po’ a capire come funzionasse la sua vasca, poi a scegliere tra i vari bagnoschiuma, ma dopo mi sbrigai e cinque minuti più tardi mi stavo asciugando energicamente con un telo. Uscii con quello avvolto attorno al corpo, non so nemmeno perché. In fondo che cosa stavo per fare? Sesso con Dane, lì, no? Perché perdere tempo con il pudore? Prima iniziavamo prima finivamo. “Un paio d’ore” aveva detto lui. Se fossero state meno, anche meglio. Lo trovai appoggiato alla testiera del letto, nudo, con un paio di mezzi occhialetti sulla punta del naso e un tubetto in mano. Aveva spento la luce principale e acceso quelle sui due comodini e tutto era avvolto in un alone caldo, rosato. Quando entrai mi lanciò un’occhiata distratta. «Le scritte sono microscopiche, qua sopra» disse, forse per giustificare la presenza degli occhialetti. Se li tolse in quel momento e li lasciò sul comodino. Un po’ preoccupata, guardai da lui al tubetto. Di lui mi preoccupavano diverse cose. Il peso, per cominciare. Era davvero alto, più di un metro e novanta, e anche se era piuttosto snello aveva le spalle larghe e il petto ampio, quindi doveva pesare un bel po’. Avevo paura che mi schiacciasse. Inoltre avevo paura che mi facesse male senza neppure accorgersene, solo perché sembrava così forte e muscoloso. Mi preoccupavano anche le dimensioni del suo attrezzo, che sembrava proporzionato al resto. Del tubetto mi preoccupava non sapere che cosa fosse, ma almeno a quello potevo ovviare. «Che cos’è quello?» chiesi. «Oh, lubrificante. Stavo controllando che non sciogliesse i preservativi o roba del genere. Credo che potresti mollare quel coso e salire sul letto». Annuii. Ero ancora preoccupata, ma ero anche rassegnata. Non pensavo che volesse farmi male, ma ero piuttosto sicura che sarebbe successo. Mi preparai mentalmente a sopportare il dolore. Lasciai il telo su una sedia e gattonai fino a lui. Seduta sui talloni, mi sciolsi il laccio che mi teneva fermi i capelli. «Bello. Vieni qua. Qua. A quattro zampe. Resta così. Puoi chiudere gli occhi, se vuoi». In effetti se non lo vedevo era più semplice. In ogni caso non avevo alcun controllo, quindi non faceva differenza sotto quell’aspetto. Sentii le sue mani sui fianchi, carezzevoli. «Shh» disse lui. Mi resi conto che tremavo. Era stupido e non avrei voluto, ma non potevo impedire al mio corpo di esprimere così la mia paura. «Sono solo... agitata. Ora mi passa». Sentii le sue labbra su un fianco. «Ma certo. Non ho fretta. Non mi attizza che tu abbia paura. È un desiderio più semplice, o forse la curiosità di qualcosa di diverso. Che cosa facevi, prima di trovare lavoro al Vegas?». «L-l’infermiera» dissi. «L’ospedale sulla 56esima». Le sue labbra percorsero lentamente tutto il mio fianco. Si appoggiò su un gomito, credo, perché il materasso dondolò, poi iniziò a baciarmi i seni. «Infermiera. È un bel salto. Che cosa hai combinato?». «Ho rubato... dei farmaci... mi hanno... beccata...» La sua bocca scese piano-piano. La mia pancia... poi più giù, fino a mordicchiare il mio monte di Venere. «Soldi-soldi... quanto hai bisogno di soldi, mh? È qualcosa che hai tu? Sei malata, piccoletta?». «No... no, non ho nulla. Non sono... per me». Sentii la sua lingua nella fessura della fica e mi sembrò di svenire. Non poteva scoparmi e basta? Doveva per forza renderlo così... intimo? «Bisogna che ti rilassi un po’, tesoro, o dovremo lasciar perdere. Sai, non riesco a credere che tutto considerato preferissi Ned a me». Socchiusi gli occhi. «Mi dispiace» mormorai. «Mh-mh». Tornò ad accarezzarmi un fianco. «Sei proprio una meraviglia. Vieni qua. Sdraiati e basta, okay?». Mi stesi su un fianco, poi rotolai fino a trovarmi a pancia in su. Mi sentivo esposta e non mi piaceva, ma mi costrinsi ad aprire un po’ le gambe. «Perché non viene qua lei, invece? Facciamolo e basta». Dane mi accarezzò la fica. Tocco delicato per mani così grandi. Ma continuavo a tremare leggermente e là sotto ero tutta irrigidita. «Non sei nervosa, sei spaventata. Hai paura che ti spari?». «N-no». Prese il tubetto di lubrificante e se ne strizzò un po’ sulle dita. Riprese ad accarezzarmi la fica... fluido fresco e viscido tra le grandi labbra... la sua bocca su un capezzolo. Volevo solo che finisse tutto. «Chiudi gli occhi. Quand’è stata l’ultima volta che sei andata a letto con qualcuno?». «N-non lo so... forse un anno fa, Brad? Avevamo bevuto». Il suo dito mi scivolò dentro alla fica. Era scivoloso, molto ben lubrificato, eppure il senso di intrusione fu forte. «Come sono andate le cose? Non prima, sai... il sesso. Raccontamelo. Dove eravate?». Il suo dito era fermo... avrei tanto voluto che lo togliesse, mi bruciava un po’, ma finché restava fermo era sopportabile. «In macchina. Cioè, ci eravamo baciati, da Harry’s... ci eravamo baciati un sacco e lui mi aveva palpato le tette e, niente... abbiamo deciso di andare da lui». Dane iniziò a sfiorarmi il clitoride con il pollice. Leggero come una piuma. «E mentre eravate in macchina...» Presi fiato. «Gli ho toccato il cazzo... mentre guidava. Volevo solo stuzzicarlo un po’, ma gli è venuto duro... così duro...» Continuava a toccarmi pianissimo, ma ora, con l’altra mano, mi guidò la mano sul suo cazzo. «Così duro?». Ridacchiai. Era... un pezzo di granito, semplicemente. Un grosso pezzo di granito, con la cappella sul punto di esplodere, a giudicare da quant’era tesa la pelle. Lo accarezzai piano. Mi leccai la mano e tornai ad accarezzarlo. «Quindi... eravate in macchina. Gli hai toccato il cazzo e gli è venuto duro come a me. E poi?». Il suo pollice accentuò leggermente la pressione. Era gradevole. Il suo dito, dentro, non era più un intruso. Mossi lievemente il bacino, cercandolo. «Ci siamo fermati in un vicolo. Ci siamo baciati ancora... toccati. Gliel’ho tirato fuori... mi sono infilata tra i sedili, lui mi ha seguito sui sedili posteriori. Avevo un vestito corto... l’ha tirato su... giù i collant e gli slip...» Mentre parlavo lo masturbavo. Non avevo idea di come sarei riuscita a prendere quella cosa dentro. Sembrava diventare sempre più grosso. «In che posizione eri?». «A p-pecora. Ero... a pecora...» «Vuoi metterti a pecora? Ora? Per me?». Annuii. Pensavo che avrebbe scostato la mano, ma non lo fece. Mi voltai e mi rimisi a quattro zampe con ancora il suo dito dentro. «Dove te l’ha messo?». Lo sentivo muoversi. Sentivo il rumore attutito della sua mano che faceva su e giù sul suo uccello, ora che io non lo stavo più masturbando io. «N-nella figa. Me l’ha infilato di colpo... all’inizio mi ha fatto male. Per favore...» Lui sfilò il dito. Sentii qualcosa di tondeggiante e viscido posarsi sul mio buchino. Il lattice di un preservativo. «Non te lo metto di colpo» mi tranquillizzò lui. «Ma ti assicuro che te lo metto. Ti piace sentirti dire porcherie, durante il sesso? Ti eccita? O magari ti piace dirle?». Strizzai gli occhi. Continuava ad accarezzarmi il clitoride e la punta del suo uccello... spingeva per entrare... piano... piano... mezzo millimetro per volta... «D-dirle... il suo cazzo... è così grosso, signore. M-mi sventrerà...» Sentii una specie di risata, ma stava anche ansimando. «Non ti sventrerà». Spinse ancora. La mia fichetta fece resistenza, ma poi cedette. Sentii la punta che mi allargava, la cappella che entrava... il modo in cui continuava ad accarezzarmi il clitoride... «È troppo grosso... lo voglio tutto... me lo metta dentro... fino alle palle... mi allarghi tutta... ah, fa così male... è così gigantesco...» E anche se era dirty talk più per eccitare me stessa che lui, il suo cazzo era grosso davvero ed ero felice che me lo stesse infilando dentro poco per volta, tendendomi sempre di più, riempiendomi di carne dura e pesante... «Mh, sì... ancora... più forte... sono la sua cagna... mi fotta come... ne ho così voglia... come se fossi una bambola gonfiabile... un buco nel materasso... me lo faccia sentire tutto... signore...» Dane iniziò a sgrillettarmi più forte. Ormai provavo piacere, un piacere bruciante, un piacere mescolato al senso di intrusione... la mia fica pulsava... era calda e turgida... si stringeva attorno a quell’asta così spessa, che mi teneva così aperta... «S-scopami... ti prego, scopami forte... dammelo tutto... fammelo sentire... fino in fondo alla figa...» Dane mi arrivò in fondo. Spinse delicatamente sulla mia cervice e si ritrasse. Quando mi sprofondò di nuovo dentro gemetti di piacere. «Toccati da sola, tesoro». Mi posò le mani sulle natiche. Iniziai a sgrillettarmi. Lui si ritrasse e me lo mise di nuovo dentro. Non tutto, perché tutto non ci stava, ma quasi tutto. E ancora. E ancora. Il piacere mi divampò nel sesso, tra le gambe, fino al culo, fino alle tette... mi mossi per assecondare i suoi movimenti, gemendo sempre più forte, mormorando porcherie... Dane mi accarezzò dietro e io iniziai a venire. Mi aveva portata fin lì... ormai non potevo farci nulla. Venni con un grido e la fica mi si riempì di umori. Dane mi prese per i fianchi e mi affondò dentro più velocemente, più bruscamente, aumentando ancora il mio piacere. Il mio orgasmo si spense mentre lui stava ancora pompando. Lo sentii cambiare ritmo. Ansimare, grugnire. «Cazzo...» gemette, infilzandomi bruscamente, nel parossismo dell’orgasmo. Strinsi gli occhi e le labbra e aspettai che finisse. Iniziai a lacrimare. Lui si sfilò dopo pochi secondi. «Cazzo» ripeté. Mi voltai su un fianco cercando di muovermi con cautela. Ero sudata e avevo la fica indolenzita, le guance rigate di lacrime. Lo guardai. Steso sulla schiena, ansimava con le mani premute sulla pancia, l’uccello ancora insacchettato. Il torso lucido di sudore... quel petto così ampio, quelle spalle così larghe... il modo in cui il suo busto si stringeva, gli addominali bugnati, la tavola della pancia e poi i fianchi stretti, le ossa delle anche... Dane si sfilò il profilattico e lo annodò. Lo lanciò a terra senza tante cerimonie. «Un fazzoletto... sul comodino...» Presi un fazzoletto di carta dal pacchetto sul comodino e lo asciugai gentilmente. Lui socchiuse gli occhi, forse stupito. Finii di pulirlo e mi stesi accanto a lui, su un fianco. «È stato gentile, signor Savard. È stato... bello». «Potresti smetterla... con questo... signor Savard...» Aveva ancora il fiatone e pensai che per lui doveva essere stato intenso. Ne ero felice perché davvero avevo provato piacere e non me l’ero aspettato. Tutto il contrario, in effetti. «Mmm... Dane. Quello che volevo dire è...» Lui rise. «Ti p**o lo stesso». Gli diedi una spinta sul braccio. «Non è quello che volevo dire!». «No, okay. Vieni qua. Non penso di aver finito, ma mi servono una ventina di minuti. Ho ancora una ventina di minuti?». Mi stesi contro il suo fianco. Gli circondai la vita con un braccio, gli passai una gamba sulle gambe. «Hai finché vuoi».
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