— Oh, poveri noi! Ma come ti sei abbronzato...! — col tono di voce solito; e un senso di attesa, di qualche cosa che gli mancava, si gonfiò, insoddisfatto, nel piccolo Jon. Poi, con un lungo sguardo timido, vide sua madre, vestita d’azzurro, con un velo pure azzurro sul berretto da viaggio e sui capelli. Fece il salto più alto che gli fu possibile, intrecciò le gambe dietro la sua schiena e l’abbracciò. La sentì ansimare e rispondere forte al suo abbraccio. Gli occhi di Jon, di un azzurro profondo, si fissarono in quelli di lei, nerissimi, finché le labbra della madre si appoggiarono sulla sua fronte, e, mentre la stringeva con tutte le sue forze, la sentì dire ridendo:
— Ma come sei forte, Jon!
Allora scivolò giù dalle sue braccia, e si precipitò nell’atrio, trascinandola per mano.
Mentre mangiava la sua marmellata sotto la quercia, lui notò in sua madre delle cose che gli sembrava di non avere mai osservato; per esempio, le sue guance erano di color crema, c’erano dei fili d’argento nei suoi capelli d’oro scuro, nella sua gola non c’era sporgenza alcuna, come in quella di Bella, e tutti i suoi movimenti avevano una particolare dolcezza. Notò anche alcune piccole linee all’angolo degli occhi e, sotto, delle ombre.
Era molto bella, più bella di «Da» o «Mademoiselle» o della «zia» June, persino più bella della «zia» Holly per cui provava una violenta simpatia; era anche più attraente di Bella, che aveva le guance rosse e saltava fuori ogni tanto con dei modi troppo bruschi. Questa nuova bellezza di sua madre aveva una specie di particolare importanza, e lui mangiò meno di quel che si era proposto.
Dopo il tè, suo padre volle andare con lui in giardino. Lui parlò con lui di molte cose in generale, evitando l’argomento della propria vita privata — Sir Lamorac, gli austriaci, e il vuoto che aveva provato in quegli ultimi due giorni, e che ora sentiva così miracolosamente colmato. Suo padre gli parlò di un paese chiamato Glensofantrim, dov’era stato con sua madre; e di certe piccole creature che uscivano dalla terra, quando tutto intorno era silenzio. Il piccolo Jon si fermò, divaricando i tacchi.
— Ma tu ci credi davvero, papà?
— No, Jon, ma pensavo che tu ci credessi.
— Perché?
— Perché sei più giovane di me, e quelle sono le fate.
Il piccolo Jon squadrò sdegnosamente la fossetta che aveva sul mento.
— Io non credo alle fate. Non le ho mai viste.
— Ah! — disse suo padre.
— E la mamma ci crede?
Suo padre sorrise, col suo sorriso arguto.
— No, lei crede solamente a Pan.
— Che cos'è Pan?
— Il Dio Cornuto che salta attorno, nei posti belli e selvaggi.
— Era a Glensofantrim?
— Così dice la mamma.
il piccolo Jon alzò i tacchi e camminò avanti.
— E tu, l’hai visto?
— No, io ho visto soltanto Venere Anadiomène.
Il piccolo Jon si mise a riflettere; di Venere si parlava in quel libro tra i Greci e i Troiani. Forse Anna era il suo nome di battesimo e Diomene il soprannome? Ma suo padre gli spiegò che quella era una parola sola e che voleva dire «sorgente dalle spume».
— E a Glensofantrim si levava su dalle spume?
— Sì, tutti i giorni.
— E a che cosa somiglia, papà?
— Alla mamma, caro.
— Oh! allora doveva essere... — ma si fermò, corse all’impazzata verso un muro, ci si arrampicò e subito ne discese precipitosamente. La scoperta che aveva fatto della bellezza di sua madre doveva assolutamente tenersela per sé. Ma suo padre continuò a fumare il suo sigaro così a lungo che lui si sentì costretto a dire:
— Voglio vedere che cosa mi ha portato la mamma. Non ti spiace, papà?
Cercò il pretesto di quel motivo meschino, per non lasciar vedere la sua debolezza, e fu un po’ sconcertato quando suo padre lo guardò diritto in faccia, tirò un lungo sospiro e rispose:
— Benissimo, vai e abbracciala.
Lui se ne andò, con una lentezza affrettata, finché non seppe più trattenersi e si precipitò su di corsa. Entrò nella stanza da letto della madre, che aveva la porta aperta. Lei era ancora in ginocchio davanti a un baule, e il piccolo, quando le fu vicino, rimase perfettamente tranquillo.
Lei si tirò su in ginocchio e disse:
— Allora, Jon?
— Ho pensato di venire a vedere.
Dopo aver dato e ricevuto un altro abbraccio, sedette nel vano della finestra, incrociò le gambe sotto e rimase a osservarla mentre svuotava il baule. Questa operazione gli dava un piacere nuovo e vivo, in parte perché lei tirava fuori a tratti delle cose sospette, in parte perché gli piaceva guardarla. Si muoveva in modo diverso da tutti gli altri, specialmente da Bella; era senza dubbio la persona più fine che avesse mai vista. Quand’ebbe finito il baule, lei venne a inginocchiarsi davanti a lui.
— Hai sentito la nostra mancanza, Jon?
Il piccolo Jon fece un cenno affermativo col capo, e avendo così ammesso questo sentimento, continuò ad accennare di sì.
— Ma non c’era June?
— Oh! Era sempre con un uomo che aveva la tosse...
Il volto di sua madre mutò, assumendo una espressione quasi di collera. Allora lui aggiunse in fretta:
— Era un poverino, mamma, tossiva terribilmente; a me... a me piaceva molto.
Sua madre l'abbracciò alla cintura.
— A te tutti piacciono, Jon.
Il piccolo Jon meditò un momento.
— Fino a un certo punto, — disse. — Una domenica la «zia» June mi ha portato in chiesa.
— In chiesa? Oh!
— Voleva vedere che effetto mi avrebbe fatto.
— E che effetto ti ha fatto?
— Mi ha riportato a casa subito. Ma non ero mica malato. Sono andato a letto e ho preso un grog, poi ho letto I ragazzi di Beachwood11.
Sua madre si morse le labbra.
— Quando è successo?
— Oh! verso... molto tempo fa. Volevo che mi portasse di nuovo, ma lei non ha voluto. Tu e il papà non andate mai in chiesa, vero?
— No, non ci andiamo!
— E perché?
La madre sorrise.
— Ci siamo andati anche noi, caro, quando eravamo piccoli. Forse ci siamo andati quando eravamo troppo piccoli.
— Capisco, — disse il piccolo Jon; — è pericoloso.
— Giudicherai da te di queste cose, quando sarai più grande.
Ma il piccolo Jon replicò in modo calcolato:
— Non voglio diventare grande, mamma. Non voglio andare a scuola. — E a un tratto arrossì, sopraffatto dal desiderio di dire qualcosa di più, di dire quello che sentiva realmente. — Io... io voglio stare sempre con te, essere il tuo innamorato, mamma.
Poi, con l’istinto di migliorare la situazione, aggiunse in fretta:
— E questa sera non voglio andare a letto presto. Sono proprio stufo di andare a letto tutte le sere.
— Hai avuto degli altri incubi?
— Uno solo. Posso lasciare aperta la porta che dà nella tua camera, questa sera?
— Sì, solo un po'.
Il piccolo Jon emise un sospiro di soddisfazione.
— Che cosa hai visto a Glensofantrim?
— Solamente cose belle...
— Ma che cosa è precisamente la bellezza?
— Che cosa è precisamente.... Oh, Jon, ma questa è una domanda difficile.
— Non la posso vedere?
Sua madre si alzò e sedette accanto a lui.
— La vedi, ogni giorno. Il cielo è bello, le stelle, le notti di luna, e poi gli uccelli, i fiori, gli alberi... tutto è bello. Guarda dalla finestra — è tutta bellezza per te, Jon.
— Oh! sì, è la vista solita. E qui tutto?
— Tutto? No. Anche il mare è bello, con le onde, e la spuma che fugge indietro.
— E tu sorgevi dalla spuma ogni giorno, mamma?
La madre sorrise.
— Sì, facevamo il bagno.
Improvvisamente il piccolo Jon si tese in avanti e le prese il collo con le mani.
— Io lo so — disse misteriosamente, — tu sei la bellezza veramente, e tutto il resto è solo finto.
Lei sospirò, sorrise, disse:
— Oh, Jon!
Il piccolo Jon disse allora con tono critico:
— Per esempio, ti sembra che Bella sia attraente? A me pare di no.
— Bella è giovane, ed è già qualche cosa.
— Ma tu sembri ancora più giovane, mamma. A paragonarla con te, Bella ci perde. E, a ripensarci, non mi pare che neanche «Da» fosse bella; e Mademoiselle è quasi brutta.
— Mademoiselle ha un viso molto grazioso.
— Oh! sì: grazioso. Mi piacciono i tuoi piccoli raggi, mamma.
— Raggi?
Il piccolo Jon appoggiò il dito all’angolo esterno dei suoi occhi.
— Ah! quelli? ma sono i segni della vecchiaia.
— Compaiono quando sorridi.
— Ma una volta non c’erano.
— Sì, ma a me piacciono. Mi vuoi bene, mamma?
— Sì, ti voglio tanto bene!
— Sempre così?
— Sempre così.
Più di quello che credevo?
— Molto — molto di più.
— Bene, anch’io — così siamo pari.
Ma, conscio a un tratto di essersi troppo abbandonato, ebbe una reazione rapida, cercando di riacquistare la virilità di Sir Lamorac, d**k Needham, Huck Finn, e altri eroi.
— Debbo farti vedere delle belle cose, — disse; e, svincolandosi dalle sue braccia, si mise diritto, alzando la testa. Poi, infiammato dalla naturale ammirazione della madre, salì sul letto e si gettò giù a capofitto, sulla schiena, senza toccare con le mani. E ripeté questo esercizio diverse volte.
Quella sera, dopo aver esaminato i doni che gli avevano portato, rimase su a pranzo, sedendo tra il padre e la madre alla piccola tavola rotonda che usavano quando erano soli. Era estremamente eccitato. Sua madre portava un vestito grigio, di stile francese, con del pizzo crema tutto fatto di roselline, intorno al collo, che appariva ancora più bruno del pizzo. Continuò a contemplarla, finché il sorriso di suo padre non lo costrinse a rivolgere l’attenzione alla sua fetta di ananas. Non era stato mai alzato così tardi. Quando andò a letto, sua madre l’accompagnò di sopra, e lui si svesti lentamente, per tenersela più a lungo vicina. Quando fu finalmente in pigiama, disse:
— Promettimi che non te ne andrai, mentre dico le mie preghiere.
— Prometto.
In ginocchio, col volto affondato nelle coperte, il piccolo Jon disse le sue preghiere con la massima rapidità, a perdifiato, aprendo a tratti un occhio per vedersela accanto, perfettamente tranquilla, col volto sorridente.
— «Padre Nostro» — pregò alla fine, — «che sei nei cieli, benedetto dalla tua mamma, la tua mamma Celeste — così in terra come in cielo, dacci oggi la nostra mamma quotidiana e perdonaci le nostre mancanze così in terra come in cielo e le mancanze contro di noi, perché tuo è il potere e la gloria, in eterno. Amen!» Ecco fatto! — Le saltò tra le braccia, e ci rimase per un lungo minuto. Quando fu a letto, continuò a tenere la sua mano.
— Non chiuderai la porta più di così, vero, mamma? Ci metterai ancora tanto tempo a venire a letto?
— Debbo scendere a suonare per papà.
— Bene, così ti ascolterò.
— Spero di no, caro, devi dormire.
— Posso dormire tutte le altre notti.
— Bene, questa è proprio una notte come tutte le altre.
— Oh, no — questa è speciale.
— Nelle notti speciali si dorme ancora più sodo.
— Ma se io dormo, mamma, non ti sentirò più venire.
— Bene, verrò a darti un bacio; così, se sarai sveglio lo sentirai, e se sarai addormentato, saprai lo stesso di averlo avuto.
Il piccolo Jon sospirò:
— Benissimo! — disse; — dovrò accontentarmi di questo, mamma?
— Ebbene?
— Com'è quel nome che mi ha detto il papà? Venere Anna Diomede?
— Oh! , Anadiomène12, vuoi dire.
— Si! ma io preferisco il mio nome!
— E qual è il tuo, Jon?
Il piccolo Jon rispose timidamente:
— Ginevra! è nella Tavola Rotonda — non ci avevo mai pensato, ma certo i suoi capelli dovevano essere biondi.