Capitolo secondo-2

2070 Words
– Sì – aggiunse Lord Henry, – è questo uno dei grandi segreti della vita: curare l’anima per mezzo dei sensi e i sensi per mezzo dell’anima. Siete un essere meraviglioso. Sapete più di quanto credete di sapere, proprio come sapete meno di quanto desiderate di sapere. Dorian Gray aggrottò le sopracciglia e girò la testa da un’altra parte. Non poteva difendersi dalla simpatia che gli ispirava quel giovane alto e aggraziato che gli stava vicino. Nella voce sommessa e languida di lui c’era qualcosa di assolutamente affascinante. Persino le mani, fresche, bianche, simili a fiori, avevano un fascino misterioso; quando parlava si muovevano come una musica e sembravano avere un linguaggio loro proprio. Però aveva paura di lui e si vergognava di aver paura. Perché doveva essere stato un estraneo a rivelargli se stesso? Conosceva Basil Hallward da mesi ma la loro amicizia non lo aveva minimamente cambiato; e ora, di colpo, era comparso nella sua vita qualcuno che sembrava avergli svelato il mistero dell’esistenza. Ma di che cosa doveva aver paura? Non era né uno scolaretto né una ragazzina; quella paura era assurda. – Andiamo a sederci all’ombra – disse Lord Henry. – Parker ha portato le bibite e se restate ancora sotto questi riflessi vi si sciuperà il colorito. Non dovete lasciarvi abbronzare; non vi starebbe bene. – E che importa? – gridò Dorian Gray, ridendo e sedendosi sulla panchina all’estremità del giardino. – A voi dovrebbe importare moltissimo, signor Gray. – Perché? – Perché siete così meravigliosamente giovane e la gioventù è l’unica cosa che valga la pena di avere. – Non ho quest’impressione, Lord Henry. – No, ora non l’avete. Un giorno, quando sarete vecchio, grinzoso e brutto, quando il pensiero vi avrà solcato la fronte con le sue linee e la passione vi avrà bruciato le labbra col suo fuoco odioso, avrete quest’impressione, l’avrete in un modo terribile. Adesso, dovunque andate, affascinate il mondo; ma sarà sempre così?... Avete un viso meravigliosamente bello, signor Gray; non aggrottate le sopracciglia, è così; e la Bellezza è una forma di genio, anzi, è più alta del genio perché non richiede spiegazioni. È uno dei grandi fatti del mondo, come la luce del sole o la primavera o il riflesso in un’acqua cupa di quella conchiglia d’argento che chiamiamo luna. Non può esser messa in discussione; possiede un suo diritto divino di sovranità; rende come principi quelli che la possiedono. Sorridete? Ah, quando l’avrete perduta non sorriderete... La gente dice a volte che la Bellezza è solo superficiale. Può darsi, ma almeno non è così superficiale come il Pensiero. Per me la Bellezza è la meraviglia delle meraviglie. Soltanto le persone superficiali non giudicano dalle apparenze. Il vero mistero del mondo è il visibile, non l’invisibile... Sì, signor Gray, gli Dèi sono stati benevoli con voi, ma gli Dèi si riprendono ben presto ciò che hanno donato. Avete solo pochi anni per vivere veramente, perfettamente, pienamente. Quando finirà la vostra gioventù sparirà insieme con essa anche la vostra bellezza e allora vi accorgerete di colpo che per voi non ci sono più trionfi, oppure che dovete accontentarvi di quei bassi trionfi che il ricordo del passato vi farà sembrare più amari di una sconfitta. Ogni mese che passa vi avvicina a qualche cosa di terribile. Il tempo è geloso di voi e ha dichiarato guerra ai vostri gigli e alle vostre rose. Diventerete giallo, con le guance incavate, con l’occhio smorto. Soffrirete orribilmente... Ah, finché avete la vostra giovinezza fate di essa una realtà. Non sprecate l’oro delle vostre giornate ad ascoltare gente noiosa, a cercare di emendare insuccessi senza speranza, a regalare la vostra vita a gente ignorante, ordinaria, volgare: sono queste le aspirazioni morbose, i falsi ideali del nostro tempo. Vivete! Vivete la vita prodigiosa che è in voi! Fate che per voi niente vada perduto. Cercate sempre sensazioni nuove, non abbiate paura di niente... Un nuovo Edonismo, ecco quello che serve al nostro secolo; e voi potreste esserne il simbolo visibile. Con una personalità come la vostra non c’è niente che non possiate fare; per lo spazio di una stagione il mondo vi appartiene... Nel momento in cui vi ho conosciuto mi sono accorto che non avevate la minima coscienza di ciò che siete in realtà e di ciò che in realtà potete essere. C’era in voi qualche cosa che mi ha affascinato tanto da farmi sentire il dovere di parlarvi di voi stesso. Ho pensato che se doveste essere sprecato sarebbe una cosa tragica, perché la vostra giovinezza durerà tanto, tanto poco. I fiori di campo più comuni appassiscono, ma tornano a fiorire; nel giugno prossimo il citiso sarà giallo come è adesso; tra un mese la clematide si ornerà di stelle rosse e un anno dopo l’altro il verde scuro delle sue foglie avrà le sue stelle di porpora; ma a noi la gioventù non viene data una seconda volta. Il polso di gioia che batte in noi a vent’anni si intorbidisce, le membra si infiacchiscono, i sensi si consumano; degeneriamo fino a trasformarci in schifosi fantocci, ossessionati dal ricordo delle passioni delle quali avemmo eccessiva paura e delle tentazioni squisite alle quali non avemmo il coraggio di cedere. Giovinezza! giovinezza! nel mondo non esiste assolutamente niente, al di là della giovinezza! Dorian Gray, sbigottito, ascoltava, con gli occhi sbarrati. Il ramoscello di glicine gli cadde di mano sulla ghiaia. Arrivò un’ape pelosa e vi ronzò intorno per un momento, poi cominciò ad arrampicarsi sul globo ovale e stellato dei suoi piccoli fiori. Egli restò a guardarla con quello strano interessamento per le cose meschine che tentiamo di svegliare in noi stessi quando qualcosa di più alto valore ci spaventa, o ci agita qualche nuova emozione che non riusciamo a reprimere o qualche idea che ci terrorizza assedia improvvisamente il nostro cervello e ci intima la resa. Poco dopo l’ape volò via e lui la vide introdursi dentro la tromba maculata di un convolvolo. Il fiore sembrò vibrare, poi oscillò dolcemente di qua e di là. Improvvisamente comparve sulla soglia dello studio il pittore e fece loro cenno di rientrare. Si girarono a guardarsi l’un l’altro e sorrisero. – Sto aspettando – gridò lui. – Venite dentro. C’è una luce proprio perfetta e potete portare le bibite con voi. Si alzarono avviandosi insieme per il vialetto. Due farfalle verdi e bianche svolazzarono vicino a loro e sul pero nell’angolo del giardino una calandra cominciò a cantare. – Siete contento di avermi conosciuto, signor Gray? – disse Lord Henry, guardandolo. – Sì, ora sì. Chi sa se ne sarò sempre contento? – Sempre! È una parola tremenda. Tutte le volte che la sento mi fa rabbrividire. Le donne l’adoperano tanto volentieri; rovinano qualsiasi romanzo a forza di provare a farlo durare in eterno. Per di più è una parola senza senso. L’unica differenza tra un capriccio e una passione che dura tutta la vita è che il capriccio dura più a lungo. Nell’entrare nello studio Dorian Gray posò la mano sul braccio di Lord Henry. – In tal caso facciamo che la nostra amicizia sia un capriccio – bisbigliò, arrossendo della propria audacia; poi salì sulla pedana e riprese la posa. Lord Henry si sprofondò in una grande poltrona di vimini e rimase a guardarlo. L’unico rumore che rompeva il silenzio era quello del fruscio e del tocco del pennello sulla tela, eccetto che quando Hallward, ogni tanto, faceva un passo indietro per guardare a distanza la sua opera. Nei raggi obliqui del sole che entravano dalla porta aperta ballava il pulviscolo dorato. Su tutte le cose sembrava aleggiare il profumo pesante delle rose. Dopo circa un quarto d’ora Hallward smise di dipingere, guardò a lungo Dorian Gray e poi il ritratto, mordendo l’estremità di uno dei suoi enormi pennelli e corrugando la fronte. – È proprio finito – gridò finalmente; e, chinatosi, tracciò nell’angolo sinistro della tela il suo nome in lettere vermiglie. Lord Henry si avvicinò ed esaminò il ritratto. Era certamente una mirabile opera d’arte, e, al tempo stesso, mirabilmente somigliante. – Mio caro, ti faccio le mie più calorose felicitazioni disse. È il più bel ritratto dell’epoca moderna. Signor Gray, venite a guardarlo anche voi. Il ragazzo si riscosse, come se si fosse svegliato da un sogno. È proprio finito? – mormorò, scendendo dalla pedana. – Proprio finito – disse il pittore. E tu oggi hai posato splendidamente. Te ne sono infinitamente grato. – È tutto merito mio – interruppe Lord Henry, – non è vero, signor Gray? Dorian non rispose, ma passò distrattamente davanti al suo ritratto e si voltò a guardarlo. Nel vederlo si ritrasse indietro e per un attimo le guance gli si arrossarono di piacere. Un’espressione di gioia apparve nei suoi occhi, come se si fosse riconosciuto per la prima volta. Restò immobile, in ammirazione, rendendosi vagamente conto che Hallward gli stava parlando, senza afferrare il senso delle sue parole. La sensazione della propria bellezza fu per lui come una rivelazione. Non l’aveva mai provata prima di quel momento, i complimenti di Basil Hallward gli erano sembrati semplicemente le cortesi esagerazioni dell’amicizia; li aveva ascoltati, ne aveva riso e se ne era dimenticato, ma non avevano avuto nessuna influenza sulla sua natura. Poi era venuto Lord Henry Wotton col suo strano panegirico della giovinezza, col suo terribile monito della brevità di questa. Lì per lì ne era rimasto turbato; ma ora, nel contemplare l’ombra della propria bellezza, gli balenò davanti la piena esattezza della descrizione. Sì, sarebbe venuto il giorno in cui il suo volto sarebbe diventato rugoso e avvizzito, i suoi occhi si sarebbero fatti vuoti e scialbi, la grazia della sua figura sarebbe stata infranta e deformata; dalle sue labbra sarebbe scomparso lo scarlatto e dai suoi capelli il fulgore dell’oro. La vita doveva creare la sua anima, ma avrebbe distrutto il suo corpo. Sarebbe diventato orribile, schifoso, goffo. A questo pensiero un acuto senso di pena penetrò in lui come una lama, facendo fremere tutte le fibre delicate della sua natura. I suoi occhi oscurandosi presero il colore dell’ametista e vi passò sopra una nebbia di lacrime. Fu come se una mano gelida gli si fosse posata sul cuore. – Non ti piace? – gridò Hallward, alla fine, un po’ risentito per il silenzio del ragazzo di cui non capiva il significato. – Certo che gli piace – disse Lord Henry. – A chi potrebbe non piacere? È una delle cose più grandi dell’arte moderna. Ti darò qualunque cifra tu chieda. Debbo averlo. – Non è mio, Harry. – Di chi è? – Di Dorian, naturalmente – rispose il pittore. – Può considerarsi ben fortunato. – Che tristezza! – mormorò Dorian Gray, continuando a tenere gli occhi fissi sul suo ritratto. – Che tristezza! Io diventerò vecchio, orribile, spaventoso, ma questo ritratto rimarrà sempre giovane. Non sarà mai più vecchio di quel che non sia in questo particolare giorno di giugno... Oh, se fosse il contrario! se fossi io a rimanere sempre giovane e il ritratto a invecchiare! Per questo... per questo darei qualunque cosa; sì, non c’è niente al mondo che non sarei disposto a dare! Darei perfino la mia anima, per questo! – Sarebbe un affare che a te piacerebbe poco, Basil – esclamò Lord Henry, ridendo. – Sarebbe piuttosto crudele per la tua opera. – Mi opporrei con tutte le forze, Harry – disse Hallward. Dorian Gray si girò a guardarlo. – Lo credo, Basil. Tu ami la tua arte più dei tuoi amici. Per te io non conto più di una verde figurina di bronzo; magari meno, direi. Il pittore lo guardò stupefatto. Questo non era il linguaggio abituale di Dorian. Che cosa era successo? Sembrava estremamente arrabbiato; aveva la faccia rossa e le guance accese. – Sì – continuò, – per te io conto meno del tuo Ermes d’avorio o del tuo Fauno d’argento. Quelli ti piaceranno sempre; ma io, per quanto ti piacerò? Probabilmente finché non avrò la prima ruga. Ora lo so, che quando si perde la bellezza, quale che essa sia, si perde tutto; il tuo quadro me l’ha insegnato. Lord Henry Wotton ha perfettamente ragione; la giovinezza è l’unica cosa che valga la pena di avere. Quando mi accorgerò di invecchiare mi ucciderò. Hallward impallidì e lo prese per mano. – Dorian, Dorian, esclamò – non parlare così! Non ho mai avuto un amico come te e non l’avrò mai. Non sarai mica geloso di cose materiali, tu che sei tanto superiore a qualunque di esse! – Sono geloso di tutte le cose la cui bellezza non muore. Sono geloso del ritratto che mi hai fatto. Perché deve conservare quello che io dovrò perdere? A me ogni istante che passa toglie qualcosa, ad esso aggiunge qualcosa. Oh se fosse il contrario! Se il ritratto potesse cambiare e io potessi essere sempre quello che sono adesso! Perché l’hai dipinto? Verrà un giorno nel quale mi schernirà, mi schernirà orribilmente! – Gli salirono agli occhi lacrime brucianti, si sciolse dalla mano dell’artista e, gettandosi sul divano, affondò il viso nei cuscini, come se stesse pregando.
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