II. PellucidarPoco prima dell’alba di una chiara mattina di giugno, l’O-220 si mosse lentamente dal suo hangar con i propri mezzi. Completamente zavorrato ed equipaggiato, stava per fare il suo volo di prova in condizioni di carico identiche a quelle che avrebbe avuto una volta avviatosi per il suo lungo viaggio. I tre serbatoi inferiori erano ancora pieni di aria e portavano un eccesso di acqua come zavorra, con l’effetto di migliorare la stabilità, in modo che, mentre avanzava leggermente sopra il terreno, si muoveva in tutta sicurezza e poteva essere manovrato facilmente quasi quanto un’automobile.
Appena fu in luogo aperto, le sue pompe cominciarono a espellere l’aria dai tre serbatoi inferiori e al tempo stesso veniva lentamente scaricata una parte della sua acqua in eccesso, e quasi subito l’enorme nave si innalzò lentamente ed elegantemente da terra.
L’equipaggio, durante il volo di prova, era lo stesso che era stato selezionato per la spedizione.
Zuppner, che era stato scelto come capitano, era stato incaricato della costruzione della nave e aveva partecipato attivamente alla sua progettazione. C’erano due aiutanti, Von Horst e Dorf, che erano stati ufficiali nelle forze aeree imperiali, come anche il navigatore, il tenente Hines. Oltre a questi vi erano dodici ingegneri e otto meccanici, un cuoco di colore e due mozzi filippini.
Tarzan era il comandante della spedizione, con Jason Gridley come suo luogotenente, mentre i combattenti della nave consistevano in Muviro e nove dei suoi guerrieri waziri.
Mentre la nave si alzava elegantemente sopra la città, Zuppner, che era ai comandi, riuscì a stento frenare il suo entusiasmo.
— La cosa più bella che io abbia mai visto! — esclamò. — Risponde al tocco più leggero.
— Io non sono sorpreso, — disse Hines; — Sapevo che l’avrebbe fatto. Abbiamo portato il doppio di equipaggio, abbiamo bisogno che sia maneggevole.
— Ritornate ancora sull’argomento, tenente, — disse Tarzan, ridendo; — ma non credo che la mia insistenza nell’avere un grande equipaggio fosse basata su una mancanza di fiducia nella nave. Stiamo andando in un mondo strano. Potremmo doverci passare un lungo periodo di tempo. Se raggiungiamo la nostra destinazione dovremo combattere, come ognuno di voi volontari è stato informato più volte; ciò vuol dire che, mentre possiamo avere il doppio di uomini rispetto a quelli che ci servono per il viaggio di andata, potremmo tuttavia ritrovarci a corto di mani nel viaggio di ritorno, poiché non tutti ritorneremo.
— Suppongo che abbiate ragione. — disse Hines; — ma sotto l’effetto di questa nave e con la quieta tranquillità dell’ambiente sottostante, il pericolo e la morte sembrano lontani.
— Spero che lo siano, — riprese Tarzan, — e spero che torneremo con ogni uomo che viene con noi, ma dobbiamo essere preparati e, a tal fine, Gridley e io abbiamo studiato navigazione, e vorremmo che ci deste la possibilità di fare qualche esperienza pratica prima di raggiungere la nostra destinazione.
Zuppner rise. — Vi hanno già dato per spacciato, Hines — disse.
Il tenente sorrise. — Insegnerò loro tutto quello che so, — disse; — ma scommetto la cena migliore che possa essere servita a Berlino che, se questa nave ritornerà io sarò ancora il suo navigatore.
— Questo è un caso da testa o croce, — disse Gridley.
— E per tornare al tema dell’essere preparati, — disse Tarzan, — sto per chiedervi di lasciare che i miei waziri aiutino i meccanici e gli ingegneri. Essi sono uomini molto intelligenti, che imparano velocemente, e se qualche calamità dovesse accaderci, potremmo non avere abbastanza uomini pratici di motori e altre macchine della nave.
— Avete ragione, — disse Zuppner, — e vedrò che sia fatto.
Il grande, lucente dirigibile navigava maestosamente verso nord; Ravensburg rimase indietro a poppa e mezz’ora dopo sorvolavano il cupo nastro grigio del Danubio.
Quanto più volavano, più entusiasta diventava Zuppner. — Avevo piena fiducia nel buon esito del volo di prova, — disse; — ma vi confesso che non immaginavo una tale perfezione come quella che trovo in questa nave. Essa segna una nuova era in campo aeronautico, e sono convinto che molto prima di aver coperto le quattrocento miglia fino ad Amburgo, avremo le prove di tutto il valore dell’O-220, per la piena soddisfazione di ciascuno di noi.
— Fino ad Amburgo e ritorno a Friedrichshafen doveva essere il percorso del viaggio di prova, — disse Tarzan, — ma perché ad Amburgo dobbiamo tornare indietro?
Gli altri si girarono a guardarlo con espressione interrogativa, non appena compresero il significato della sua domanda.
— Sì, perché? — domandò Gridley.
Zuppner si strinse nelle spalle. — Siamo completamente equipaggiati e riforniti, — disse.
— Allora perché sprecare 800 miglia a tornare a Friedrichshafen? — chiese Hines.
— Se voi siete tutti d’accordo proseguiremo verso nord, — disse Tarzan. E fu così che il volo di prova dell’O-220, diventò un’effettiva partenza per il suo lungo viaggio verso il centro della terra, e la segretezza che si voleva per la spedizione fu assicurata.
Il piano era quello di seguire il decimo meridiano a est di Greenwich fino al Polo Nord. Ma si ritenne opportuna, per evitare di attirare curiosità inutili, una leggera deviazione da questa rotta, e la nave passò a ovest di Amburgo e su attraverso le acque del Mare del Nord, e quindi verso nord, passando a ovest di Spitsbergen e su attraverso le distese desolate del ghiacciaio della calotta polare.
Mantenendo una velocità media di crociera di circa 75 miglia all’ora, l’O-220 giunse in prossimità del Polo Nord verso mezzanotte del secondo giorno, e ci fu grande eccitazione quando Hines annunciò che, in conformità con i suoi calcoli, si sarebbero trovati esattamente sopra il polo magnetico. Su suggerimento di Tarzan la nave iniziò a girare intorno lentamente, a una altitudine di poche centinaia di piedi, sopra l’accidentato ghiaccio coperto di neve.
— Dovremmo essere in grado di riconoscerlo dalle bandiere italiane, — disse Zuppner, con un sorriso. Ma se qualche traccia del passaggio del Norge restava sotto di loro, era stata efficacemente nascosta dalle molte nevicate.
Il dirigibile fece un unico giro sopra la desolata banchina polare prima di riprendere la sua rotta verso sud, lungo il 170° Meridiano Est.
Dal momento in cui la nave, muovendo dal polo, si diresse a sud, Jason Gridley rimase costantemente con Hines e Zuppner a osservare gli strumenti con entusiasmo e ansia, o a guardare fissamente il brullo paesaggio sottostante. Era convinzione di Gridley che l’apertura del Polo Nord si trovasse in prossimità di 85° di latitudine nord e 170° di longitudine est. Davanti a lui c’erano bussola, barometri aneroidi, statoscopio a bolla, indicatore di velocità dell’aria, inclinometri, indicatore di altitudine e profondità, indicatore di direzione, orologio e termometri; ma lo strumento che osservava con la più accurata attenzione era la bussola, poiché Jason Gridley aveva una teoria, e dalla correttezza di essa dipendeva il loro successo nel trovare l’apertura al Polo Nord.
Per cinque ore volarono costantemente verso sud, ma il dirigibile manifestava una evidente tendenza a cadere verso ovest.
— Tenetelo fermo, Capitano, — avvisò Gridley, — perché se non sbaglio adesso stiamo superando il bordo dell’apertura polare, e la deviazione è nella bussola e non nella nostra rotta. Quanto più andremo avanti su questa rotta, più irregolare diventerà la bussola, e se al momento ci muovessimo verso l’alto, o in altre parole, dritto attraverso l’apertura polare verso il suo centro, l’ago si metterebbe imprevedibilmente a ruotare. Ma non potremmo riuscire a raggiungere il centro dell’apertura polare a causa della tremenda altitudine che questo richiederebbe. Credo che ora siamo sull’orlo orientale dell’apertura e se voi effettuaste qualunque deviazione dall’attuale rotta, cadremmo lentamente a spirale verso il basso a Pellucidar, però la vostra bussola sarebbe inutilizzabile per le prossime 4-600 miglia.
Zuppner scosse la testa, dubbioso. — Se questo tempo tiene, potremmo essere in grado di farlo, — disse, — ma se aumenta il vento dubito di riuscire a mantenere qualsiasi tipo di rotta, se non posso seguire la bussola.
— Fate del vostro meglio, — disse Gridley, — e in caso di dubbio tenete la dritta.
Così grande era la tensione nervosa in tutti loro, che per ore a mala pena scambiarono una parola.
— Guardate! — esclamò improvvisamente Hines. — C’è mare aperto proprio davanti a noi.
— Questo, naturalmente, avremmo dovuto aspettarcelo, — disse Zuppner, — anche se non vi fosse nessuna apertura polare, e voi sapete che io sono stato scettico al riguardo fin dalla prima volta che Gridley mi spiegò la sua teoria.
— Penso, — disse Gridley, con un sorriso, — che in realtà io sono l’unico nel gruppo ad aver avuto fiducia nella teoria, ma per favore non chiamatela “la mia teoria” poiché non lo è, e anche io non sarei sorpreso se la teoria si dimostrasse errata. Ma se qualcuno di voi è stato a guardare il sole nelle ultime ore, penso che sarete d’accordo con me che, anche se può non esserci nessuna apertura polare verso un mondo interno, ci deve essere una grande depressione in questo punto della crosta terrestre, e che siamo scesi in essa per una profondità considerevole, poiché avrete notato che il sole di mezzanotte è molto più basso rispetto a quello che dovrebbe essere e che, continuando ulteriormente su questa rotta, scenderà sempre più in basso e alla fine tramonterà completamente e, se non mi sbaglio di molto, vedremo presto la luce dell’eterno sole di mezzogiorno di Pellucidar.
All’improvviso squillò il telefono e Hines accostò il ricevitore all’orecchio. — Molto bene, signore, — disse dopo un momento, e riattaccò. — Era Von Horst, Capitano, dalla cabina di osservazione. Ha avvistato una terra desolata.
— Terra! — esclamò Zuppner. — L’unica terra che la nostra carta mostra in questa direzione è la Siberia.
— La Siberia si trova a oltre un migliaio di miglia a sud dell‘85°, e noi non possiamo essere a più di trecento miglia a sud dell‘85°, — disse Gridley.
— Allora o abbiamo scoperto una nuova terra artica, o ci stiamo avvicinando alle frontiere settentrionali del Pellucidar, — disse il tenente Hines.
— È proprio quello che stiamo facendo, — disse Gridley. — Guardate il vostro termometro.
— Diavolo! — esclamò Zuppner. — È solo una ventina di gradi sopra lo zero Fahrenheit.
— Adesso si può vedere chiaramente la terra, — disse Tarzan. — Sembra abbastanza desolata, ma ci sono solo piccole chiazze di neve qua e là.
— Questo corrisponde alla terra a nord di Korsar descritta da Innes, — disse Gridley.
La notizia che vi era motivo di ritenere che la terra sotto di loro fosse Pellucidar si diffuse rapidamente per la nave agli altri ufficiali e all’equipaggio. L’eccitazione era alta, e ogni uomo che poteva distogliersi un attimo dai suoi compiti era sulla passerella, o stava scrutando attraverso gli oblò per un’occhiata veloce al mondo interno.
Costantemente l’O-220 avanzava veloce verso sud e, proprio mentre a poppa l’orlo del sole di mezzanotte finiva al di sotto dell’orizzonte e scompariva dalla vista, il bagliore del sole centrale di Pellucidar era chiaramente visibile avanti a loro.
La natura del paesaggio sottostante stava cambiando rapidamente. La terra sterile era passata a poppa, la nave aveva attraversato una serie di colline boscose, e ora davanti a essa si trovava una grande foresta, che si estendeva all’infinito e apparentemente curvava verso l’alto, per perdersi poi nell’offuscamento della distanza. Questa era davvero Pellucidar, la Pellucidar che Jason Gridley aveva sognato.
Oltre la foresta si trovava una distesa pianeggiante punteggiata da macchie di alberi, una pianura ben irrigata attraverso la quale scorrevano numerosi torrenti, che si immettevano in un grande fiume al suo lato opposto.
Grandi mandrie di selvaggina pascolavano sugli estesi campi di terra, e da nessuna parte c’era traccia d’uomo.
— Questo per me assomiglia al paradiso, — disse Tarzan delle scimmie. — Atterriamo, Capitano.
Lentamente la grande nave si posò al suolo mentre l’aria veniva immessa nei serbatoi sottovuoto inferiori.
Furono fatte scorrere fuori delle scalette, dal fondo della cabina vi erano solo sei piedi da terra, e presto tutto il personale della nave, con l’eccezione di una guardia, di un ufficiale e due uomini, si trovarono immersi fino alle ginocchia nelle lussureggianti erbe di Pellucidar.