Dopo un po' che nessuno dei due ha tolto gli occhi di dosso all'altro, decido che ne ho avuto abbastanza e mi giro a controllare i miei amici. Non resisto nemmeno un minuto che riporto lo sguardo dov'era Benjamin, ma lui è sparito. Lo cerco un attimo con lo sguardo, ma sembra si sia volatilizzato.
Questo mi confonde ancora di più.
Bah, evidentemente la Vodka mi crea allucinazioni. O mia mamma ha, di nuovo, modificato la cena.
Mentre sono persa nei miei pensieri, sento una mano sul braccio. Trasalisco e, istintivamente, alzo il ginocchio, colpendo la persona in mezzo alle gambe.
Sento un lamento di dolore e vedo il ragazzo davanti a me piegato dal dolore. A causa delle luci soffuse non lo riconosco subito, ma appena alzo lo sguardo mi rendo conto che si tratta di Andrew. «Se volevi dimostrarmi che te la sai cavare da sola, beh, ci sei riuscita alla grande.» Ansima e, dolorante, prova a rialzarsi. «Se un pericolo per i gioielli di noi ragazzi.»
Faccio un mezzo sorriso. «Si può dire che ne sono attratta. In che modo, però, dipende dal ragazzo.»
Andrew fa una smorfia. «Mi colpirai altre volte?»
«Arriverai di soppiatto come un maniaco altre volte?» Nel frattempo mi giro e lascio il bicchiere del drink sul bancone.
«Comunque» inizio, riprendendo a guardarlo, «per quale motivo sei venuto da me?»
Lui si avvicina per farsi sentire meglio. «Non trovo più Max e Jax.»
Lo guardo confusa. «E allora? Magari sono in bagno a giocare a golf.»
Andrew aggrotta le sopracciglia. «A giocare a golf?»
Faccio un sorriso malizioso. «Hai presente quel gioco, che è anche uno sport, dove ci sono mazze, palle e buche?» Faccio una pausa prima di riprendere la mia metafora. «Ecco, magari sono in bagno ad usare questi tre elementi.»
Lui mi guarda scioccato. «Non ci credo che tu l'abbia detto.»
«Credici, perché l'ho detto davvero. Ma se ti sei perso un passaggio posso anche ripetere tutto.»
«No grazie, mi è bastata una volta.»
Scoppio a ridere. «Non scandalizzarti, non ho detto niente di che. I veri discorsi sconvolgenti sono quelli dei miei genitori.»
Ci spostiamo dal bancone per lasciare spazio alle altre persone, e ci mettiamo contro un muro.
«Ho quasi paura a chiedertelo, ma sono curioso. Perché sarebbero sconvolgenti?» chiede, incerto.
«Hai presente la tipica metafora delle api e dei fiori, no? Ecco, diciamo che la loro versione nominava trapani e muri. E di certo non era adatta a una bambina di nove anni.»
Ora è sinceramente interessato. «Scusa eh, ma cosa ti dicevano?»
«Che ci sono diversi trapani, con grandezze, velocità, e marche diverse. E poi ci sono dei muri che devono essere perforati dalla punta del trapano per stare meglio.»
«Non sembra così traumatico come discorso.»
«Oh, infatti non lo sarebbe stato se si fossero fermati lì. Ma loro, poi, avevano preso un libro per illustrarmi nel dettaglio cosa faceva il trapano al muro.» Ancora rabbrividisco a quel ricordo.
Andrew è un tantino sconcertato. «Che infanzia hai avuto?»
«Traumatica ma divertente. Sicuramente non si può dire che i miei hanno una mente chiusa, anzi. Con loro e con Jax ho fatto quasi tutte le mie prime esperienze: prima sbronza, prima canna, prima rissa. Insomma, sono anche amici, oltre che genitori.» Mi perdo nei ricordi e mi viene in mente una cosa. «Tranne la volta in cui sono venuti in discoteca con me e Jax. Ecco, in quel momento non erano né amici né genitori. Erano più degli sconosciuti che per puro caso erano entrati con noi nel locale.»
Andrew scoppia a ridere, ma si ferma di colpo quando fissa un punto davanti a noi.
Smetto di guardarlo e seguo il suo sguardo. Mi ci vuole qualche secondo per mettere a fuoco le due persone che stanno salendo sul palco. E dai loro sorridi capisco che Max e Jax hanno sia giocato a golf sia a Vodka-pong, che sarebbe come beer-pong ma con la Vodka.
«Oh no» mormoro, mentre mi sbatto una mano sulla faccia.
Ai piedi hanno dei tacchi. Rosso fuoco, lucidi e altissimi, per la precisione. Ed ho il sospetto che questa volta Jax se li sia portati dietro. Evidentemente in un'altra vita era uno stripper, visto il modo in cui si sta avvicinando al palo che c'è sul palco, che solitamente viene usato solo in certe serate.
Max prende un microfono e, sorridendo, inizia a cantare sulla base di una canzone che non riconosco. Le parole, ne sono più che certa, non sono quelle originali, dato i doppi sensi. Guarda il mio migliore amico e al ritornello se ne esce con: «Usa quella tua bella mano e afferramelo come se fosse uno scorrimano.»
Il pubblico urla entusiasta e inizia a battere le mani a tempo.
Jackson gli prende il microfono dalle mani e ammicca nella sua direzione. «Muovi a tempo il bacino, voglio essere il tuo giochino.»
Scoppio a ridere e urlo euforica, iniziando ad applaudire, ma Andrew mi afferra il polso. «Si può sapere che fai?»
«Sostengo i nostri migliori amici e mi diverto. Dovresti farlo anche tu.»
«Quei due prima o poi si beccheranno una denuncia.»
«Non fanno niente di male.» Sono costretta a ricredermi quando Jackson inizia ad usare quel palo.
Da quando twerka così bene? Devo chiedergli di insegnarmi.
«Okay, forse prima o poi verranno denunciati. Menomale che conosciamo i poliziotti.»
Lui alza gli occhi al cielo, ma vedo spuntargli un sorriso. «Voi due siete da ricovero.»
«C'è un'enorme possibilità che, se dovessimo finire in terapia, e per di più insieme, saranno i nostri terapisti ad aver bisogno di una terapia. E di un apparecchio acustico, Jackson quando canta lancia un sacco di acuti. Probabilmente ha un disturbo di personalità e una versione di lui crede di essere Lady Gaga.»
Scoppiamo a ridere entrambi. Nel frattempo Max e Jax hanno finito il loro spettacolo e si limitano a ballare mentre il dj torna ad occuparsi della musica.
«Secondo te assisteremo prima o poi alla visione dei nostri migliori amici ubriachi ma senza tacchi?» mi chiede.
Fisso quei due sul palco e sono sicura della mia risposta. «No. Direi proprio di no.»