«Secondo me è rifatto» bisbiglio all'orecchio di Andrew.
«Probabile», ribatte. «Secondo te le hanno messo delle protesi come si fa con le tette?» chiede, visibilmente curioso.
Eh, ci credo.
«Non lo so, non mi intendo di chirurgia», replico, «ma non mi sembra che a Nicki Minaj abbiano messo le protesi.»
Lui si gira a guardarmi. «Ma è troppo rotondo. I chirurghi non sono così bravi. Dai, guarda, sembra che abbia due mappamondi.»
Trattengo una risata. «Tu dici che se glielo palpassi capirei se si trattasse di protesi o meno?» chiedo, riferendomi al suo sedere.
Sorride. «Non lo so, ma di sicuro passeresti per una maniaca.»
Ci guardiamo in faccia e poi scoppiamo a ridere.
I nostri padri ci fulminano con un'occhiataccia e ci intimano di fare silenzio.
Mi mordo con forza le labbra e provo a trattenermi, ma appena torno a guardare Andrew scoppio nuovamente a ridere, e stessa cosa fa lui.
Il vecchietto pervertito che ci doveva insegnare yoga ha avuto un contrattempo, così se n'è andato prima e ha deciso di mandare sua nipote - la sua giovanissima e bellissima nipote - garantendoci che è un'esperta in questo campo.
Infatti è sempre piegata in avanti.
Mio padre e William erano particolarmente felici al suo arrivo.
Come per confermare la mia teoria, la ragazza, di cui non ho capito bene il nome, si piega in avanti, mantenendo le gambe tese e la schiena parallela al pavimento.
Non riesco a trattenermi e alzo gli occhi al cielo.
«Prima il vecchietto pervertito, poi la giovane che sembra un angolo retto» mormoro.
Quando si girano tutti verso di me per guardarmi mi rendo conto di non aver parlato così a bassa voce come credevo.
La nipote del vecchietto, che devo ammettere è una bellissima ragazza, talmente bella da farmi dubitare del mio orientamento sessuale, mi guarda sbigottita. «Come scusa?»
Ridacchio nervosa. «Io... io...», mi guardo intorno cercando qualcosa che faccia distogliere l'attenzione da me, quando sento il mio cellulare suonare.
Mi si illuminano gli occhi e un enorme sorriso appare sulle mie labbra, così mi fiondo ad afferrarlo e corro su in camera per rispondere
A chiamarmi è Jackson, il mio migliore amico.
Non sono mai stata così felice del suo tempismo come adesso.
Domani, appena lo vedo, gli bacio i piedi.
Giuro.
Schiaccio l'icona verde sullo schermo del cellulare e me lo porto all'orecchio.
«Jax, ti amo» esordisco.
Sento una risata dall'altra parte. «Ne sono lusingato, ma ti ricordo che a me piacciono le persone che hanno consistenza in mezzo alle gambe. Una sostanziosa consistenza.»
Rido. «Ouch, così ferisci i miei sentimenti e spezzi il mio povero cuore.» Mi porto teatralmente una mano sul petto, nonostante Jax non possa vedermi.
«Come mi dispiace» ribatte, mantenendo un tono di voce piatto.
«Comunque», riprendo seriamente, «come mai mi hai chiamato? Notizia flash o momento di noia?»
Ci sono degli attimi di silenzio.
«Ah, sì», pare ricordarsi, «non hai idea di chi è la persona con cui è andata a letto Penelope» dice con entusiasmo Jax.
Aggrotto le sopracciglia, confusa. «Ma Penelope non è la ragazza dell'università che si fa qualsiasi ragazzo etero e bello esistente sulla faccia della terra? Che poi il suo nome dice molto sul suo conto» rido, e Jax mi imita.
«Hai detto bene, Penelope si fa qualsiasi ragazzo, ma alla festa dell'altra sera è stata beccata a letto con la sua migliore amica. A quanto pare si fa davvero chiunque.»
Spalanco la bocca. «Oh my Gosh!» esclamo.
«Calmati biondina, I'm not speak english» ribatte Jax.
«Si vede.» Rido. «No, okay, facciamo uscire i british che si sono impossessati del nostro corpo.»
«Tu stai proprio fuori» ribatte.
Ecco.
Non ha il senso dell'umorismo.
Ma perché sono ancora sua amica?
«Ivy, muoviti!» Le urla di mia madre arrivano forti e chiare alla mia camera, nonostante la porta chiusa, e nonostante ci sia un piano di differenza tra noi.
«Era tua madre, vero?» chiede conferma Jackson.
Ecco.
Come non detto.
Sospiro. «Sì, era mia madre.»
Sento di nuovo le sue urla e maledico, per la centesima volta nel giro di due ore, lo yoga.
«Scusami», farfuglio velocemente, «Satana mi sta richiamando a sé. Se sopravvivo ti richiamo stasera.»
Lui ride.
Però io non scherzo.
Quella donna è il demonio.
«Ti voglio bene» mi dice.
«Ti voglio bene anch'io», replico, «e salutami Vaginelope.»
«Smettila», mi intima, «provo pena per te quando fai battute del genere.»
«Non è vero, so che stai ridendo.»
«Talmente tanto che non riesco a parlare» ribatte in tono monocorde.
Simpatico come lo yoga.
Davvero.
«È inutile che tenti di fare il ragazzo virile, so che dentro di te c'è una scimmia che batte i piatti e che cerca i suoi polmoni che ha perso a causa delle risate che ti ho procurato.»
A questa mia a dir poco filosofica osservazione si susseguono lunghi attimi di silenzio.
«Jax, stai bene?» chiedo, sinceramente preoccupata.
Oddio, ho ucciso il mio migliore amico.
Non sono mai stata brava in medicina, non potevo sapere che senza polmoni non si sopravvive.
«Jax?» tento di nuovo.
«Scusa», sento la sua voce e tiro un sospiro di sollievo.
Non so che farei senza di lui.
«Stavo cercando l'ospedale psichiatrico più vicino. Tanto i tuoi genitori sarebbero d'accordo con me con l'idea di farti internare e gettare via la chiave.»
«Fanculo, dovevi morire.»
Ritiro ciò che ho pensato prima.
Mia madre urla il mio nome di nuovo e io tiro, letteralmente, una testata al muro.
Mi porto velocemente una mano sulla fronte, e inizio a massaggiarmela sperando di far passare il dolore.
Jackson riprende a parlare. «Cos'era quel tonfo?»
Mugolo di dolore. «Jax, penso di essermi causata un trauma cranico.»
«Come cazzo hai fatto a causarti un trauma cranico?»
«Ho tirato una testata al muro» ammetto.
«Ma i tuoi neuroni si sono proprio suicidati» ribatte, ed io non gli do torto.
Mia madre urla nuovamente e alzo gli occhi al cielo, infastidita dal fatto che devo smettere di parlare il mio migliore amico.
«Jax, devo andare davvero, Satana recluta novellini per andare in giro a sacrificare le anime di persone innocenti.»
Ridiamo entrambi.
«Ciao, scema.»
«Ciao, mi amor.»
Riattacco e, quando sento nuovamente la voce di mia madre, spalanco di scatto la porta, che va a sbattere contro il muro creando un tonfo, e mi affaccio al corridoio. «Ho capito! Non è che se continui a urlarmi contro io faccio le cose più velocemente!»
«Stai urlando pure te» mi fa notare, urlando a sua volta.
«E chi se ne frega» ribatto, urlando più forte di prima.
Ecco, i vicini avranno già capito che se sentono delle urla non si tratta di un omicidio ma si tratta della mia famiglia.
Scendo in fretta le scale, e quando arrivo in salotto vedo che la nipote del vecchietto non c'è più, ma i vicini sì.
«Alleluia. La prossima volta devo prendere un appuntamento?» mi chiede mia madre sarcastica.
«Sì», ribatto, «puoi accordarti con la mia segretaria.»
Mia madre corruga la fronte. «Ma tu non hai una segretaria» mi fa notare.
Fingo una faccia dispiaciuta. «Oh che peccato, niente segretaria niente appuntamento.»
Mamma riduce gli occhi in due fessure. «Ricordati che come ti ho creata ti distruggo.»
Faccio un sorriso di scherno. «Fatti sotto, vecchietta.» Prendo in mano un cuscino e lei mi imita. Si alza di scatto dal divano su cui era seduta e fa un passo verso di me, ma inciampa in un tappetino e cade a terra. Ci guardiamo e iniziamo a ridere, mentre mio padre scuote la testa esasperato.
Lei verrà interrata insieme a me.
Sicuro.