CAPITOLO 1-2

2633 Words
Seguì la donna nell’ufficio interno, un tributo all’eclettismo. Larramac era evidentemente un collezionista di soprammobili, perché la stanza era addobbata con dei piccoli gadget particolari: un idrante dei vecchi tempi, un assortimento di rocce colorate, un set di vasi da fiori in porcellana e molti piccoli oggetti che i suoi occhi non riconobbero immediatamente. Dei manifesti coprivano le pareti: “Il lavoro è quello che fai affinché un giorno non lo dovrai più fare” “credo che entrare nell’acqua bollente – mi manterrà pulito.” Poi Dev notò l’uomo dietro la scrivania. Era magrissimo, e il suo corpo sembrava composto interamente di angoli acuti. I suoi vestiti erano di colori violenti sul rosso e sul blu, e i suoi pantaloncini erano solo una sciocchezza super imbottita. Aveva un pizzetto grigiastro e capelli che si stavano diradando - sebbene non abbastanza da giustificare un trapianto. La striscia rasata dalla fronte al retro della testa – un’affettazione che indicava che sperava di unirsi alla società un giorno - era tatuata con un disegno di numeri abilmente intrecciati per formare un motivo intrigante. I suoi occhi non erano mai fermi, ma dardeggiavano nella stanza, come se avesse paura di perdersi qualche evento speciale. “Lei è Ardeva Korrell?” le chiese mentre si stringevano la mano. “Esatto.” “Non ci sono molti capitani di navicelle spaziali donne, giusto?” Il suo discorso era veloce quanto senza filo. Dev non riusciva a decidersi se fosse un tratto buono o cattivo. “Ce n’era un’altra oltre a me nella mia classe di laurea, su centodieci,” rispose formalmente. “Tuttavia, in questa professione ci sono ancora meno nani con i capelli rossi e mancini.” “Suppongo di sì. Da dove viene?” “Da Eos.” Larramac alzò un sopracciglio senza dire nulla, un gesto che rendeva impossibile a Dev interpretare i suoi pensieri. “E lei vuole essere il capitano di una navicella spaziale.” “Io sono un capitano. Le mie credenziali e licenze sono tutte in ordine. Quello che cerco è una nave.” Larramac annuì. “Il mio problema è che ho una nave e al momento nessun capitano. Fa un sacco di domande di solito?” “In che senso?” “Lei deve sapere ogni singola cosa che succede a bordo della sua nave?” “Sta nei doveri di un capitano sapere tutto quello che succede—” “Io ho licenziato il mio ultimo capitano perché era troppo inquisitorio.” “—Ma ci sono alcune cose che non sono così importanti da sapere rispetto invece ad altre,” prese tempo Dev rapidamente. Le preferenze personali devono a volte piegarsi davanti al vento della necessità, dopo tutto. “Il mio compito principale sarebbe quello di condurre la nave in modo sicuro da un porto all’altro. Tutto quello che riguarda questo compito è di mia responsabilità, dalla manutenzione alla astrogazione Altri argomenti possono essere solo marginali rispetto alla conduzione della nave, e su questi posso camminare molto delicatamente.” Larramac ruminò per un attimo, accarezzandosi il pizzetto. Si avvicinò ad una pila di carte ed estrasse un foglio che Dev riconobbe essere la domanda che aveva inviato la settimana precedente. “Secondo il suo curriculum, ha fatto un sacco di lavori diversi. Non è mai rimasta sulla stessa nave più di un anno. Perché?” Dev sospirò. C’era sempre qualcuno che faceva questa domanda, sebbene la risposta sembrasse sempre così ovvia. “Pregiudizio. Un sacco di uomini non amano servire sotto un capitano donna. Quelli a cui non interessa, sono a disagio per il semplice fatto che io sia una Eoana. Lei noterà, se controlla la mia presentazione, che i miei datori di lavoro hanno dato in genere il massimo delle referenze. Sono un buon capitano che è stato vittima delle circostanze.” “Io non pago molto; non posso permettermelo. Seicento galacs al mese, più benefit standard.” Per un capitano con la sua formazione e la sua esperienza, si trattava di un importo ridicolo; sfortunatamente, la sua situazione finanziaria non lo era. “Dovrei guadagnare almeno il doppio di questa somma,” disse. “Ma gli affari, immagino siano tirati.” “Non sono proprio nella stessa categoria di Lenning TransSpacial o deVrie Shipping,” ammise Larramac. “Vado sui piccoli pianeti che loro scartano, quelli con il rapporto profitto-costo più basso. Devo leccare la ciotola che mi porgono, per così dire. Tiro avanti e sono stato in grado di costruire. La società è cresciuta negli ultimi due anni, e non vedo alcuna ragione per cui questa crescita non dovrebbe continuare. Tengo le persone se riescono a fare il lavoro che chiedo loro, e sono abbastanza bravo con gli aumenti. Se mi piace il modo in cui farà il primo viaggio, possiamo parlare di un aumento.” Dev guardò il suo futuro datore di lavoro. Sembrava un tipo onesto; un po’ sopra le righe in quanto a sincerità, un po’ troppo entusiasta e spavaldo, ma molto lontano dal capo peggiore per cui le era capitato di lavorare. “Mi sono permesso,” continuò Larramac, “di guardare il suo nome sul mio schema.” “Schema?” “Sì, i modelli delle lettere hanno tutti dei significati, che tu lo sappia o no. Lei ha un bel nome; si fonde bene con tutto.” “Sono sicura che i miei genitori La ringrazierebbero: è stata una loro scelta,“ rispose lei seccamente. Lei si chiese brevemente se qualcuno che inseriva il nome di una persona in uno schema prima di decidere se assumere o meno, potesse essere sano di mente. Oh, bene, chiunque gestisca la Elliptic Enterprises deve avere alcune eccentricità. “C’è solo una cosa che vorrei specificare,” continuò lei. “Devo avere autorità disciplinare completa sul mio equipaggio.” “E perché?” “Per prima cosa, è tradizione. Ma più ancora di quello, l’equipaggio deve sapere che voi mi sostenete su tutta la linea. Come ho detto, alcuni uomini si risentono di prendere ordini da una donna. La mia parola deve essere legge – legge assolutamente applicabile – diversamente non posso garantire il funzionamento della nave senza problemi.” “Sembra ragionevole. Affare fatto, quindi?” Dev annuì. “Affare fatto. Quando le serve che io cominci?” “La Foxfire deve partire fra due settimane. Suppongo che vorrà venire a vederla di prima mano, prima di allora.” Solo due settimane per conoscere una nave cargo da cima a fondo? “Spazio, sì! Sarebbe meglio che io parta già domani a familiarizzare con lei, ad imparare le sue capacità e le sue idiosincrasie.” Larramac la guardò in modo strano. “Pensavo che voi Eoani non giuraste sullo Spazio.” “Convinzione errata popolare. Non siamo particolarmente rispettosi dei mistici poteri dell’universo, è vero; ma quando parlo Galingua devo arrangiarmi con le frasi che esprimono i miei pensieri, ivi compresi i cliché conversazionali. La purezza ideologica non è un sostituto della comprensione.” “Lei è una strana donna, Capitano Korrell.” “Lo prenderò come un complimento Signor Larramac.” Sorrise. “Qualsiasi cosa che non sia un insulto diretto è più facile da accettare come complimento.” “Insisto per essere chiamato Roscil.” “E personalmente, per quanto riguarda me preferisco Dev.” “E Dev sia! Vorrebbe pranzare con me?” Dev esitò. Quello, anche se non ne aveva fatto parola, era un altro dei motivi che l’aveva fatta passare da un lavoro all’altro – dipendenti eccessivamente amorosi che pensavano che i doveri di un capitano donna fossero orizzontali oltre che verticali. Non era una puritana e nemmeno una vergine, ma aveva imparato, per esperienza personale molto amara, che il sesso frequentemente incasinava le relazioni di lavoro. D’altronde, la sua situazione finanziaria era tale da non poterle consentire di rinunciare a un pasto gratis. La sincerità di Larramac era una boccata di aria fresca, ma sarebbe potuta diventare proprio detestabile come una pacca sul sedere da parte di qualcuno. Suppongo che dovrò sapere qualcosa su di lui, presto o tardi, pensò. Potrebbe essere anche prima che non dopo. “Mi sembra una buona idea,” disse lei. *** Mentre arrancava nella pioggia Daschamese, Dev pensava con ardore a quel pranzo. L’aspetto spavaldo esterno di Larramac poteva intimidire la maggior parte della gente, ma lei aveva visto oltre a questo. Larramac, un uomo solo dentro di sé, avrebbe rifiutato piuttosto che essere rifiutato. Lui non fece un solo passo verso di lei quella volta, e lei gli era stata grata per quello. Ne aveva fatto uno circa una settimana dopo, che lei era stata in grado di respingere abilmente, senza ferirlo. Stabilite in questo modo le regole di base, lui si era tenuto all’interno di esse. Naturalmente, c’erano altre cose per cui lei avrebbe potuto strangolarlo – come ad esempio la sua insistenza nell’unirsi a loro nel primo viaggio per “vedere se ti saresti comportata bene”. Nonostante questo, lei era ragionevolmente soddisfatta di lui. Le luci di un altro bar Daschamese luccicavano debolmente di fronte a lei, mentre si voltava. Mentre si avvicinava, poteva vedere di fianco all’edificio il carro che i Daschamesi avevano prestato alla nave – un piccolo segnale che i suoi ribelli uomini dell’equipaggio erano proprio lì. Allungò il passo. I due uomini erano facilmente identificabili nell’istante in cui lei entrò nel bar – erano la sola macchia di colore sul posto. Gros Dunnis, il tecnico, era un uomo mastodontico, due metri buoni di altezza e vestito con una tuta spaziale di colore verde scuro e argento. I capelli rossi e il barbone, anch’esso rosso, erano abbinati – al momento – ad una faccia altrettanto rossa, che dichiarava la sua intossicazione. Dmitor Zhurat, il mandriano robot, era un uomo molto più basso, nativo abusivo —infatti, aveva circa la stessa altezza e la stessa forma dei nativi. Tuttavia, la sua uniforme rossa e blu spiccava facilmente fra i colori grigiastri e ocra usati per i vestiti Daschamesi. Zhurat fu il primo a scorgerla. “Bene, se non è la nostra piccola graziosa capitana che sta arrivando qui, scesa dalla sua torre per unirsi a noi. Gros, abbiamo un visitatore onorevole. Dobbiamo mostrarle stima.” Dunnis, un ubriaco più simpatico, le sorrise. “Salve, Capitano, le va di bere qualcosa con noi?” “Voi due dovevate tornare alla nave due ore e mezzo fa,” disse Dev in modo piatto. “penso che sarebbe meglio che veniste via con me.” “Dobbiamo avere dimenticato l’ora,” sogghignò Zhurat. “Ma unisciti a noi per una bevuta e poi andiamo.” “Sai che non bevo.” “È vero. Tu sei troppo brava per bere con noi, giusto?” “‘La mente sana non ha bisogno di stimoli esterni per rilassarsi,’” citò Dev. “Mi accusi di essere pazzo?” “Ti accuso di essere ubriaco e scombinato. La tua paga sarà decurtata, e riceverai una mansione punitiva. Ti suggerisco di venire con me in modo pacifico, prima che si scateni qualche guaio.” Stese i piedi leggermente, in una posizione accovacciata, preparata per qualsiasi evenienza. In un angolo, il proprietario mostrava segni di agitazione. Continuava a ripetere qualcosa, ripetutamente. Senza togliere gli occhi di dosso a Zhurat, Dev accese il suo traduttore nel casco ancora una volta. “…troppi qui dentro, ce ne sono troppi qui,” continuava a dire il barista. “I miei amici ed io ce ne andremo in un secondo,” gli disse lei. Il proprietario, tuttavia, fu poco confortato dalla sua promessa. Batté le mani diverse volte in quello che Dev aveva capito essere il gesto Daschamese di nervosismo. “Gli dei saranno offesi, ce ne sono troppi,” disse lui. Dev lo ignorò e continuò a parlare a Zhurat. “Te lo dirò solo un’altra volta. Andiamo.” “Dannati boriosi Eoani,” biascicò Zhurat. “Pensano di essere migliori di tutti gli altri...” Dev si mosse plasticamente attraverso la stanza e strinse con una mano la spalla del suo subordinato. “Andiamo, Zhurat, é ora di andare. Starai molto più comodo se torni alla nave. Non vogliamo offendere gli dei di questa gente, vero?” “Lasciami stare!” urlò Zhurat. Alzò la spalla per liberarsi della mano del capitano, ma le dita si strinsero ancora di più, dolorosamente, e non si mossero. Lui fissò il viso di Dev e lo trovò severo e rigido come una statua di marmo. Lui abbassò rapidamente lo sguardo sul suo bicchiere mezzo pieno. “Non vorrai fare arrabbiare nessuno,” ripeté Dev in tono gentile ma fermo, “né gli dei né me!” “Dei!” sbuffò Zhurat. Si alzò e Dev gli tolse la mano dalla spalla. “Non ci sono Dei.” Lui mandò indietro la cuffia per la traduzione e ripeté le sue osservazioni. “Non ci sono Dei!” disse ad alta voce. Barcollò verso il centro della stanza. “Siete tutti delle pecore. Tutti!” disse. Dev presunse che il computer aveva tradotto “pecore” con un riferimento locale adeguato. “Non avete fegato, non vi divertite, non avete una vita. Vivete in quelle miserabili capanne perché avete paura di afferrare la vita da soli, e create questi grandi Dei, cattivi, come giustificazione per non fare nulla. Siete dei ciarlatani, tutti voi, e i vostri Dei sono i più grandi ciarlatani di tutti.” L'atmosfera nella stanza era diventata mortalmente silenziosa. Tutti gli occhi, sia quelli degli umani che quelli dei Daschamesi, erano rivolti a Zhurat. Il silenzio era come quello fra l'ultimo ticchettio di una bomba a tempo e la sua detonazione. Dev si schiarì la gola. “Penso che potresti avere ferito i loro sentimenti,” disse. L'osservazione tuttavia ebbe il potere di buttare benzina sul fuoco. “Vi farò vedere,” urlò lui. “La farò vedere a tutti.” E si fiondò fuori dal bar. “Andiamo,” disse Dev a Dunnis. “Aiutami a prenderlo prima che si faccia del male.” La pioggia scendeva anche più violentemente quando uscirono per inseguirlo, una pioggia fredda e battente che offuscava la vista e colpiva la testa. Il ritmo delle gocce che cadevano riusciva quasi ad annegare i suoi pensieri. Dev si sentiva disorientata e il riverbero della sua lanterna illuminava solo alcuni metri davanti a lei prima di essere assorbito dalla coperta dell’oscurità. Zhurat non si vedeva da nessuna parte. Lei non aveva idea della direzione che avesse preso, ma dritto davanti a lei sembrava essere l’opzione più probabile. Afferrò la mano di Dunnis e lo spinse dietro di sé come se fosse un bimbo piccolo. Venti metri più avanti, videro Zhurat in piedi in una piccola radura fra alcune capanne. “Andiamo, bastardi,” urlava. “Dove siete? Fatemi vedere il potere dei grandi Dei di Dascham!” Dev si accorse di occhi che sbirciavano attraverso fessure nelle capanne, come se fissassero increduli questo strano essere che sfidava gli Dei. Era coraggioso, sciocco o lui stesso un Dio, per potere parlare in questo modo? “Io vi sfido!” urlava Zhurat. “Io, Dmitor Zhurat, sfido gli Dei!” Questa scena sarebbe rimasta nella memoria di Dev per l’eternità. Zhurat che stava eretto nella radura, le braccia alzate verso il cielo, con i polsi contratti e gesticolanti in aria. Poi un’esplosione assordante, ed un veloce lampo, accecante nella sua intensità, fece chiudere gli occhi sia a Dev che a Dunnis. Dev avrebbe potuto giurare di avere udito un crepitio e …era forse un grido che squarciava la pioggia battente? Non lo sapeva. Quando Dev riaprì gli occhi, Zhurat era scomparso—e solo la sua tuta fumante restava al suolo, fra un cumulo di ceneri che si stavano rapidamente inumidendo.
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