CAPITOLO 1-1

2060 Words
CAPITOLO 1 Proprio come un bambino ha bisogno dei genitori, una società immatura ha bisogno dei suoi dei. La libertà è sempre difficile da reggere e si può sostenere il peso delle proprie responsabilità solo dopo aver raggiunto un certo livello di sofisticazione. - Anthropos – La bontà dell’uomo  La strada, se così si poteva chiamare, era una semplice pista lungo la quale animali a sei zampe, chiamati daryeks – l’equivalente locale dei cavalli - tiravano dei carretti in legno traballanti. I solchi scavati dalle ruote dei carri scendevano nell’acqua per diversi centimetri, mentre il resto della strada era puro e semplice fango. Senza traffico notturno, Ardeva Korrell aveva tutto il sentiero a propria completa disposizione. Il pianeta Dascham non aveva la luna, e il cielo nuvoloso bloccava le stelle al di sopra di esso, così il suo universo era un’oscurità interrotta solo dalla luce di una piccola torcia elettrica che portava con sé mentre arrancava faticosamente a piedi. “Nel mondo ideale,” disse, senza rivolgersi a nessuno in particolare, “il capitano di una navicella spaziale non dovrebbe svolgere anche le funzioni della propria pattuglia.” E sospirò. Dascham era lontano anni luce dal mondo ideale così come lei sperava di trovarlo. Poteva anche desiderare un’astronave di sua proprietà, un equipaggio competente, e il rispetto dovutole per rango ed esperienza. Erano tutte cose lontanissime dalla sua realtà. Le nubi nere sopra di lei minacciavano pioggia – non inaspettata, dato che pioveva ogni notte nelle zone abitate di questo pianeta. Un vento pungente accompagnava le nuvole e gelava il suo spirito, nonostante l’uniforme spaziale che la isolava tutta, tranne la testa. “Spero che Dunnis e Zhurat siano ubriachi,” disse. “Mi farà un enorme piacere domattina urlare loro nelle orecchie con i postumi della sbornia, e dare loro una multa!” Il pensiero la riscaldò per un attimo, poi se ne andò, lasciando il posto alla sua formazione religiosa, che veniva per prima. “‘La vendetta facilita le frustrazioni solo nelle menti insicure,’” enunciò. “‘La saggezza non ha bisogno della serata di disequilibri naturali.’ Lo so, lo so. Ma a volte penso che la vita sarebbe molto più divertente se io fossi un po’ meno saggia.” Pensò alla sua cabina calda, anche se minuscola, a bordo della Foxfire, e ai libri che la stavano aspettando là. Questo arrancare nel fango, verso una baraccopoli, per recuperare due componenti dell’equipaggio ubriachi, non era esattamente la sua idea di un modo piacevole di passare una notte fredda e umida su un mondo alieno. Ma era necessario. Avrebbe detto loro che li voleva indietro entro quattro ore; quando ne fossero trascorse sei senza che fossero rientrati, sapeva che avrebbe dovuto prendere delle misure disciplinari. In quanto capitano donna, era già in una situazione abbastanza precaria per permettere anche che l’equipaggio se ne approfittasse. Almeno non avrebbe dovuto tornare indietro a piedi. I Daschamesi avevano generosamente fornito all’astronave un carretto per il trasporto verso e dal villaggio, ma i due membri erranti dell’equipaggio lo avevano preso per andare in città. Il solo altro trasporto, senza contare le proprie gambe, era la scialuppa di salvataggio della Foxfire, sprecata per una gita di due chilometri. Così, lei camminava, con il fango attaccato agli stivali ogni volta che sollevava il piede, pensando alternatamente al suo letto e ai libri a bordo dell’astronave e a quello che avrebbe potuto fare a Dunnis e Zhurat se fosse stata una persona meno saggia e in cerca di vendetta. *** Si trovò improvvisamente di fronte alla città. Un momento il fascio di luce della torcia non mostrava nulla intorno a lei, se non campi aperti, e poi, subito dopo, veniva circondata da rozze capanne che servivano da casa ai Daschamesi. Il terreno sotto i suoi pedi, niente di meglio, per essere all’interno del villaggio, era stato battuto dalla quantità di traffico che lo attraversava quotidianamente. Per Dev, l’insediamento aveva un aspetto disordinato, squallido, e medievale in modo depressivo – in breve – identico agli altri tre che aveva visto da quando la Foxfire era arrivata su Dascham una settimana prima. Tuguri, più che case, erano stati costruiti con delle canne che assomigliavano al bambù; grosse fessure nelle pareti erano state riempite di fango – probabilmente il sistema che teneva più caldo possibile. Nessuna sorpresa quindi che i Daschamesi indossassero abiti grezzi e pesanti. Dovevano fare qualcosa per impedire che la polmonite estinguesse la loro razza. I tetti, coperti da qualcosa che aveva l’aspetto di parrucche, tenevano probabilmente fuori solo il novanta per cento dell’acqua. Dev si chiese se i Daschamesi sarebbero morti se si fossero spostati verso un clima temperato; anche i loro larghi piedi piatti sembravano adatti per camminare nel fango. Dev scosse la testa. La deprimeva vedere esseri intelligenti vivere in una povertà fisica così grave. Qualcosa mancava nelle loro caratteristiche razziali, un senso di orgoglio e di completamento. Probabilmente dovuto a quegli dei che adoravano; i tabu religiosi erano così severi da consentire a malapena alle persone di sopravvivere. “Gli dei riempiono le menti di coloro che li servono,” aveva osservato una volta Anthropos. Questo la faceva dubitare della sanità mentale dei Daschamesi. Il villaggio era buio e straordinariamente silenzioso. Dev stimava che la popolazione contasse diverse migliaia, eppure col calare dell’oscurità sembrava persino che la zona non fosse nemmeno abitata. Ancora gli dei, naturalmente – severi tabù sul fatto di non dovere essere fuori con l’arrivo del buio, tranne in determinate circostanze. Veramente, persino i tetri Daschamesi avevano una loro vita notturna, ma era un magro piacere rispetto a quelli della civiltà umana. Era una regola dell’universo che creature protoplasmatiche a sangue caldo potessero essere colpite da bevande fermentate. Un’altra regola era anche che menti intelligenti spesso cercassero sollievo da realtà opprimenti indulgendo in qualche forma di alterazione mentale. La combinazione di queste due regole significava che ci sarebbe stato l’equivalente di un bar su qualsiasi mondo un essere umano potesse tollerare. I bar Daschamesi, costruiti nello stesso stile architettonico – o meglio, senza stile – delle case, erano solo leggermente più grandi. Sarebbero stati accesi di notte, in contrasto con i tuguri oscurati per dormire, e avrebbero teso ad essere leggermente più rumorosi – sebbene, da quello che Dev aveva visto dei nativi, avrebbe scommesso che i Daschamesi fossero ubriachi tranquilli. I bar sembravano essere il solo posto sull’intero pianeta ad offrire una tregua dalla monotonia della vita locale – e sarebbe stato in uno di questi bar che probabilmente avrebbe potuto trovare Dunnis e Zhurat. Non c’erano strade nel villaggio. Le capanne erano costruite ovunque il proprietario pensasse che fosse opportuno, il che significava che un residente doveva trovare la sua strada grazie al suo istinto. Dev arrancò nel pantano, cercando gli uomini del suo equipaggio nella città casuale. Cominciava a piovigginare quando trovò il primo bar – una pioggia pesante e monotona che offuscava i contorni degli oggetti intorno a lei. I capelli castani tagliati cortissimi erano completamente bagnati, e le si incollavano alle tempie e al collo. Ma, a parte la vaporizzazione della pioggia mentre colpiva il suolo, non si udiva alcun suono – nessun pianto di neonato, nessuna voce di persona, nessun rumore di animale domestico. Sembrava come se il villaggio si stesse accovacciando per la paura di qualche orrore senza nome. Infine, avvistò una capanna più grande, con luci che brillavano fra le fessure – un bar. Aumentò il passo iniziando una leggera corsa. Non voleva muoversi troppo velocemente e cadere nel fango; avrebbe dato a quei due pagliacci qualcos’altro di cui ridere se fosse entrata in condizioni così disgraziate. Entrando nel bar, diede un’occhiata all’illuminazione tenue fornita dalle candele nei candelieri alle pareti. Dopo essere stata fuori nel buio pesto della notte Daschamese, ci volle un po’ di tempo perché i suoi occhi si adattassero. Inoltre, c’era uno strano fumo nell’atmosfera, che Dev indovinò fosse prodotta da qualche droga locale, oltre che dall’alcool. Il fumo le bruciava gli occhi e la costrinse a sfregarsi le lacrime con il dorso delle mani. Quando riacquistò la vista, ispezionò l’interno. Quattro tavolini erano sparsi a caso, ognuno con quattro sedie intorno, Il proprietario stava in piedi dietro ad un tavolo leggermente più lungo – più un banco da lavoro che non un bancone da bar. Il pavimento era di legno puro e le pareti – eccezion fatta per i candelieri da parete e alcune coperte che coprivano le fessure – erano prive di decorazione. Diversi Daschamesi occupavano i tavoli. Dev, dall’alto del suo metro e ottanta, torreggiava sui nativi, che erano invece in media un metro e cinquantacinque. I Daschamesi sembravano degli orsacchiotti animati. Una pelliccia spessa, opaca, di vari colori copriva i loro corpi. Camminavano sui loro larghi piedi piatti ed indossavano abiti di lana pesante. Le loro corte, tozze mani, avevano ognuna tre dita ed un pollice opposto. Era impossibile per un umano leggere qualsiasi espressione nelle loro facce ursine, ma i loro occhi non avevano la brillantezza vibrante delle persone vive e vivaci Alla sua vista, i nativi si alzarono velocemente in piedi, Dev non poteva dire se per rispetto o per paura. Probabilmente un po’ di entrambi, suppose. Dopo tutto lei era uno di quegli strani esseri venuti dal cielo. Molti Daschamesi potevano non avere mai visto un umano da vicino, dato che il loro pianeta era molto al di fuori delle rotte tradizionali del commercio, e poche navi si erano avventurate in questa zona. Ai locali, con la loro tecnologia primitiva, gli umani dovevano sembrare potenti quasi come gli dei. Toccandosi la guancia, accese il suo traduttore. “Vi prego di non spaventarvi,” disse nel microfono e udì la sua voce uscirne nella ringhiosa lingua Daschamese. “Sto solamente cercando due miei amici. Qualcuno di voi li ha visti?” Silenzio per un attimo, poi due bassi ringhi, che il computer la informò essere un coro di NO. Ringraziò le persone e con un sospiro si avventurò fuori di nuovo. La pioggerella era diventata un temporale nel poco tempo che era rimasta all’interno del bar. Dev rimpianse di non avere portato con sé il suo casco, ma avrebbe dovuto portare alcune bombole di ossigeno con sé, in questo caso, e i negozi della Foxfire potevano a malapena affrontare quella spesa. Così i suoi capelli castani divennero stopposi e l’acqua le sgocciolò dalla nuca, mentre arrancava pesantemente attraverso il villaggio al buio per trovare il prossimo bar. *** Era stata una più asciutta, se non più disperata, Capitano Korrell, quella che aveva camminato fino alla porta della Elliptic Enterprises due mesi prima alla ricerca di un lavoro. Il pianeta era New Crete e la situazione era critica. Il suo padrone di casa l’aveva guardata intensamente mentre lasciava l’appartamento; poteva quasi sentirlo chiedersi quanto tempo gli ci sarebbe voluto per fumigare il luogo e fare entrare un nuovo inquilino – uno che avrebbe pagato l’affitto alla scadenza giusta. I suoi magri risparmi erano completamente svaniti, e le prospettive di un lavoro per il capitano di una nave che era sia una donna che una Eoana erano quanto mai scarse. La porta si aprì quando suonò, ed entrò nell’ufficio. Il panorama era meglio di quanto si aspettasse. Veramente l’ufficio era situato nella parte della città meno alla moda, ma era stato fatto uno sforzo per preservare la dignità e il comfort. I pavimenti erano ricoperti di moquette, e le pareti erano dipinte di un blu riposante e piacevole. Frammenti di scultura interessanti erano ficcati nelle fessure e un paio di cellulari in argento pendevano dal soffitto. La scrivania della segretaria sembrava essere vero legno e la superficie era piena, ma ordinata. Nella stanza nulla si abbinava pienamente a nient’altro, ma almeno era stato fatto qualche sforzo per renderla abitabile. Dev aveva presentato domanda in alcuni uffici che avevano pareti e pavimenti spogli, e grandi insetti che strisciavano con non-chalance sui ripiani. Questo era un notevole miglioramento. La segretaria – una simpatica donna di mezza età – si annotò il suo nome, la invitò a sedersi e andò nell’ufficio interno per informare il suo capo dell’arrivo di Dev. Dev iniziò a sfogliare alcune riviste mentre aspettava – inizialmente per calmare il nervosismo, ma dopo solamente un minuto era assorbita nell’argomento. Considerò quasi un’intrusione il fatto che la segretaria ritornasse per dirle che il signor Larramac l’avrebbe vista di lì a poco.
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