Capitolo III
"Anche Gianfranco è stato ucciso."
Era il pensiero che tormentava Carlotta da quando aveva lasciato Silvia. Aver condiviso con lei la sua idea, l'aveva poi spinta a riflettere.
Se il suo vecchio datore di lavoro non si era macchiato di un delitto tanto orrendo – non l'avrebbe creduto neanche se l'avesse visto coi propri occhi! – ed era impossibile che si fosse suicidato, visto che era innocente, oltre che per la sua fede, allora non c'era che una logica conclusione.
"È stato ammazzato pure lui. Magari dalla stessa persona … Sì, è ovvio. Chi ha ucciso la povera signora Daviel, ha sparato ad Anzani per addossargli la colpa. Ce ne sono così tanti di femmicidi che, col colpevole reo confesso e morto, l'inchiesta si chiuderà in un battibaleno. Nessuno avrà alcun motivo di approfondire i fatti o indagare ulteriormente, così il colpevole è al sicuro. Maledetto! Che motivo aveva di uccidere una donna tanto gentile?"
Sospirò sconfortata, ipotizzando poi. "E se il vero assassino fosse stato mosso dalle stesse ragioni? Voleva avere Aurore, che invece era sinceramente legata a Gianfranco, e al suo rifiuto l'ha trucidata, inscenando il suicidio per farla franca. Magari è stato il suo ex marito … Tra l'altro, nessuno ne sa niente. A meno che l'obiettivo vero non fosse Anzani stesso … Allora, quel criminale ha ammazzato la Daviel per coprire l'assassinio di Gianfranco con un finto suicidio. Perché è fasullo di sicuro! In che film uno scrive l'ultimo messaggio della sua vita su un computer?!"
In tutti i polizieschi che aveva visto, un tale commiato era sempre legato a una simulazione, lestamente smascherata dai detective di turno. Sì, ma lì?
"Non che i nostri non siano bravi, ma se pensano che tutto sia risolto, addio! Comunque la si metta, ci sono andati di mezzo due innocenti che resteranno senza giustizia. No, non posso lasciare che accada! Lo devo a Gianfranco e anche alla povera signora Daviel. E se ne parlassi con Luigi?" Lei e il brigadiere Cazzaniga si conoscevano da ragazzi. "Mi starà a sentire ed è in ottimi rapporti col maresciallo Capriolo, può mettergli una pulce nell'orecchio … E se finisse tutto lì? Uhmm … No. Ci vuole qualcuno di più … motivato."
Improvvisamente, di nuovo illuminata da un'idea brillante, Carlotta si congratulò con sé stessa e, non appena le fu possibile, fece inversione di marcia.
Percorrendo la Strada Provinciale 1, come era sua abitudine prima di ogni incontro, mise in ordine ciò che sapeva di chi andava a trovare: Stefano Balestra.
Sulla soglia dei quaranta, aveva deciso di fare il giornalista nel 1990, dopo aver visto "Tutti gli Uomini del Presidente". Aveva sedici anni e, volendo conquistare una sua compagna di scuola bellissima e appassionata di vecchi film, che a lui non interessavano per niente, aveva fatto fuoco e fiamme per essere lui ad accompagnarla all'ennesima serata al Cineforum, lasciando con un palmo di naso tutti gli altri pretendenti. All'inizio aveva trovato il film tanto noioso che si era quasi assopito, ma poi si era così appassionato che, alla fine della proiezione, non aveva fatto altro che parlare a ruota libera di giornalismo.
Frequentava il Master, quando era arrivata la notizia dell'assassinio di Veronica Guerin. Era stato uno shock che l'aveva reso ancora più determinato a diventare un giornalista investigativo.
Ottenuta la specializzazione col massimo dei voti, pieno di entusiasmo e buone speranze, si era buttato anima e corpo nel mondo del lavoro, scoprendo presto che la realtà era ben diversa dai suoi sogni, nei quali si vedeva vincitore del Pulitzer. Dopo anni di gavetta, e superato brillantemente l'esame di stato, era diventato cronista di nera per una testata minore, senza mai abbandonare la sua vera vocazione. Aveva fatto ricerche prima su Cirio e poi su Parmalat, arrivando a mettere insieme una documentazione sufficiente per uno scoop ma, in entrambi i casi, era stato battuto sul tempo da altri. Aveva poi indagato sul portale Italia.it, raccogliendo informazioni tali da far seriamente vacillare il Governo Berlusconi. Il direttore del quotidiano per cui lavorava, nonostante le solide prove prodotte da Stefano, si era rifiutato di pubblicare anche una sola riga, non volendo rischiare nessuna azione legale. Dopo una furibonda litigata, lui si era licenziato sostenendo che, sicuramente, un giornale serio avrebbe fatto il suo dovere di informare la gente del colossale spreco di fondi pubblici. Il direttore aveva riso, sfidandolo a trovarne uno. Balestra aveva bussato a tutte le porte, incluse quelle delle reti televisive locali. Tutti apprezzavano il suo impegno, ma non ne volevano sapere di pubblicare alcunché, nemmeno gratis. Di carattere spigoloso, Stefano aveva reagito malamente ai rifiuti, accusando i suoi interlocutori di non essere degni del titolo di giornalisti, essendo solo dei leccapiedi del potere. Ma già! L'Italia era lontana anni luce dagli Stati Uniti, dove Woodward e Bernstein avevano fatto liquidare non un politucolo qualsiasi, ma addirittura il Presidente: l'uomo più potente del mondo. E non si avvicinava neppure per sbaglio all'Irlanda dove, dopo solo una settimana – inconcepibile in Italia – dall'assassinio della Guerin, il Parlamento aveva promulgato una legge che confiscava i beni dei delinquenti, riducendo notevolmente la criminalità in poco tempo. No, in Italia i giornalisti che non erano servi del potere venivano ammazzati. Cosimo Cristina, Mauro De Mauro, Giovanni Spampinato, Mario Francese, Carmine Pecorelli, Giuseppe Fava, Mauro Rostagno, Beppe Alfano. Per tacere di quelli che, come lui, venivano uccisi professionalmente. Per Stefano la piazza di Milano era bruciata e quindi, sconfitto e disgustato, aveva fatto malvolentieri ritorno a Varese, sua città natale, dove lavorava dal settembre del 2009 alla Provincia occupandosi, per sua precisa scelta, di cultura e spettacoli.
Così riflettendo, Carlotta era arrivata a Piazza Repubblica, dove parcheggiò nell'autosilo e si avviò spedita in via Carrobbio.
Stefano Balestra era in piedi vicino alla sua scrivania. Longilineo, stava bene con qualsiasi abbigliamento, soprattutto quello classico che, comunque, prediligeva. Quel giorno indossava un completo di ottimo taglio di lana pettinata color tabacco con dolcevita giallo chiaro. Non appena la vide arrivare, le andò incontro accennando un sorriso. Cosa rara per lui, la cui abituale espressione seria accentuava i lineamenti asciutti.
"Carlotta! Che bella sorpresa."
Era da diverse settimane che non si vedevano.
Si erano conosciuti poco dopo il trasferimento di Stefano a Varese al Ciok&Va, evento che affiancava l'annuale Eurochocolate di Perugia. Entrambi per motivi professionali – lei per la sua attività gastronomica, lui come giornalista – avevano partecipato alle conferenze più importanti della manifestazione dedicata al cioccolato e, per caso, si erano trovati più volte a sedere vicini. A Carlotta era risultato subito antipatico. Non solo per l'espressione costantemente severa, ma anche per l'aria annoiata e spesso assente nel formulare le domande ai relatori.
L'ultimo giorno, però, la sua opinione era completamente cambiata. Al termine dell'intervento di una delle maggiori multinazionali del cacao sull'eccellenza dei loro prodotti, la giovane delegata di un'associazione per lo sviluppo sostenibile aveva esposto un succinto, ma completo, quadro delle attività della tanto decantata impresa: dalle coltivazioni intensive all'uso indiscriminato di pesticidi, senza trascurare il controllo internazionale dei prezzi e il marketing disonesto, stigmatizzando la responsabilità nello sfruttamento del lavoro minorile su vasta scala, chiedendo infine al portavoce della multinazionale se era corretto parlare davvero di eccellenza. Infastidito, l'uomo l'aveva liquidata affermando che il suo intervento era fuori luogo e, alle insistenze di lei, aveva replicato in malo modo invitandola, non troppo velatamente, a occuparsi di questioni più consone al suo sesso.
La giovane era rimasta ammutolita per la grossolana e gratuita offesa e, in quel brevissimo silenzio, Stefano aveva preso la parola. Con la sua bella voce profonda e modulata, aveva sottolineato pacatamente che oltre che dalle azioni, ben documentate, una società si giudicava dai suoi rappresentanti e che, se prima poteva avere qualche dubbio, ora non ne aveva più e ne avrebbe tenuto conto nelle sue scelte. Si era quindi alzato e se n'era andato, subito seguito da un numero crescente di persone.
Carlotta lo aveva avvicinato per ringraziarlo. Lui si era sorpreso e, al sorriso di lei, aveva semplicemente affermato. "Detesto chi non rispetta le donne."
"Hai ragione, ma sono impegnatissima con un incarico che forse … Anche tu però non ti sei fatto vedere. Che scusa hai?"
Stefano abbozzò. "Touché."
Carlotta sorrise apertamente. "Ti perdono se mi offri un caffè e un po' del tuo tempo."
L'uomo prese il cappotto.
Carlotta finì di spiegargli il suo punto di vista al secondo caffè. Stefano non aveva aperto bocca per tutto il tempo. Il suo sguardo penetrante si era fatto via via più cupo, tanto che gli occhi azzurri sembravano quasi neri.
"Be'? Non dici niente?"
Balestra la fissò. "Cosa vuoi da me?"
"Innanzi tutto, un parere."
Sapevano entrambi, che non era ciò che le interessava davvero.
"Non mi occupo più di nera. Ho scritto di troppi stupri, massacri, abusi e assassinii."
"Quindi sei un esperto …" Lui serrò la mascella e lei decise che non doveva andare per il sottile. "Come giornalista, anziché limitarti a riportare i fatti, potevi sprecare qualche riga in più per sensibilizzare l'opinione pubblica. Oggi non ci sarebbero così tante vittime, se la stampa avesse fatto e facesse il suo dovere."
Stefano si accigliò: era un colpo basso, ma era la verità. Tante volte, fin dai suoi esordi, aveva inserito in tutti i suoi articoli le denunce puntuali e acute contro una società che spingeva gli uomini ad avere a ogni costo, tanto che sempre più numerosi diventavano spietati predatori, e privava le donne e i bambini della migliore difesa: il rispetto. Regolarmente, i suoi pezzi venivano mutilati, riducendoli a un mero resoconto quando non venivano stravolti, inserendo commenti discutibili o, addirittura, becere insinuazioni che, spesso non troppo larvatamente, miravano a colpevolizzare la vittima. Il suo rifiuto di firmare il servizio serviva solo a inasprire i rapporti col caporedattore, che poi pubblicava lo stesso l'articolo ma, almeno, senza il suo nome.
"So benissimo quanto ti è costato, ma questa potrebbe essere una rivalsa per te. Quella che troppe volte ti è stata negata. Potresti rendere giustizia a una donna di valore e a un brav'uomo." incalzò lei.
Balestra rimase in silenzio, accigliato.
"E dai, Stefano! Se non per loro, fallo per me."
Carlotta scrutò l'espressione dell'amico, che inspirò lentamente.
Era buon segno e lei sferrò l'affondo. "O, almeno, per amore di giustizia."
Il giornalista distolse lo sguardo, assorto. Era fatta, pensò Carlotta aspettando speranzosa.
Passarono lunghi minuti prima che, dopo un profondo respiro, Stefano stabilisse. "D'accordo."
Avrebbe voluto baciarlo.
"Farò qualche verifica."
Era già qualcosa.
"Se non dovesse emergere niente di diverso da un crimine passionale, la questione è chiusa."
"Anche se fosse, potrebbe essere stato un altro uomo o, magari, l'ex marito. Di sicuro, non Anzani." ribadì lei, amareggiata.
Stefano scosse la testa. "E va bene. Indagherò anche in quella direzione."
Questa volta, Carlotta si alzò e lo abbracciò d'impeto.
"Ho nostalgia dei tuoi manicaretti." la informò lui, sciogliendosi dall'imbarazzante manifestazione di gratitudine.
Lei sorrise, soddisfatta. "Vuoi venire da me o ti porto un cestino?"
"La prima che hai detto." confermò lui con aria golosa.
"Venerdì prossimo a cena, allora. Ti va bene?"
"Perfetto."
Rincuorata, Carlotta tornò a Gavirate.
Sul Lungolago di Calcinate, il cellulare intonò la Marcia Trionfale dell'Aida. Sistemato l'auricolare, schiacciò il pulsante.
"Il Consiglio si è tenuto lo stesso e il nostro contratto è stato approvato. Il versamento dell'anticipo verrà fatto in giornata. Domani provvedo ai vostri bonifici."
La comunicazione di Silvia le fece emettere un grido di gioia, ma subito decretò con durezza. "Sono uomini di ghiaccio senza cuore!"
Silvia, che la pensava come lei, la biasimò scherzosamente. "Possibile che tu non sia mai contenta?"
Carlotta si limitò a grugnire.
"A parte che ci sono anche parecchie donne, quando il Tesoriere mi ha chiamato per informarmi, ha premesso che, ovviamente, erano tutti addolorati, oltre che scioccati, ma che Aurore stessa non avrebbe consentito un ulteriore ritardo nella formalizzazione di un incarico, che coinvolgeva tante persone che lei stimava molto non solo per la fiducia che avevano accordato al Circolo, ma anche per lo splendido progetto che aveva entusiasmato lei e tutti loro, che non vedono l'ora di vedere realizzato."
Carlotta bofonchiò di nuovo a bocca chiusa.
Era felice, oltre che di parecchio sollevata, ma quella gente non le piaceva affatto e la loro insensibilità dimostrava che aveva ragione. Quel Tesoriere poi … così viscido … Bah! Adesso lei e tutti gli altri dovevano solo lavorare ancora più sodo e da subito.
"Sei libera venerdì sera?"
Silvia si sorprese, ma balbettò. "Be' sì … Per ora, almeno."
"Non lo sei più." sentenziò l'amica, chiudendo la comunicazione dopo un breve saluto.