In cerca del signor Hyde

2749 Words
2 In cerca del signor Hyde Quella sera il signor Utterson tornò al suo appartamento da scapolo di umore pessimo e si sedette a tavola senza alcun appetito. La domenica era sua abitudine, quando la cena era finita, sedersi davanti al caminetto con un arido libro di teologia sul leggio e rimanerci fino a quando l'orologio della chiesa vicina non avesse battuto la mezzanotte. Solo a quel punto se ne andava a letto con animo sereno e grato. Quella notte, invece, non appena la tavola fu sparecchiata, prese una candela e se ne andò nel suo studio. Lì aprì la cassaforte e prese dal cassetto più nascosto un documento contenuto in una busta su cui c'era scritto Testamento del dottor Jekyll . A quel punto si sedette, accigliato, a studiarne il contenuto. Il testamento era olografo [3] , poiché il signor Utterson, sebbene l'avesse preso in custodia dopo che era stato scritto, si era rifiutato di dare la minima assistenza nella sua stesura. Prima di tutto, esso stabiliva che, in caso di morte di Henry Jekyll, MD, DCL, LLD, FRS [4] , tutti i suoi averi passassero nelle mani del suo “amico e benefattore Edward Hyde”. Inoltre, più avanti, precisava che, in caso di “scomparsa del dottor Jekyll o di assenza inspiegata per un periodo superiore ai tre mesi”, il suddetto Edward Hyde sarebbe subentrato come erede con immediatezza e libero da qualsiasi onere o obbligo, tranne che per il p*******o di piccole somme destinate ai domestici del dottore. Da parecchio tempo quel documento rappresentava una vera e propria spina nel fianco per l'avvocato. Offendeva sia l’uomo di legge che rappresentava, sia l’amante che era in lui di una vita sana e morale. Pensava, infatti, che la stravaganza già contenesse in sé qualcosa di disdicevole. Fino a quel momento, a indignarlo era stato il fatto di non saper nulla sul conto del signor Hyde, mentre adesso, con un capovolgimento improvviso, a indignarlo era proprio il fatto di sapere. Si trattava di una faccenda già abbastanza spiacevole quando quel nome non era altro che un semplice nome su un pezzo di carta, di cui non riusciva a sapere nulla, ma diventava persino peggiore nel momento in cui quel nome cominciava a rivestirsi di aspetti odiosi; ora che, dalle nebbie che avevano offuscato i suoi occhi per lungo tempo, saltava fuori, in modo improvviso e inequivocabile, il presentimento di avere a che fare con un demonio. «Pensavo che fosse follia», disse mentre riponeva il detestabile documento nella cassaforte, «ma ora comincio a temere che si tratti di qualcosa di vergognoso». Dopodiché soffiò sulla candela, si infilò il pastrano e si diresse verso Cavendish Square, quella cittadella della medicina dove il suo amico, il grande dottor Lanyon, abitava e riceveva i suoi numerosi pazienti. «Se c'è qualcuno che ne può sapere qualcosa, questi è il dottor Lanyon», si era detto. Il formale maggiordomo, che lo conosceva, lo fece entrare. Senza farlo attendere, lo introdusse direttamente nella sala da pranzo dove il dottor Lanyon era seduto da solo davanti a una bottiglia di vino. Questi era un uomo cordiale, in salute, vivace e rubicondo, con capelli folti ma prematuramente imbiancati e dai modi risoluti e decisi. Quando vide il signor Utterson, si alzò dalla poltrona e gli andò incontro a braccia aperte. La sua cordialità poteva apparire esagerata ma era propria del personaggio. Loro due, infatti, erano vecchi amici, vecchi compagni di scuola e di università, entrambi molto rispettosi di se stessi e dell'altro, e, cosa non sempre scontata, felici di godere della reciproca compagnia. Dopo una chiacchierata cordiale, l'avvocato condusse il discorso sull'argomento che in modo tanto spiacevole preoccupava la sua mente. «Suppongo, Lanyon, che voi ed io siamo i più vecchi amici di Henry Jekyll». «Preferirei che gli amici fossero più giovani», ridacchiò il dottor Lanyon. «Ma credo che sia così. E con ciò? Lo vedo di rado ultimamente». «Davvero?», ribatté Utterson, «Credevo aveste interessi comuni che vi univano». «Ne avevamo», fu la risposta, «Ma è da dieci anni ormai che Henry Jekyll è diventato troppo stravagante per me. Ha cominciato a prendere una brutta strada, la sua mente intendo. Ovviamente, continuo a provare affetto per lui, in nome della vecchia amicizia, come si dice, ma lo vedo pochissimo e, per la miseria, desidero vederlo ancora meno. Tutte quelle sciocchezze per nulla scientifiche!», aggiunse il dottore diventando improvvisamente paonazzo, «Avrebbero allontanato perfino Damone e Pizia!» [5] . Questo piccolo scatto di collera rappresentò in qualche modo un sollievo per il signor Utterson. “Quindi i loro contrasti sono solo di carattere scientifico…”, pensò e, non avendo alcuna passione per la scienza (tranne che in materia di passaggi di proprietà), aggiunse: «Non è nulla di così grave, allora». Lasciò qualche secondo all'amico perché ritrovasse la calma e quindi gli fece la domanda per la quale era andato da lui. «Avete mai avuto occasione di incontrare un suo… protégé ? [6] Un certo Hyde», gli domandò. «Hyde?», ripeté Lanyon. «Mai sentito nominare. Mai in vita mia». Queste furono le informazioni che l'avvocato riportò con sé a casa, nel grande e scuro letto in cui si rigirò fino a quando le ore piccole del mattino cominciarono a crescere. Fu una notte senza riposo per la sua mente assillata da numerosi interrogativi, nel buio assoluto della stanza. Le campane della chiesa vicina a casa sua batterono le sei quando il signor Utterson stava ancora esaminando il problema. Fino a quel momento lo aveva interessato solo dal punto di vista intellettuale ma, ad un certo punto, anche la sua immaginazione ne venne coinvolta, o meglio, sottomessa. Mentre stava disteso o si rigirava nel letto, nella fitta oscurità della camera dalle pesanti tende, il racconto del signor Enfield scorreva davanti ai suoi occhi come la sequenza di una lanterna magica [7] . Poteva vedere una lunga fila di lampioni nella città di notte, poi la figura di un uomo che camminava in fretta e quindi quella di una bambina che correva verso casa. Vedeva i due che si scontravano, e quello Juggernaut in forma umana che calpestava la piccola e proseguiva insensibile alle urla di lei. Oppure ancora, vedeva la camera di una casa lussuosa dove il suo amico giaceva addormentato, sognando e sorridendo ai suoi sogni; poi la porta della camera che si apriva, le tende del letto che venivano scostate e il dormiente che ne veniva destato… e lì, accanto al letto, compariva un essere a cui era concesso ogni potere e che lo obbligava ad alzarsi nel cuore della notte per ubbidire agli ordini. Questa figura nei due diversi ruoli ossessionò l'avvocato per tutta la notte e, se riusciva ad appisolarsi, era solo per vederla insinuarsi ancora più furtivamente dentro le case addormentate, o dileguarsi ancor più velocemente in un moto vertiginoso attraverso i più vasti labirinti di una città illuminata dai lampioni, travolgendo una bambina a ogni angolo di strada e lasciandola urlante in terra. Eppure quell'essere non aveva un volto attraverso cui poterlo riconoscere; persino nel sogno non aveva volto o ne aveva uno che si dissolveva davanti agli occhi. E fu così che nella mente dell'avvocato nacque e crebbe la curiosità forte e decisa di scoprire le fattezze del vero signor Hyde. Se solo per una volta avesse potuto posare lo sguardo su di lui, era certo che il mistero si sarebbe diradato e forse svanito del tutto, come capita alle cose misteriose quando vengono osservate da vicino. Avrebbe forse potuto trovare una ragione per quello strano attaccamento, per quel legame (chiamatelo come vi pare), e persino per le clausole assurde del testamento del suo amico. Si trattava di un volto che valeva la pena di vedere: la faccia di un uomo spietato, una faccia la cui sola comparsa aveva suscitato nella mente poco impressionabile di Enfield un odio ostinato. Da quel giorno, quindi, il signor Utterson aveva cominciato a tener d'occhio la porta nella stradina delle botteghe. Al mattino, prima dell'apertura degli uffici; intorno a mezzogiorno, quando gli affari erano molti e il tempo poco; e di notte, sotto lo sguardo di una luna velata. Insomma, con ogni tipo di luce e a tutte le ore, nel trambusto o in solitudine, l’avvocato si trovava al suo posto di osservazione. “ Se lui è il signor Hyde , io sarò il signor Seek ”, pensava [8] . E, alla fine, la sua pazienza fu premiata. Era una notte senza pioggia, con un sentore di gelo nell’aria. Le strade erano linde come il pavimento di una sala da ballo e i lampioni, le cui fiamme non erano mosse da alcun vento, disegnavano geometrie regolari di luci ed ombre. Intorno alle dieci, quando le botteghe erano ormai chiuse, quella strada appariva deserta e silenziosa, nonostante il mormorio che giungeva dalla Londra circostante. Giungevano da lontano anche i rumori più lievi, da entrambi i lati della strada, e si potevano udire i suoni domestici delle case vicine. Si sentiva il rumore dei passi molto prima che comparisse qualcuno. Il signor Utterson si trovava al suo posto di guardia già da alcuni minuti quando udì alcuni passi leggeri che si avvicinavano. Nel corso dei suoi appostamenti notturni si era abituato all'effetto inquietante dei passi di una persona, per quanto ancora distante, che risuonavano chiaramente al di sopra dell'esteso brontolio e frastuono della città. Eppure, mai la sua attenzione era stata colpita in maniera così precisa e netta; fu quindi con una certa previsione di successo che si ritrasse nel varco del cortile. I passi si avvicinarono rapidamente e si fecero d'improvviso più forti non appena ebbero svoltato l'angolo della strada. Osservando dal proprio nascondiglio, l'avvocato poté presto constatare con quale tipo d’uomo aveva a che fare. Era piccolo e vestito in modo molto comune, e anche da quella distanza il suo aspetto suscitava una sensazione spiacevole. L'uomo, in quel momento, si diresse dritto verso la porta, attraversando la strada per risparmiare tempo. Mentre si avvicinava, tirò fuori dalla tasca una chiave come farebbe una persona che si avvicina alla propria casa. Il signor Utterson uscì allo scoperto e lo toccò sulla spalla mentre passava: «Il signor Hyde, suppongo?». Hyde trasalì, emettendo un sibilo inspirando aria. Lo spavento, però, durò solo un attimo. Senza guardare in faccia l'avvocato, gli rispose in modo freddo: «Sì, questo è il mio nome. Che cosa volete?». «Vedo che state rincasando», replicò l'avvocato, «Io sono un vecchio amico del dottor Jekyll. Sono il signor Utterson di Gaunt Street. Immagino abbiate già sentito il mio nome… pensavo di chiedervi il permesso di entrare, dal momento che ci siamo incontrati». «Non troverete il dottor Jekyll, non è in casa», rispose il signor Hyde infilando la chiave. E poi, di colpo, ancora senza alzare gli occhi, «Come fate a conoscermi?», domandò. «Aspettate a farmi domande… vorrei prima chiedervi un favore», disse il signor Utterson. «Con piacere», rispose l'altro. «Di che si tratta?». «Permettete che osservi il vostro viso?», chiese l'avvocato. Il signor Hyde parve esitare, ma poi, come fosse una decisione improvvisa, gli si parò di fronte con aria di sfida. I due si guardarono, immobili, per alcuni secondi. «Ora sarò in grado di riconoscervi», disse il signor Utterson. «Potrebbe essere utile». «Certo», replicò il signor Hyde, «è stato un bene che ci siamo incontrati, e, à propos [9] , immagino vogliate anche il mio indirizzo». Così dicendo, gli porse un biglietto con il numero di una via di Soho. “ Buon Dio!”, pensò il signor Utterson, “Che stia già pensando al testamento?”. Ma tenne per sé i propri pensieri e si limitò a borbottare qualcosa per ringraziarlo dell'indirizzo. «E ora tocca a voi rispondere», disse l'altro, «Come fate a conoscermi?». «In base a una descrizione», fu la risposta. «La descrizione di chi?». «Abbiamo degli amici in comune», disse il signor Utterson. «Amici in comune?», ripeté il signor Hyde con voce un po' roca, «E chi sono?». «Jekyll, per esempio», disse l'avvocato. «Lui non vi ha mai parlato di me!», gridò in preda all'ira il signor Hyde, «Non pensavo che voi avreste mentito». «Suvvia!», disse il signor Utterson, «Non è questo il modo di parlare…». L'altro fece una risata selvaggia e un momento dopo, con rapidità incredibile, aveva già aperto la porta ed era scomparso all’interno dell’edificio. L'avvocato rimase fermo per un po' dopo che il signor Hyde l'ebbe lasciato solo. Era il ritratto dell’inquietudine. Poi riprese lentamente a risalire la via, fermandosi quasi ad ogni passo e portandosi la mano alla fronte come chi sia profondamente perplesso. Il problema che stava esaminando mentre camminava era di difficile soluzione. Il signor Hyde era pallido e con le proporzioni di un nano, dava un'impressione di deformità senza mostrare alcuna malformazione e aveva un sorriso ripugnante. Inoltre, con lui, si era comportato con un misto odioso di timidezza e di arroganza; aveva parlato con voce roca, spezzata, spesso bisbigliando. Tutti questi erano punti contro di lui, eppure, anche tutti insieme, non bastavano a spiegare la strana sensazione di disgusto e la paura che il signor Utterson aveva provato. “Ci deve essere qualcos'altro”, si diceva perplesso l'avvocato, “C'è per forza qualcosa di più… se solo riuscissi a definirlo. Dio mi perdoni, ma quello non sembra davvero un essere umano. Dà l'idea di essere un troglodita. E se fosse la vecchia storia del dottor Fell? [10] O se si trattasse del riflesso di un animo malvagio che si manifesta al di fuori dell’involucro che lo contiene? Credo che sia proprio questa la risposta… mio povero vecchio Henry Jekyll, se mai vidi l'impronta di Satana su di un viso, l'ho scorta su quello del vostro nuovo amico!”. Oltre l'angolo di quella via secondaria c'era una piazza circondata da antiche ed eleganti case, per la maggior parte ora decadute e suddivise in camere e appartamenti, affittate a gente d'ogni genere: cartografi, architetti, loschi avvocati e agenti di ambigue imprese. Una casa, tuttavia, la seconda dopo l'angolo, era occupata da un unico proprietario, e fu proprio alla porta di questa casa, che ancora conservava un aspetto di benessere e di agio, sebbene fosse ora immersa nell'oscurità, tranne che per la lunetta sopra l'ingresso, che il signor Utterson si fermò e bussò. Gli apri un anziano e ben vestito domestico. «È in casa il dottor Jekyll, Poole?», chiese l'avvocato. «Vado a vedere, signor Utterson», disse Poole facendolo entrare in un'ampia e accogliente sala d'ingresso, dal soffitto basso e dal pavimento a mattonelle, riscaldata da un caminetto aperto (secondo l’usanza delle case di campagna) e arredata con pregiati mobili di quercia. «Vuole attendere qui accanto al fuoco, signore, o vuole che la accompagni in sala da pranzo?». «Attendo qui, grazie», disse l'avvocato, che si avvicinò al caminetto e si appoggiò all'alto parafuoco. Utterson rimase quindi solo in questa sala, la stanza preferita dal suo amico dottore, di cui lui stesso era solito parlare come del salotto più accogliente di Londra. Eppure, quella sera, alcuni brividi di freddo ghiacciavano il suo sangue. Il volto di Hyde pesava ancora nella sua memoria. Egli provava (cosa rara per lui) nausea e disgusto per la vita. In questo stato d'animo tetro, gli sembrava di scorgere una minaccia persino nel tremolio delle fiamme sui mobili ben lucidati e addirittura nelle ombre sul soffitto. Quando Poole ritornò, poco dopo, per annunciargli che il dottor Jekyll era uscito, si vergognò nel provare un certo sollievo. «Poole, ho visto il signor Hyde entrare dalla porta della vecchia aula d'anatomia», disse, «È un fatto che avviene normalmente quando il dottor Jekyll non si trova in casa?». «Del tutto normale, signor Utterson», rispose il domestico, «Il signor Hyde ha la chiave». «Il vostro padrone sembra riporre molta fiducia in quel giovane, Poole», continuò l'altro pensieroso. «Sì, signore, molta davvero», ammise Poole, «Noi tutti abbiamo ricevuto l'ordine di obbedirgli». «Non mi pare di aver mai incontrato il signor Hyde, vero?», chiese Utterson. «Oh, non credo, signore. Non cena mai qui», rispose il maggiordomo. «In realtà, lo vediamo molto poco in questa parte della casa. Per lo più entra ed esce dal laboratorio». «Bene, Poole, le auguro una buona notte». «Buona notte, signor Utterson». L’avvocato si diresse verso casa con il cuore davvero pesante. “ Povero Henry Jekyll”, pensava, “temo proprio che si trovi in cattive acque! È stato alquanto sregolato in gioventù. Certamente è passato molto tempo ma per la legge del Signore non esiste prescrizione. Dev’essere proprio così: il fantasma di qualche vecchio peccato, il cancro di qualche segreta disgrazia e il castigo arriva, pede claudo [11] , anni dopo che la memoria ha dimenticato e la pietà per se stessi ha perdonato la colpa”. Meditando su queste considerazioni, l'avvocato, impaurito, cominciò a riflettere anche sul proprio passato, scrutando in tutti gli angoli della memoria, col timore che qualche Jack-in-the-box [12] di una vecchia ingiustizia potesse saltar fuori tutto d’un tratto. Il suo passato, però, gli appariva limpido: pochi uomini avrebbero potuto scorrere le pagine della propria vita con minore preoccupazione. Nonostante ciò, si vergognò delle molte azioni cattive che aveva compiuto, ma subito dopo lo pervadeva un senso di mite e timorosa gratitudine per le molte altre che era stato sul punto di commettere e che aveva evitato. Per questo, tornando alla sua preoccupazione iniziale, intravedeva sempre un barlume di speranza. “A indagare bene, questo signor Hyde deve pur avere dei segreti”, si disse, “segreti orribili, a giudicare dal suo aspetto. Segreti al cui confronto persino il peggiore che il povero Jekyll possa nascondere, apparirebbe chiaro come la luce del sole. Le cose non possono andare avanti così. Mi sento raggelare al solo pensiero di quell'essere infernale che si avvicina come un ladro al letto di Henry. Che risveglio, poveretto! E che pericolo! Se Hyde solo sospettasse l'esistenza del testamento, potrebbe crescere in lui l’impazienza di ereditare. Sì, devo fare qualcosa”, aggiunse tra sé, “sempre che Jekyll me lo permetta”. E, ancora una volta, gli tornarono in mente, limpide, le strane disposizioni del testamento.
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