Samuel, seduto sul divano, si dimenava come un’aragosta gettata viva nell’acqua bollente. Ma non era più Samuel Bianchi, di anni trentadue, un metro e ottanta, un viso piacevole e regolare, capelli neri a spazzola e un gusto discutibile in fatto di abbigliamento. Pur sapendo che era lui, in qualche modo lo evincevo proprio dagli abiti, non era più il nostro amico poiché non era più un essere umano. Il fruscio, il secondo, arrivò in simultanea con l’attacco: approfittando del nostro comprensibile sbalordimento, la cosa che Samuel era diventato emise un verso acutissimo e allungò il collo su Guendalina. Fu in quel preciso istante che ebbi la piena, accecante coscienza di essere finito davvero nel peggiore degli incubi, uno di quelli che non svaniscono all’alba, ma irrompono nella realtà trad