Maggiore Età
Ares si svegliò in un letto che, pur nel dormiveglia, non riconobbe come il suo. Rivolse lo sguardo al braccio che teneva innaturalmente allungato di lato. Le sue dita erano morbidamente intrecciate con quelle di Astrea, che dormiva nel letto a fianco al suo. Le sciolse con delicatezza.
“Ben svegliato, Ares. Come stai?” sussurrò sollecito Danaus Yolhair.
“Be-bene, grazie.” bisbigliò ancora intontito. “Come mai sono qui?”
“Quando ti sei addormentato, ho chiamato le infermiere per portarti in camera tua. Non appena ti abbiamo scostato da lei, pur nel sonno, Astrea ha cominciato a lamentarsi e i suoi livelli si sono abbassati quando sei uscito dalla stanza. Così ti ho fatto mettere il pigiama e sistemare qui. Abbiamo dovuto mettere il letto accanto al suo, perché non bastava che fossi presente. Lei, infatti, ha continuato a cercarti inquieta finché, una volta disteso, non hai preso la sua mano. Non l’hai più lasciata per tutta la notte.”
Un’occhiata fugace alla chaise-longue in fondo alla camera, gli confermò che il suo Mentore li aveva vegliati per tutto il tempo. “E come sta?” domandò leggermente ansioso, girando la testa verso gli schermi.
“Discretamente.” rispose l’uomo sorridente. “Adesso è bene però, che tu vada nella tua stanza a lavarti e cambiarti.”
Annuì e, alzatosi, infilò le pantofole e indossò la vestaglia che Yolhair gli porgeva. Andò al capezzale di Astrea. Stava dormendo tranquillamente, dalla sua espressione distesa sembrava serena. Avrebbe voluto darle un bacio sulla fronte, ma temeva di svegliarla. Mentre stava per uscire, un profondo sospiro lo fece voltare di scatto.
“Mmmmm ...”
La vide allungare un braccio sul copriletto di candido piqué. Astrea respirò profondamente e, sempre a occhi chiusi, fece scorrere la mano di fianco a lei, come se cercasse qualcosa. Non trovando nulla, la sua ricerca diventò più ansiosa, tanto che aggrottò le sopracciglia e poi allungò anche l’altro braccio esplorando il lato opposto. Emise un gemito, prima che lui le fosse vicino e le prendesse delicatamente una mano. Non appena ne sentì il tocco, la sua espressione si distese e sospirò a lungo per poi, dopo poco, intrecciare le dita con le sue. Lui la osservò mentre, ancora assopita, gli sorrideva. Gli sembrò bellissima, più bella che mai, sebbene il suo aspetto mostrasse le evidenti sofferenze patite. Portò delicatamente alle labbra la sua mano e ne baciò il polso, dove persisteva il triste ricordo della prigionia. Astrea si mosse lentamente, stendendo adagio le membra. Socchiuse gli occhi e gli sorrise, radiosa.
“Ares.” sussurrò languida. “Che bello vederti ... appena sveglia.” Poi, in tono apprensivo, aggiunse. “Ma sei stato qui tutta notte? Sei riuscito a riposare? Dove?”
Si chinò per darle un leggero bacio sulle labbra, facendo cenno al letto che era stato spostato. Lei lo ringraziò con un sorriso dolce.
“Tu come stai? Come ti senti?” si accertò ansioso.
“Oh, meglio. Mi sento ancora debole e un po’ indolenzita, ma sto decisamente meglio. E tu?”
Le sorrise a sua volta, confermando. “Mai stato meglio ... adesso che tu stai bene e mi ami come prima.”
Lo sguardo che gli rivolse non lasciava dubbi sul fatto che avesse ragione. E invece ...
“Ti sbagli.” confutò lei adagio, mentre gli accarezzava il viso. La guardò per un istante terrorizzato. “Di più di prima ... molto di più.” precisò lei con enfasi.
Col cuore traboccante di gioia, stava per riavvicinarsi a lei, quando bussarono e la porta si aprì lentamente. Fecero capolino i signori Laergan che, dopo un reciproco gioioso scambio di saluti, si precipitarono entusiasti dalla figlia. In breve, Yolhair e Ares si congedarono. Il Mentore poi lo accompagnò alla sua stanza, dandogli appuntamento per fine mattinata.
Si spogliò e si infilò sotto la doccia, canticchiando. Erano mesi che non si sentiva così bene e ne aveva così tanti motivi che, prima averli elencati tutti, si stava già asciugando. Aveva compiuto da poche ore diciassette anni e aveva ricevuto il regalo più bello della sua vita, un dono che non tutti avevano avuto la fortuna di ricevere nella loro vita. L’Amore corrisposto per una donna meravigliosa. Appena finito di formulare quella verità, aggrottò le sopracciglia perplesso. Forse definire Astrea una donna era un po’ troppo, ma ragazza gli pareva riduttivo. Si mise a ridere da solo, quando si ricordò che poco meno di un anno prima si poneva lo stesso interrogativo a proposito di considerarla, o meno, sua fidanzata.
“Donna.” pronunciò a mezza voce quella parola con un certo sforzo. Si sentiva imbarazzato a dirla. Non ne aveva paura, ma provava una sorta di timore reverenziale. Gli sembrava che quel termine identificasse qualcosa di elevato, un universo misterioso, quasi sacro.
“Donna.” ripeté a voce più alta e in tono deciso. Le donne della sua vita, rifletté, soffermandosi a pensare che, fino al suo ingresso alla Domus, la sua esistenza era stata pressoché priva del calore di un affetto femminile. Prima di allora aveva conosciuto la tenerezza e il conforto di una donna solo saltuariamente. A causa della sua natura Lumen, gli svariati affidi si erano tutti conclusi brevemente e con inevitabile esito negativo, cancellando dolorosamente le premure ricevute. Il ricordo di quelle esperienze, gli strinse il cuore e, ancora di più, lo fece soffrire l’assenza di qualsiasi memoria legata a sua madre. Non si ricordava niente di lei. Vide davanti agli occhi della mente, la sequenza in cui lei, tra ali di folla insulsa e vile, si avviava con fiero coraggio assieme a suo padre a immolarsi per la libertà. Serrò la mascella, frenando la rabbia che gli era montata. Si concentrò sulla sua immagine dell’unica foto che possedeva, quella datagli da Yolhair l’estate precedente, e che la ritraeva felice con il fratello e il marito. Alla collera si sostituì un dispiacere dilagante che prese a invadergli l’animo. No, non voleva lasciarsi vincere dall’oscurità. Il pensiero volò ad Astrea, come a una fonte di benessere. Prima di lei, aveva ignorato cosa significasse l’affettuosa carezza o l’accogliente abbraccio di una donna o cosa avrebbe potuto provare con il calore, la morbidezza e la fragranza di un corpo femminile stretto al suo. Sensazioni che ora conosceva e lo riempivano di gioia. Emozioni che aveva scoperto con Astrea e solo con lei. Ciò che aveva provato con Gwen non era minimamente paragonabile. La sua breve inconcludente storia con lei era ormai archiviata tra gli episodi della sua vita, che non valeva la pena di ricordare.
Diciassette anni. Li aveva compiuti solo il giorno prima, ma in quegli ultimi due anni la vita gli aveva riservato tante e tali esperienze, che stentava quasi a credere non solo di averle veramente vissute, ma che fossero sul serio trascorsi solo ventiquattro mesi e di avere appena quell’età. Diciassette anni. Per certi versi, si sentiva più maturo della sua età anagrafica e per altri, invece, si considerava più acerbo dei suoi coetanei, impreparato ad affrontare certi aspetti della vita, che gli erano noti solo attraverso le parole degli adulti. Adulti che, pur sensibili come Drystan, Mira o anche Yolhair stesso, gli avevano dato solo il loro punto di vista. Per quanto ne avesse parlato con Horatio e anche con Archie, sentiva che gli mancava qualcosa. Non aveva avuto modo, infatti, di condividere passo passo le varie scoperte e fasi della sua crescita con i ragazzi della sua età, mai.
Fino ai quindici anni, lo aveva di fatto impedito la sua natura Lumen e poi era stato travolto dalle nefandezze dell’uomo, che aveva falciato tutta la sua famiglia e alla cui mano letale era sfuggito per ben due volte. Belyal aveva segnato la sua vita da sempre. L’aveva privato dei genitori e di ogni altro parente, condannandolo a oltre tre lustri di solitudine affettiva. Quindi, le loro strade si erano di nuovo incrociate e Ares si era trovato coinvolto in imprese, che avevano ancora segnato dolorosamente la sua esistenza. Era riuscito, faticosamente, a portare a casa la sua vita e, ciò che più gli premeva, quella di Astrea, ma Halyster era ancora a piede libero. Di certo, avrebbe nuovamente colpito e sarebbe stato un pericolo implacabile per lui, Astrea e per tutti, finché non fosse stato annientato. La donna che amava aveva seriamente rischiato di morire per salvarlo. Dopo sua madre, avrebbe perso anche lei, se non fosse stato per l’aiuto imprevisto e del tutto disinteressato di un’altra donna che non lo conosceva nemmeno. No, non era esatto: lo conosceva attraverso l’amore di Astrea per lui. E tutto era successo a causa di un’altra donna, che aveva letto nel suo animo come se lo conoscesse da sempre. Una donna che, nonostante tutto, lui ammirava e alla quale sentiva di voler bene. Non era giusto dire che era stato a causa sua: Holly era stata solo la vittima del Tiranno. E, ancora, Belyal condizionava la sua vita. Si sentiva oppresso dal peso invisibile della sua oscura minaccia e ne era stanco.
Altre donne erano entrate nella sua esistenza e nel suo cuore. Prima fra tutte, Mira, poi Helèna, Leona Douglass e, per certi versi, Gertrude Van Soren e anche Heather Saville. Wilma stessa. E la madre di Archie che, nelle vacanze trascorse a casa Peak, lo aveva fatto sentire come figlio suo. Donne che in modi diversi gli erano state vicine in quell’ultimo anno, che l’aveva segnato così intimamente, aiutandolo a crescere, a maturare, a diventare uomo. Per molti suoi compagni, raggiungere la maggiore età non significava diventare uomini, ma solamente avere il permesso di fare qualcosa che prima era loro impedito. Ares sentiva che avere diciassette anni per lui significava di più, molto di più, del primo brevetto di Teleportazione o del permesso di volare col kuxin. Cominciava a sentirsi addosso il peso di quanto aveva affrontato, e con successo, negli anni appena trascorsi, ma ancora di più cominciava a sentirsi uomo, soprattutto per il suo legame con Astrea. Si chiese quanti diciassettenni, Lumen o no, potessero dire di aver vissuto anche solo in parte ciò che lui aveva passato. E quanti provassero un sentimento così intenso, come quello che lui nutriva per Astrea. Ne era innamorato, profondamente. Non era per quel sentimento, non solo per quello, che aveva offerto a Belyal la sua vita per salvare quella di Astrea. Lo avrebbe fatto anche per altre persone, lo avrebbe fatto sicuramente per Mira, Archie, Yolhair, Drystan e Horatio e tanti altri.
Continuò a interrogarsi sul suo sentimento per lei, senza riuscire a capirne molto di più. Forse era perché non aveva termini di paragone, pensò. Scosse il capo: non era importante capire. Sapeva solo che Astrea gli era più necessaria dell’aria che respirava, che la sola idea di perderla un’altra volta gli era addirittura impossibile da concepire, che vicino a lei si sentiva un altro … più forte. Da quando era diventato pienamente consapevole di quell’amore, si sentiva più maturo, pronto ad affrontare senza paura qualsiasi altra prova la vita gli presentasse. Il contatto fisico con lei era cresciuto di pari passo con il suo sentimento. Dal primo bacio incerto e impacciato che le aveva dato un anno prima, senza rendersi conto di cosa stesse facendo, agli abbracci sempre più coinvolgenti e appassionati che si erano scambiati in quelle ultime ore, Ares sentiva che aveva bisogno di stringerla a sé, sentire il calore del suo corpo addosso al suo, riempirsi i polmoni del suo profumo, assaporare la dolcezza dei suoi baci e vedere il suo sguardo innamorato, come aveva bisogno di respirare e nutrirsi per vivere. Anche lui, come Astrea, traeva energia dalle affettuosità che, con crescente intensità, erano diventate tra loro così naturali. Si rese conto che, a volte, si sentiva notevolmente turbato anche solo a vederla, solo a osservarne, non visto, l’espressione, solo a pensarla.
Donna. Che parola magica, pensò. Come la creatura misteriosa e affascinante, così ricca d’amore, che identificava. Concluse che non era fuori luogo considerare Astrea una donna. La sua donna. E, a quel pensiero, si sentì rimescolare le viscere. Respirò a fondo per controllare l’emozione che lo stava pervadendo. L’aveva lasciata forse neanche da un’ora e già ne sentiva la mancanza. Un pensiero terrificante gli balenò nella mente. Come avrebbe fatto quando, terminato il Lyceum, avrebbero dovuto separarsi per frequentare istituti superiori diversi?! Sentì salirgli in gola l’angoscia e prese ad ansimare. Si sedette sulla sponda del letto, con il cuore in tumulto, e dovette fare appello agli insegnamenti del Maestro Longwei per riprendere il controllo di sé e rimuovere dalla mente la terribile idea di non vederla, di non stare con lei, di non abbracciarla, per settimane ... magari mesi interi. Mancava ancora più di un anno, avrebbe pensato a qualcosa. Sì, avrebbero di certo trovato una soluzione. Il Maestro Longwei gli aveva detto che la chiave per la felicità era assaporare ogni attimo qui e ora. Qui, era assieme a lei e ora, era che aveva compiuto diciassette anni e aveva tutti i motivi del mondo per essere felice. Non appena lei si fosse rimessa completamente, avrebbero festeggiato insieme il loro anniversario e dopo solo un paio di mesi anche Astrea avrebbe compiuto diciassette anni e avrebbero di nuovo fatto festa insieme. Si batté forte la mano sulla fronte.