CAPITOLO 1-2

2051 Words
Gli esperimenti per mappare le aree del cervello si erano raffinate finché psicologi e neurologi non erano riusciti ad individuare con estrema accuratezza la posizione delle funzioni mentali più comuni. Questo, per la scienza medica, era già di per sé un enorme passo avanti. Si dimostrò che molte malattie invalidanti erano causate da disfunzioni nel tessuto cerebrale interessato; in molti casi la microchirurgia riuscì a correggere o alleviare la patologia, salvando milioni di persone dalla debilitazione. Le aree che maggiormente interessavano gli psicologi, però, erano quelle che controllavano le funzioni cerebrali più elevate: l’apprendimento e il ricordo, il richiamo della memoria, i processi del pensiero, l’immaginazione e così via. Molti neurologi già sospettavano che alcune forme di schizofrenia fossero causate non già da traumi emozionali infantili, ma da semplici squilibri chimici all’interno del cervello. Utilizzando l’insieme delle conoscenze sui meccanismi mentali accumulato, fu provato che, a causa di tali squilibri, i pazienti percepivano il mondo in modo letteralmente diverso dagli altri: e che, di conseguenza, si comportavano diversamente. Parallelamente, grazie alla ricerca si scoprì anche in che modo la gente “normale” percepisse l’universo. Con gran sorpresa di molti, tutto ciò si rivelò estremamente facile da tracciare. Ad eccezione dei soggetti con patologie fisiche, dunque facilmente identificabili, tutti gli altri riponevano lo stesso tipo di immagini nello stesso scomparto del cervello. Stimolando il medesimo punto in due persone diverse era possibile evocare nelle loro menti lo stesso tipo di immagini. Inizialmente questi esperimenti furono realizzati soltanto con il metodo tradizionale di impiantare chirurgicamente elettrodi nel cervello – ma poco dopo si trovò il modo per stimolare quelle aree utilizzando onde elettromagnetiche al posto degli elettrodi. Il nuovo metodo offriva degli ovvi vantaggi; era realizzabile dall’esterno, quindi non c’era bisogno di ricorrere alla chirurgia; poteva essere guidato da un computer che individuava con accuratezza l’area mentale desiderata, lasciando intatte tutte le altre zone attorno al sito prescelto. Si progettò un casco – il diretto progenitore della Calotta Onirica – che il soggetto avrebbe dovuto indossare. Stimolando le aree giuste nel cervello del soggetto era possibile produrre nella sua testa una serie esatta di immagini, tutte controllate da un fattore esterno. Inizialmente la conoscenza delle nuove tecniche fu esclusiva per i neurologi specializzati; le applicazioni furono prevalentemente nel campo della psicoterapia. Scansionando le emissioni cerebrali, gli analisti stessi potevano visualizzare ciò che vedevano i loro pazienti. Per i pazienti in sofferenza per delusioni o percezioni fisiche erronee, il terapista poteva sostituire le false immagini con rappresentazioni corrette. Era letteralmente possibile cambiare il modo in cui una persona pensava alterando il modo in cui percepiva la realtà. Ma le implicazioni di questa scoperta erano troppo vaste per essere confinate in laboratorio. Nei paesi a regime totalitario di tutto il mondo la Calotta Onirica divenne presto strumento primario di lavaggio del cervello e di controllo del pensiero. Se un dissidente non collaborava con il governo, il potere costituito poteva carcerarlo in un istituto mentale – una copertura che l’ex Unione Sovietica e altre dittature avevano usato per molti anni – e imprimergli in testa i propri pensieri. Se la mente del dissidente accettava le percezioni come proprie, la persona veniva dichiarata “guarita” e tornava nella società. Se la mente del dissidente si rifiutava di accettare le nuove percezioni i suoi carnefici insistevano, bombardando di continuo il cervello con nuove immagini finché la mente del soggetto non riusciva più a discernere l’influenza esterna dal proprio pensiero personale. Il prigioniero diventava allora pazzo certificato, il che giustificava il protrarsi della detenzione. In entrambi i casi la sua capacità di fronteggiare il potere di stato era, di fatto, distrutta. Utilizzare in quel modo la tecnica fu proibito e ampiamente aborrito in tutto il mondo libero, anche se, secondo voci persistenti, la CIA e altre agenzie governative di spionaggio mantenevano in piedi le proprie “cliniche” per il lavaggio del cervello. La libera impresa, intanto, non intendeva certo lasciarsi scappare un strumento tanto potente senza metterlo a punto – non quando c’erano potenzialmente miliardi di dollari da guadagnarci. Si sottolinea spesso che l’individuo medio trascorre un terzo della vita dormendo. Il sonno, di per sé, non è particolarmente raccomandato, se non perché permette al corpo di disfarsi dell’accumulo giornaliero di veleni e perché sognare è una necessità di cui la mente normale non poteva fare a meno. Una colossale perdita di tempo. Le ore trascorse a dormire rappresentarono quindi una vasta risorsa inesplorata in attesa di essere perfezionata e sfruttata: e la Calotta Onirica offrì lo strumento ideale per la perlustrazione. Uno degli utilizzi toccò il campo educativo. Certo, nulla poteva soppiantare l’esperienza di apprendimento scolastico tradizionale tra insegnante e studente, ma la Calotta Onirica era una mano santa nel campo dell’istruzione per gli adulti. Chi lavorava sodo tutto il giorno poteva comunque trovare il tempo, dormendo, di imparare una seconda lingua, oppure di mettersi in pari con le più recenti teorie sul giardinaggio organico. “Riviste informative” sul sonno mantenevano i cittadini informati su vari articoli disponibili a livello mondiale. L’utilizzo di gran lunga più comune, però, era nell’industria dello spettacolo. Dopo aver affrontato problemi terreni durante il giorno, gran parte della gente era ben lieta di lasciarsi alle spalle le occupazioni e di perdersi in un mondo di fantasia. L’industria di trasmissione Onirica offriva il meglio degli svaghi d’evasione. In tutti i tipi di passatempo già esistenti era proprio il mezzo di comunicazione a porsi tra il narratore e gli spettatori - la pagina stampata nel caso dei libri, uno schermo nel caso dei film e della televisione. Il pubblico doveva fare affidamento sulle immagini artificiali fornite dal narratore e tradurle in simbologia personale nella propria mente. Con Onirica, tutto ciò cambiò radicalmente. Le immagini venivano inviate direttamente nel cervello dello spettatore, che percepiva proprio di vivere realmente quelle esperienze. Si poteva trascorrere la notte nelle vere vesti di una spia, o di un detective, o del più grande spadaccino della Francia del Diciassettesimo Secolo, per poi risvegliarsi al mattino con la memoria piena di ricordi di quanto era accaduto. Si poteva uscire e affacciarsi al nuovo giorno con l’impressione di essere più grandi di quanto non si fosse in realtà, avendo vissuto un’avventura senza correre personalmente alcun rischio. Wayne Corrigan era una componente importante della nuova industria d’evasione, una delle poche persone selezionate perché disponeva di un’immaginazione abbastanza vivida da poter lavorare come Sognatore. Lui, Janet Meyers e gli altri Sognatori proiettavano le immagini che i Dormienti, a casa, ricevevano attraverso le loro Calotte Oniriche. I Sognatori impersonavano un ruolo e lo trasmettevano attraverso il proprio casco. Le immagini venivano amplificate e trasmesse attraverso i fili nelle case di tutta Los Angeles e, attraverso le Calotte Oniriche, venivano impresse nella testa dei singoli spettatori, permettendo loro di vivere l’avventura insieme agli attori. Di rimando, ciascuna Calotta Onirica nelle case inviava un segnale allo Studio a cui era collegata, permettendo di monitorare e tariffare con precisione per poi emettere la relativa fattura ai singoli clienti. Uno dei primi problemi che si erano presentati era stato l’identificazione dei ruoli secondo il sesso. La maggior parte degli uomini nei Sogni desiderava identificarsi in ruoli maschili, mentre la maggior parte delle donne desiderava ruoli femminili (c’era un’aberrante minoranza che sembrava preferire un’identificazione “cross-gender” ma la maggior parte delle industrie di trasmissione Onirica la ignorava). In alcuni casi era possibile che, in una determinata avventura, il protagonista fosse un eroe senza un’identità sessuale specifica, che poteva attirare entrambi i sessi; ma storie di quel tipo risultarono avere un ambito più limitato e non erano tanto popolari come quelle in cui subentrava un’identificazione completa. Una soluzione al problema fu la creazione del “Sogno Superiore.” In tale contesto, il Sognatore o Padrone dei Sogni creava non uno, ma diversi personaggi in cui gli spettatori potevano identificarsi, a scelta. Il Padrone dei Sogni muoveva i personaggi nel mondo del Sogno perché si coordinassero nella storia che stava raccontando. E, potendo creare simultaneamente ruoli maschili o femminili, chiunque poteva sintonizzarsi in quel Sogno senza rimanerne deluso. Ma i Padroni dei Sogni erano merce rara. Dovevano essere in grado di visualizzare tutto un mondo globalmente, mantenere i singoli personaggi in movimento simultaneamente e senza far confusione. Il Padrone dei Sogni occupava l’intera scena e muoveva gli altri come burattini. Era un’arte difficile da padroneggiare e lo staff della Dramatic Dreams aveva soltanto un Padrone dei Sogni – un genio, Vince Rondel. La soluzione più comune era quella di separare i Sogni per uomini da quelli per donne. Di solito i due tipi di Sogni dovevano essere completamente distinti anche se nell’emergenza – come accadeva spesso in una trasmittente piccola come la Dramatic Dreams, con uno staff di sceneggiatori e attori ridotto – i due ruoli potevano coesistere nello stesso mondo di un Sogno. Era ciò che stava accadendo quella notte: Wayne e Janet interpretavano una coppia di agenti governativi, che lavorava insieme allo stesso caso. Gli uomini del pubblico ricevevano gli impulsi di Wayne, si identificavano con lui e pensavano che Janet fosse soltanto un altro personaggio principale; per le donne del pubblico era esattamente l’opposto. Per la maggior parte dei Sognatori questo era un tipo di Sogno facile da realizzare; più facile che ingaggiare un Padrone dei Sogni, perché esisteva una relazione diretta uno a uno tra Sognatore e spettatore. Lo spettatore vedeva solo ciò che vedeva il Sognatore, e il Sognatore non doveva preoccuparsi di dover mantenere in piedi porzioni di mondo non rappresentate nella scena. C’era lo svantaggio che con due Sognatori operanti nello stesso Sogno si potevano verificare incidenti. Come l’esempio del terrorista nel corridoio, che Wayne e Janet avevano visualizzato in modo diverso: il risultato era stata un’immagine confusa e incerta almeno finché Janet non aveva ceduto il controllo del personaggio a Wayne. Entrambi i Sognatori avevano la stessa capacità di partecipare all’azione nel Sogno, dunque la coordinazione tra di loro era essenziale. Wayne era lieto che i Sogni non fossero a getto continuo. Gli studi avevano dimostrato che i Sogni erano efficaci soprattutto se frammentati in scene da quattordici minuti, con intervalli di altri quattordici. Sognare era un’esperienza talmente intensa che il corpo aveva bisogno di tempo per rilassarsi da una sessione prima di entrare in un’altra. Gli sceneggiatori avevano imparato a regolare la lunghezza delle scene di conseguenza; e tutti i Sognatori consideravano gli intervalli una mano santa perché così avevano il tempo di riprendersi dalla scena precedente, sgranchirsi i muscoli, ricordare a loro stessi cosa stessero facendo, discutere i problemi tecnici con l’operatore di turno e, nel caso di due o più Sognatori ausiliari che lavoravano in tandem, avere la possibilità di rivedere gli errori e migliorare la coordinazione. Wayne respirò profondamente e poi lasciò andare il fiato mentre si sistemava la Calotta Onirica sul capo. Da quel che aveva detto Ernie White c’erano ventiduemila Dormienti sintonizzati su quel Sogno. Non erano poi tanti, non in una città grande come Los Angeles. Sicuramente perché lui era una nuova star di una stazioncina locale: ci voleva tempo per accumulare una cerchia decente di fan. Janet era una Sognatrice migliore di lui, questo lo sapeva; una tra gli artisti più consolidati della Dramatic Dreams, con ammiratori tutti suoi. La sua presenza in questa sceneggiatura avrebbe dovuto apportare un bel po’ di spettatrici come rinforzo sulla quantità di pubblico sintonizzato, forse persino coinvolgere nuovi spettatori nel suo stile. Invece sembrava averla trascinata ai suoi minimi. Accidenti lo so che sono bravo! Pensò con risentimento. Forse non sono un altro Vince Rondel, ma posso fare meglio di così. Come faccio a tirarmi fuori da questa melma? Sul soffitto lampeggiò una luce blu, l’avviso che mancavano trenta secondi. Wayne si distese sul lettuccio, si mise comodo e iniziò la routine di autoipnosi che tutti i Sognatori imparavano per entrare in uno stato di trance e ottenere una proiezione ottimale. Forzò la sua mente a eliminare tutti i pensieri estranei. Era prima di tutto un professionista. Aveva una storia da raccontare. Non si portava problemi e pregiudizi con sé nel Sogno; quello era il modo più sicuro per farsi licenziare. Durante il Sogno, non gli importava se dall’altra parte dei fili c’era una sola persona oppure un milione. Gli indici erano un problema della vita reale; per qualsiasi Sognatore coscienzioso, contavano esclusivamente i sogni stessi.
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