3.

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3. Per prima cosa Kovach lottò per raddrizzarsi, è ovvio. Lo fece piantandomi gomiti e ginocchia un po’ dappertutto, ricevendo da parte mia una serie di “ahi!” in risposta. Alla fine riuscì nell’impresa e ci trovammo incastrati nella stessa direzione. Non so dirvi come eravamo ridotti. Entrambi coperti da uno strato di fango – sui vestiti, sulle facce, sui capelli – bagnati, scivolosi, graffiati, contusi. Mi ero ripromessa di stargli alla larga per tutt’altri motivi, ma se mi fossi impegnata di più per mantenere la promessa sarebbe stato meglio per tutti. Ora ero incollata a lui e non ero un granché felice. «Non ha funzionato molto bene, Kovach» gli feci notare. La mia faccia arrivava poco più in su del suo sterno. Mi pulii una guancia sulla sua maglietta. «Che stai facendo?». «Ho del

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