Prologo-2

1883 Words
Dieci anni prima del presente Portland, Oregon Tonya Maitland gemette quando vide il riflesso dei lampeggianti di un’auto della polizia nella vetrina del negozio che stava oltrepassando. Alzando il cappuccio della felpa blu scuro, si sistemò lo zaino sulle spalle e ficcò le mani nei tasconi. Con un po’ di fortuna, la pula stava cercando qualcun altro. “Aspetta un attimo, ragazzina,” esclamò un uomo dal finestrino del passeggero. Tonya si guardò alle spalle, si rese conto che la sua fortuna si era esaurita e si diede alla fuga. Udì il poliziotto imprecare sonoramente prima di salire sul marciapiedi con l’auto e arrestare il veicolo folle. Lei era già a metà del vicolo sterrato quando l’uomo scese dal mezzo. Il vicolo sfociava in un’altra strada. Tonya si trovava nella parte sgradevole di Portland che confinava con la zona del centro dove lei aveva lavorato a un progetto in mattinata. Alle sue spalle, il poliziotto le gridò di fermarsi. In risposta, lei sollevò la mano destra e gli mostrò il medio. Tonya svanì dietro l’angolo e attraversò senza guardare. Un taxista le suonò il clacson. Lei salutò anche lui con il medio e, già che c’era, gli sferrò un calcio al paraurti. Sorrise all'uomo che ricambiò il gesto. Un’altra occhiata alle spalle rivelò che il poliziotto aveva il respiro affannoso e stava aspettando che il traffico passasse. Tonya imboccò un altro vicolo. All’estremità c’era una recinzione metallica con un cancelletto. Il cancelletto era chiuso con una catena e un lucchetto robusto. Fortunatamente, diverse pattumiere erano disposte lungo la parete vicino alla recinzione. Tonya sfruttò il pallet di legno appoggiato alla prima pattumiera come una sorta di scaletta e salì sulla pattumiera. Dopo averle percorse, agganciò lo zaino al filo di ferro per poi arrampicarsi sulla recinzione. Infilò le punte delle scarpe da tennis lise nei buchi, sganciò lo zaino e scese dall’altra parte. Sollevò una mano e salutò con due dita lo spompato poliziotto prima di voltarsi e camminare rapidamente lungo il vicolo. Ero quasi arrivata in fondo quando un’altra auto di pattuglia apparve a bloccarle l’uscita. Tonya gemette nuovamente nel riconoscere l’agente Max Bennet nel momento in cui questi scese dall’auto. Si fermò a buona distanza da lui. “Ti piace proprio scappare, Maitland,” commentò sarcastico l’agente Max mentre apriva la portiera posteriore dell’auto. Tonya fece spallucce. “Ehi, Max. Cerco solo di non farvi perdere lo smalto. L’agente Ciambella sembrava bisognoso di esercizio,” borbottò mentre si recava alla portiera aperta con un sospiro rassegnato. “Ti ho sentito, ragazzina,” gridò l’agente alle sue spalle. “Ci penso io, Joe,” disse Max. Tonya si sedette sul sedile posteriore e appoggiò la testa. Ascoltò Joe che discuteva con Max prima che il poliziotto fuori forma si voltasse sbuffando e tornasse con passo pesante da dove era venuto. Onestamente, lei non aveva idea di come avesse fatto quell’uomo a superare l’esame di idoneità fisica per diventare poliziotto di pattuglia. Gli unici criminali che avrebbe potuto catturare erano quelli che andavano in giro in deambulatore. Guardò attraverso la maglia metallica che separava il sedile posteriore da quello anteriore quando Max salì a bordo e chiuse la portiera. L’uomo parlò al microfono, riferendo di aver catturato la sospetta fuggiasca. Tonya levò gli occhi al cielo e si mise le mani in grembo. “La cintura, Tonya,” ordinò Max. “La cintura, Max,” brontolò in risposta lei. Allacciarono entrambi le cinture. Tonya sapeva per esperienza che era più facile lasciar credere a Max che lei stesse al gioco. Altrimenti, avrebbe dovuto ascoltare le sue lezioncine. Si mise comoda e avvolse le braccia attorno allo zaino che conteneva tutto ciò che possedeva. “Allora, che cos’ha che non va questa volta la gente con cui stai?” chiese Max, guardando negli specchietti prima di uscire in strada. “Niente,” borbottò lei. Max la guardò nello specchietto retrovisore. “Ti hanno picchiata?” insistette. Lei sbuffò e sollevò lo sguardo in risposta. “Non ti davano da mangiare?” chiese Max. Lei contrasse le labbra e scosse la testa. “Il signor Rollings ha detto o fatto qualcosa di inappropriato?” domandò Max, guardandola intensamente nello specchietto retrovisore. “Cristo, no, no e no. I Rollings sono brave persone, d’accordo?” rispose Tonya in tono pungente. “Allora perché sei scappata? È l’ottava volta in due anni, Tonya. Ti ricordi l’ultima volta che sei andata dal giudice? Ha detto che non ti avrebbe dato altre possibilità. Se non resti dai Rollings, ti manderà nel carcere minorile. Non puoi scappare da una cella,” disse Max. Tonya lo guardò. Per essere un poliziotto, era una brava persona. Il suo volto marrone scuro era segnato dalla preoccupazione. Si comportava come se gli importasse davvero che fine avrebbe fatto Tonya. Lei si sporse in avanti quando lo vide sollevare una mano e fare cenno a un pedone di attraversare la strada. “Sei riuscito a convincere Angela?” chiese. Max ridacchiò e sfiorò con il pollice la fede che portava al dito. Sei mesi prima, le aveva detto che stava pensando di chiedere ad Angela di sposarlo. Angela era uno degli avvocati del Dipartimento dei Servizi Sociali di Portland. Aveva gestito due dei casi che riguardavano il piazzamento di Tonya presso una famiglia affidataria. “Ci siamo sposati lo scorso fine settimana,” confessò l’uomo. “Grazie per l’invito,” disse lei, appoggiandosi allo schienale e guardando fuori dal finestrino. Max le lanciò una nuova occhiata. Lei finse di non accorgersene. Il poliziotto sospirò profondamente ed entrò nel parcheggio di un’hamburgheria. Tonya lo guardò con aria perplessa quando parcheggiò e spense il motore. “Ho fame. Vuoi mangiare un boccone?” chiese l’uomo. Lei guardò l’edificio prima di riportare lo sguardo sul poliziotto. “Non ho soldi. Speravo di–” esordì. “Offro io,” promise l’uomo. Tonya guardò Max aprire la portiera e scendere dall’auto. Il poliziotto parlò al microfono che portava agganciato alla spalla, spiegando al centralino che avrebbe fatto una pausa per il pranzo. Tonya scese quando lui le aprì la portiera, cercando di fingere che fosse lei a fare un favore a lui invece che il contrario. Attraversarono il parcheggio ed entrarono nel ristorante. Tonya si sedette a un tavolino che dava sulla strada. Una donna dal sorriso smagliante venne da loro e prese l’ordinazione, dopodiché rimasero soli. “Si può sapere cosa ti passa per la testa, Tonya? Sei una ragazza intelligente. Un sacco di persone cercano di aiutarti. Sai quali sono le decisioni giuste: andare a scuola e stare con la tua nuova famiglia. Perché non vuoi farlo, allora?” chiese Max. Tonya contrasse le labbra e lanciò a Max un’occhiata rovente. Lei non prendeva decisioni sbagliate – d’accordo, a volte sì, ma per buone ragioni. A quattordici anni, pensava di cavarsela piuttosto bene rispetto ad alcune delle altre ragazze che frequentavano la nuova scuola dove lei non si degnava spesso di andare. “La scuola è noiosa, d’accordo? Ho finito sei mesi di lavoro in due settimane. Ho cose migliori da fare che starmene seduta in mezzo a un branco di ragazzini snob che credono di essere migliori degli altri e non hanno idea di come gira il mondo. Arriva il cibo,” scattò. Si ritrassero entrambi mentre la cameriera metteva gli hamburger di fronte a loro. Tonya afferrò la bottiglia del ketchup, la aprì e cercò di versarne un po’ sulle patatine. Niente. Si può sapere perché fanno bottiglie di ketchup da cui non esce mai il ketchup?” borbottò silenziosamente Tonya, picchiando sul fondo della bottiglia. “Faccio io,” disse Max con una nota di ilarità nella voce. Lei lo guardò prendere il coltello pulito e ruotarlo nella bottiglia di vetro. L’uomo estrasse il coltello e le porse la bottiglia. Tonya la prese e versò più ketchup di quanto avrebbe voluto nel piatto. “Oggi mi va proprio tutto storto,” borbottò. “Allora, che cosa fai tutto il giorno per strada?” chiese con noncuranza Max, prendendo la bottiglia del ketchup. Tonya lo guardò con una patatina a metà strada per la bocca. Strinse gli occhi insospettita, ma non vide disapprovazione nell’espressione del poliziotto, solo curiosità. Si ficcò la patatina carica di ketchup in bocca e cercò il taccuino nello zaino. Quello era il lavoro di una vita – o almeno degli ultimi due anni. “Sto lavorando a un’inchiesta,” disse sottovoce. Si guardò attorno prima di sporgersi a spingere il taccuino verso Max. L’uomo inarcò un sopracciglio per poi abbassare lo sguardo sul malridotto quaderno a spirale. Lei vi accennò con il capo. “Un’inchiesta?” ripeté Max. “Vedrai. Mi serve solo ancora qualche giorno,” disse Tonya. Prese l’hamburger e cominciò a mangiare. Max aprì il taccuino con una mano e mangiò distrattamente le patatine con l’altra. Le lanciò un’occhiata sconvolta e poi abbassò nuovamente lo sguardo sugli appunti meticolosi che lei aveva preso. “Dove ti sei procurata queste informazioni?” domandò. Tonya gli sorrise. “I grandi pensano che i ragazzini siano stupidi. Hai presente quel detto che piace tanto agli adulti, secondo cui i bambini andrebbero visti e non sentiti? È una cazzata, naturalmente. La realtà è che spesso i ragazzini non vengono né visti né sentiti, ma noi ci sentiamo benissimo quando loro dicono stronzate che pensano che non possiamo capire. E, guarda caso, io sono molto brava a non farmi vedere o sentire,” annunciò agitando una patatina. Max le lanciò un’occhiata di disapprovazione. “Sei capace di parlare senza essere sboccata?” rispose sarcastico. “Bah. Non ti piace? Problemi tuoi. Il linguaggio sboccato ha un suo potere, quando viene usato nel momento giusto e nella situazione giusta,” rispose. Max scosse la testa, pur continuando a voltare le pagine e a leggere. “Le parole sono potenti; il linguaggio sboccato è volgare. C’è differenza, Tonya. Come fai a essere così cinica a questa età?” chiese. Tonya si appoggiò allo schienale di vinile rosso acceso. “Non hai letto il mio fascicolo? Come fai a sapere quello che aveva detto il giudice? Ah, giusto: Angela,” rispose Tonya. “Lo mangi quell’hamburger? Non mangio da due giorni e sto morendo di fame.” Max la guardò nuovamente e spinse il piatto attraverso il tavolo. Lei non esitò a prendere l’hamburger e a cominciare a mangiarlo. “Hai idea di quanto sia pericoloso quello che hai fatto? Se ti avessero sorpresa – se quegli uomini vedessero le informazioni che ti sei procurata – Tonya, ho visto gente ammazzata per meno,” la ammonì Max, chiudendo il taccuino. “Ma – è roba buona, giusto? Voglio dire, le informazioni, i dettagli? Ho documentato tutto. Ho persino delle foto. È solo che non ho i soldi per stamparle. È roba buona, vero, Max?” chiese lei con entusiasmo. “Sì, è roba buonissima. Cosa vuoi fare nella vita dopo esserti diplomata? Sei troppo sveglia per non andare al college. Vuoi arruolarti e diventare detective?” chiese Max. Tonya scosse la testa e guardò il taccuino. “No. Voglio diventare giornalista investigativa – la migliore del mondo – proprio come i miei genitori prima che li uccidessero,” rivelò sottovoce. Max sospirò. “Lo diventerai, Tonya, se non morirai prima di averne la possibilità,” rispose.
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